Letteratura
Letteratura al “femminile” nella polemica che infuria in Rete in questi giorni
Albert Thibaudet scriveva negli anni Venti del Novecento: «Il romanzo sono le donne; generalmente scritto per loro, spesso su di loro, talvolta da loro». Ebbene quel talvolta, cento anni dopo, deve essere sostituito con soprattutto. Ora, la polemica letteraria del giorno è quella sollevata, coraggiosamente o incoscientemente non saprei dire, viste le prevedibili reazioni, da Gianni Bonina su “Doppiozero” (urly.it/3-ax- ) su un tema che riecheggia, seppur corretto, il bon mot del critico francese. Qui Bonina ha tentato di spiegare, mi è sembrato, le ragioni che hanno portato a quel “colpo di stato” delle donne nella Repubblica delle Lettere dove le scrittrici sono ormai saldamente intronizzate.
Bonina intenta il suo discorso critico prendendo l’avvio dal successone de “La portalettere” della esordiente Francesca Giannone, ricorrendo a spiegazioni stilistico-epocali, richiamando ossia la nota distinzione elaborata in ambito anglosassone già nel ‘700 e anche in seguito tra “romance” e “novel”. Le donne, dice Bonina, o meglio, sottilmente si infralegge nel suo scritto, avrebbero imposto il “romance” favolistico e intinto nel “rosa” intimista dei sentimenti tenui e soffusi o comunque la trattazione del mondo come potrebbe essere, a danno dell’indagine realistica del mondo come brutalmente è, e la cui rappresentazione seria pare bellamente elusa.
Solo che Bonina ad un certo punto si accorge che stabilito questo discrimine deve necessariamente farvi rientrare, in questa particolare modalità stilistica e narrativa, non solo le femminucce ma anche i maschietti quali Federico Moccia, Fabio Volo e Andrea De Carlo (e qualcuna in Rete vi ha aggiunto sornionamente i nomi di Cognetti, Giordano, Erri De Luca), anche se, secondo lui, costoro ricadrebbero nella sotto-categoria del temporary romance, che non so esattamente cosa sia, dopotutto facendo un po’ sballare il suo tentativo di fissare criticamente, posto che ci sia, il “femminile” in narrativa, che mi pare essere il bersaglio polemico sottotraccia (e comunque è ciò che ha fatto saltare la mosca al naso a moltissime lettrici e/o scrittrici in Rete che hanno puntato il dito proprio su questo elemento). Si fosse fermato alla stroncatura del romanzo “La portalettere” che c’è tutta (e su cui non posso dire nulla perché non l’ho letto), allorché scrive di “dialoghi da un posto al sole”, o allude a Prati&Aleardi, o scrive di remake di Liala, e finisce con l’esplicita allusione al fotoromanzo addirittura, sarebbe finita lì.
Accade invece che Bonina allarghi il suo discorso in maniera dotta e allusiva a precetti aristotelici infranti, quindi a quella distinzione di cui sopra tra “romance” (ma il termine lampeggia e sembra dire romanzo “rosa”, “rosa”, “rosa”) contro il “novel” cui sembra andare la sua simpatia (ma, conta poco, anche la mia). Quindi ecco aprire un fronte polemico contro la casa editrice Nord che con il suo catalogo di successi stratosferici (la saga storica dei Florio della Auci precede “La portalettere” in catalogo) avrebbe fuso il “rosa”, il “sociale” e lo “storico” costruendo quasi in laboratorio il nuovo genere scritto da donne per donne che è appunto questo “romance” a forti tinte rosa. Poi allarga ancora il discorso o alza il tiro, fate voi, e scrive che in fondo la sequela romanzo-sceneggiatura-serie tv che si sta preannunciando per “La portalettere” come per tante altre opere, era già tutta “nelle mani” di Andrea Camilleri che se ne porta la responsabilità. Quindi, ancora, apre una parentesi destinata al gran numero delle scrittrici siciliane, «da hit parade» scrive espressamente (dalla Agnello Hornby a Viola di Grado passando per Nadia Terranova) che succedute non dico a Verga o Pirandello (pur citati) ma ai vari Sciascia, Bufalino, D’Arrigo, Consolo e Bonaviri, si rivolgono a lettrici in un corto circuito di specularità e simpateticità femminili a danno del fatto che «non c’è al momento un solo scrittore isolano che faccia sentire la sua voce, diversamente che sul piano nazionale». Infine, non pago, rivolge il periscopio del suo cannocchiale panoramico sulla lunga lista, che tralascio, di scrittrici nazionali sul proscenio, e anzi fa di peggio, allinea in un’unica frase, che sottende un unico giudizio critico Sveva Casati Modignani, Elena Ferrante e Anna Premoli (chissà come James Wood vedrebbe la propria pupilla Ferrante in questa risma). Insomma un pot pourri, un mischione davvero confuso che ha fatto perdere a Bonina un po’ la bussola e l’eleganza critica dei riferimenti aristotelici o del termine raro “invalente”, preso da molte lettrici nel tifone dei post sui social, a torto, come un termine svalorizzante o perfino un insulto, e atterrare infine in un discorso critico dove il bersaglio grosso – l’insoddisfazione evidente che si potrebbe anche sottoscrivere, ma non su questi presupposti e con queste motivazioni, per gli esiti della produzione letteraria italiana recente – avrebbe richiesto la forma e la misura di un saggio articolato e razzente, e non una serie di ragionamenti accrocchiati nel bel mezzo di una stroncatura. Ed è un peccato, perché uscire dai modi ellittici e incidentali ed esplodere in un à la guerre comme à la guerre, è il grido lungamente represso del critico sincero in difesa delle minacciate ragioni della Letteratura e del Bello.
Il teorema è già inficiato dalla ipotesi, mal posta. Perché generi letterari non coincidono quasi mai con il genere di chi scrive.