Letteratura
Il fratello partigiano di Pasolini
Un Pier Paolo Pasolini ventitreenne scriveva versi semplici e commossi dedicati a suo fratello Guido, ucciso a Cividale del Friuli il 12 febbraio del 1945 per mano di gappisti italiani e jugoslavi durante l’eccidio di Porzûs: «La libertà, l’Italia / e chissà Dio quale destino disperato / ti voleva / dopo aver vissuto e patito / in questo silenzio. / Quando i traditori nelle Baite / bagnavano di sangue generoso la neve, / “Scappa – ti hanno detto – non tornare lassù” / Ti potevi salvare, / ma tu / non hai lasciato soli / i tuoi compagni a morire / “Scappa torna indietro” / Ti potevi salvare, / ma tu / sei tornato lassù, / camminando. / Tua madre, tuo padre, tuo fratello / lontano / con tutto il tuo passato e la tua vita infinita, / in quel giorno non sapevano / che qualcosa più grande di loro / ti chiamava / col tuo cuore innocente» (Corus in morte di Guido, 1945).
Guidalberto Pasolini, detto Guido, era nato a Belluno il 4 ottobre 1925, tre anni dopo Pier Paolo: terminato il liceo scientifico a Pordenone, appena diciottenne si affiliò alla Brigata Osoppo operativa in Carnia con il nome di “Ermes“, scelto in ricordo del più caro amico del fratello, morto durante la campagna di Russia.
La tragica vicenda di Guido viene raccontata nel libro di Andrea Zannini L’altro Pasolini, pubblicato da Marsilio, con prefazione di Walter Veltroni. La narrazione prende avvio presentando il nucleo familiare dei Pasolini: il padre Carlo Alberto, militare di carriera e fascista convinto, la madre Susanna, maestra friulana, e i due figli, legatissimi tra loro ma profondamente diversi nel carattere e nelle progettualità di vita. “Guido era l’opposto di Pier Paolo: vitalista, esuberante, temerario”, deciso a combattere non solo contro gli invasori nazisti, ma anche contro la slavizzazione della sua regione e l’infiltrazione dell’ideologia comunista, in una visione convintamente patriottica di difesa dell’autonomia italiana. Iscritto al Partito d’Azione, appena diciottenne si impegnò in azioni di propaganda e di sabotaggio nei paesi circostanti Casarsa, dove la sua famiglia risiedeva dal ’43 nella casa dei nonni materni. Più volte fermato dalla guardia civica fascista per insubordinazione, nel maggio del ’44 prese la decisione di darsi alla macchia, aderendo alla Brigata Osoppo. “Rimanere a casa, sotto la sorveglianza ‘continua ed esasperante’ di tedeschi e carabinieri significava mettere a repentaglio la sicurezza non solo sua, ma di tutti coloro che gli stavano vicino”. Fu accompagnato alla stazione da Pier Paolo, che, più meditativo e troppo attaccato alla madre per abbandonarla, aveva scelto di rimanere al paese, dedicandosi allo studio, alla poesia e all’insegnamento privato: “Non sanno come io sono infinito in me; com’è differente il mio mondo; come a me non importi altro praticamente che la mia poesia e teoricamente il mio infinito”, scriveva in un diario.
Guido comunicava con i familiari attraverso sporadiche lettere firmate “Amelia”, fingendo di essere una ragazza a servizio in una famiglia di Gorizia. “Il mio pensiero ritorna per una strana fissazione a Pier Paolo… cosa fa? Perché non mi scrive mai? … Alle volte mi ossessiona l’idea che lui pensi a me con una certa amara ironia: ne rabbrividisco”. Solamente in una missiva datata 27 novembre 1944 scrive direttamente al fratello, confessandogli preoccupato il progressivo deterioramento dei rapporti tra i partigiani delle formazioni Osoppo e Garibaldi: “I comunisti garibaldini hanno intenzione di costituire la repubblica (armata) sovietica del Friuli: pedina di lancio per la bolscevizzazione dell’Italia!!!» In queste parole si trova probabilmente la motivazione dell’eccidio del febbraio 1945 nel Friuli orientale in cui Guido trovò la morte: il fatto di sangue più increscioso avvenuto in Italia durante la guerra partigiana.
Le Brigate Osoppo-Friuli erano formazioni partigiane autonome fondate a Udine a fine ’43 da volontari di ispirazione laica, socialista e cattolica, collegati alle formazioni garibaldine comuniste: loro scopo era combattere le forze occupanti tedesche, che avevano sottratto l’intero territorio friulano e giuliano alla Repubblica Sociale Italiana, instaurando un regime di repressione e spoliazione, con la partecipazione di reparti di SS etniche, di cosacchi e di forze repubblicane fasciste. La situazione politico-militare della zona, al centro di opposti nazionalismi e di secolari rivalità etnico-territoriali, era molto complessa, e i rapporti tra le varie formazioni partigiane sloveno-jugoslave e garibaldine particolarmente conflittuali. Le brigate Osoppo vennero coinvolte nel tragico episodio di Porzûs, dove aveva sede il comando del Gruppo delle Brigate Est della Divisione Osoppo, comandato dal capitano degli alpini Francesco De Gregori, detto “Bolla” (zio trentaquattrenne del noto cantautore romano). Gli osovani, con le loro continue proteste contro le mire nazionalistiche jugoslave e contro la politica di collaborazione garibaldina, suscitarono la reazione delle componenti comuniste del Comitato, che attivarono i gappisti operanti nella zona, incaricandoli di attaccare la sede del comando della Brigata. Sul posto vennero quindi inviati un centinaio di gappisti, guidati da Mario Toffanin “Giacca” (uomo fidato di Tito nelle forze comuniste italiane, fortemente ideologizzato ed estremista), che catturò con un trucco “Bolla” ed altri comandanti della Osoppo, e li fucilò subito, sottraendo loro carteggio, armi e provviste. Gli altri partigiani presenti, tra i quali Guido, vennero uccisi successivamente. L’eccidio ebbe rilevanti seguiti giudiziari con un lungo processo, che si concluse con pesanti pene.
