Letteratura
“Il figlio delle sorelle” il nuovo romanzo di Leonardo G. Luccone
La vita è fatta d’intrecci complicati, storie che si mescolano, che ci segnano e plasmano fin dai primi attimi. Non è semplice, spesso, rintracciarne i percorsi, ricostruire in modo lineare, dalle radici al presente, il viaggio che ha portato una persona a essere ciò che è. “Il figlio delle sorelle” di Leonardo G. Luccone, edito da Ponte alle Grazie e da oggi in libreria, si misura proprio con un racconto di vite mescolate, nelle loro complessità, a partire da legami familiari allentati, alla ricerca di un loro filo conduttore, che appare da subito difficile a districarsi.
Il lettore si trova infatti davanti a una molteplicità di voci narranti, legate a tratti da un canto corale, come nella tragedia classica, che chiosa, suggerisce. C’è la voce del protagonista, in bilico fra malinconici rimpianti, ansia, depressione, gravi problemi di salute mentale e voglia di tornare a vivere, quella della figlia Sabrina, che lo ha ritrovato dopo quindici anni d’assenza sofferta e mai compresa, quella dell’ex moglie Rachele, della compagna Gilda e della figlia Carlotta. C’è un presente fatto di ricerca, di persone, di spiegazioni, di chiavi per affrontare il futuro da rintracciare nella storia familiare, c’è il passato che torna, ma che non porta risposte. Al centro la famiglia, la genitorialità, l’essere figli e una domanda che turba e scuote il protagonista e sua figlia: è accaduto qualcosa di strano, di deviante, prima della nascita della bambina? Cosa non torna nel difficile percorso che lui e Rachele hanno affrontato quando non riuscivano ad avere figli? Da dove viene Sabrina?
Ci abbiamo provato per un anno, in ogni modo, assoggettandoci a tutti i rituali possibili: con un video pietoso irrealisticamente lento tutto primi piani e una voce doppiata malissimo che incitava l’uomo a spingere in un certo modo e con una certa frequenza; con musiche tibetane palesemente fasulle; dopo un’ora di mindfulness con una sciroccata che aveva raccattato non so dove; di prima mattina facendo finta che lei era addormentata o che aveva litigato col padre; la sera dopo giornate pesantissime.
Se lo chiede il padre, lo chiede la figlia, che affronta un viaggio – fisico e spirituale – per dare un senso, in tarda adolescenza, al suo esserci. Le domande si affastellano e rincorrono, in un gioco di rimandi fra presente e passato che non chiarisce nulla, che sembra spostare la risposta sempre qualche metro più in là. Rachele spaventata da ciò che il passato può riportare alla luce, Sabrina stanca di silenzi e omissioni, Carlotta – sorella, amica, compagna di Sabrina? – pienamente coinvolta nella vicenda eppure estranea, distante. E poi Silvia, sorella di Rachele, zia di Sabrina, amatissima e fuggita da Roma a Milano, tagliando i ponti con loro, con le quali viveva ed era intimamente legata da un quotidiano fatto di genitorialità condivisa. Nemmeno il viaggio in Sicilia, alla ricerca di radici familiari sospese, riuscirà a dare un senso al groviglio di queste relazioni che si raccontano in un flusso di coscienza nel quale per il lettore è difficile distinguere parola e pensiero, presente e passato, verità e finzione.
Ci ho messo un’era geologica a capire che le cose hanno per ognuno una fisionomia diversa. Che ognuno vede un diverso profilo del mondo, compreso il cantuccio che ha sotto gli occhi.
Con una prosa essenziale, densa e curatissima, che riproduce silenzi protratti e dialoghi serrati, Luccone racconta il disgregarsi delle certezze in una famiglia contemporanea, nata da un grande desiderio di maternità, colpita dalle difficoltà legate alla malattia mentale, frammentata dai silenzi e dai non detti. Un racconto incalzante, ruvido, emotivamente coinvolgente, che lascia nel lettore la sensazione di un ineliminabile sospeso, di un’irresolutezza che potrebbe sfociare in frustrazione e si trasforma invece in fascino per tutto ciò che non è pienamente comprensibile, ma solo ipotizzabile. Qualcosa che si può solo guardare da lontano e conoscere per quanto ci è dato sapere, capire, dalle voci che raccontano le vite degli altri.
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