Gli ultimi giorni di vita di Guido conobbero momenti avventurosi e drammatici. Fatto prigioniero dai GAP vicino al confine jugoslavo, venne incarcerato ma, sottrattosi alla sorveglianza, riuscì a scappare. Raggiunto dagli inseguitori, fu ferito da raffiche di mitra alla spalla e al braccio destro. Sfuggito ancora alla cattura, cercò di dirigersi verso Udine, medicato e rifocillato da contadini della zona; scoperto da due combattenti del Battaglione Ardito, fu fatto sdraiare in una fossa e finito con un colpo di pistola alla testa.
La famiglia Pasolini venne a conoscenza della sua morte solo il 2 maggio; il 20 giugno si svolsero a Udine le esequie pubbliche dei caduti di Porzûs, e il giorno dopo Guido fu tumulato nel cimitero del paese: «Torna tra i suoi portando intatte le sue certe illusioni, la sua bandiera», recitava il necrologio. Pier Paolo, certo ormai che l’esecuzione del fratello fosse stata ordinata ed eseguita da partigiani jugoslavi e da alleati italiani che intendevano annettere il Friuli alla Jugoslavia (“Gentaglia certo senza chiarezza interiore, senza patria, mossi a combattere dal puro egoismo. Ben differente da te!”, scrisse in una lettera idealmente dedicata a Guido) maturò lentamente, anche sulla scorta delle prime letture di Marx, la sua adesione al Partito Comunista, iniziando a collaborare con la stampa di sinistra. Walter Veltroni così commenta nella prefazione al testo di Zannini: “Il tema che percorre il libro è anche quello del rapporto tra Pasolini e il Pci che proprio attorno agli eventi tragici e violenti di Porzûs e agli anni che immediatamente li seguirono diventa un legame di appartenenza a cui Pier Paolo non mancò mai di restare fedele”. Nell’ottobre del 1949, con atto della Federazione comunista di Pordenone, il giovane poeta venne espulso dal PCI “per indegnità morale e politica” in seguito alla scoperta della sua omosessualità. “Malgrado voi, resto e resterò sempre comunista, nel senso più autentico di questa parola”, scrisse a un dirigente comunista friulano. Non fu mai riabilitato dal partito. Trasferitosi con la madre a Roma per sfuggire allo scandalo e alla persecuzione sociale e politica che ne era conseguita, iniziò così la sua prestigiosa carriera letteraria e cinematografica.
In Comizio, una delle poesie de Le ceneri di Gramsci (1954), ancora ricordava con commossa ammirazione Guido: “mio fratello mi sorride, / mi è vicino. Ha dolorosa e accesa, // nel sorriso, la luce con cui vide, / oscuro partigiano, non ventenne / ancora, come era da decidere // con vera dignità, con furia indenne / d’odio, la nuova nostra storia: e un’ombra / in quei poveri occhi, umiliante e solenne… // Egli chiede pietà, con quel suo modesto, / tremendo sguardo, non per il suo destino, / ma per il nostro… Ed è lui, il troppo onesto, // il troppo puro, che deve andare a capo chino? / Mendicare un po’ di luce per questo / mondo rinato in un oscuro mattino?”
Il volume di Andrea Zannini si conclude con un appassionato commento a un dramma storico in lingua friulana che, ritrovato tra le carte pasoliniane in triplice dattiloscritto datato 1944 e pubblicato solamente nel 1976, sembra una profetica rivisitazione dei fatti di Porzûs, nel suo sovrapporre i due piani del racconto storico e della tragedia familiare. I Turcs tal Friùl racconta infatti la brutale scorreria dei Turchi che nel 1499 assediarono la comunità di Casarsa, trovandosi di fronte alla strenua resistenza del paese, al cui interno la famiglia Colùs vedeva fronteggiarsi nella lotta contro gli invasori due fratelli, il contemplativo Pauli e il ribelle Meni, destinato a soccombere tragicamente. I riferimenti culturali e personali alla storia che aveva dolorosamente coinvolto Pier Paolo e Guido, insieme a tutta la collettività friulana nel conflitto contro i fascisti, gli invasori tedeschi e gli slavi, hanno suscitato in Zannini il sospetto che Pasolini abbia volutamente retrodatare al ’44 la data della composizione del testo teatrale, troppo esplicitamente segnato dalla disperazione vissuta nel maggio del 1945. Solo con un difficile percorso psichico, intellettuale e politico Pier Paolo riuscì a separare la vicenda della morte ingiusta e crudele di Guido dalle ragioni della storia della Resistenza e dalle responsabilità del Partito Comunista cui lui stesso aderiva. Come scrisse poi nei versi dedicati a Gramsci: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere; / del mio paterno stato traditore / – nel pensiero, in un’ombra di azione – / mi so ad esso attaccato nel calore / degli istinti, dell’estetica passione”.
ANDREA ZANNINI, L’ALTRO PASOLINI – MARSILIO, VENEZIA 2022, p. 160
Prefazione di Walter Veltroni
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