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Letteratura
Il dolore è una posizione scomoda
Il poeta Paolo Castronuovo pubblica la sua opera omnia, raccogliendo l’intera produzione ventennale di appassionata ricerca letteraria.
Non ancora quarantenne, il poeta-narratore-editore pugliese Paolo Castronuovo pubblica con le edizioni de Il Convivio “Opera. 2004-2024”, che nella premessa definisce “prematura opera omnia in versi”, progettata e pervicacemente voluta per rispondere alla “necessità biologica” di chiudere un cerchio. Mettere un punto fermo, quindi, in una produzione che si è coerentemente sviluppata lungo i binari della ricerca letteraria e dello scavo psicologico interiore, arricchendosi via via di nuove tattiche formali e di finalità ideologicamente strutturate. Un suo verso recita infatti “nutrirsi di dettagli / amplifica la profondità”, e senz’altro la varietà di immagini e atmosfere attraversate dalla parola poetica ha contribuito a potenziare lo spessore espressivo della sua scrittura. Cinque sono le sillogi qui riunite, che comprendono la produzione di un decennio, dal 2013 a oggi: Labiali, L’insonnia dei corpi, La croce versa, Bugiardino e l’inedita La giostra d’inverno, segnate da una crescita di consapevolezza che, muovendosi dall’acerbità risentita dei primi anni, affonda in una penetrazione assillante nella materia, per placarsi infine in tonalità più arrendevolmente mature.
Labiali è segnata da un autobiografismo grintoso, capace di esibire rabbie e sofferenze, imputandole sia al proprio ego sia a un tu femminile ombroso e sfuggente. Qui “il dolore è / una posizione scomoda”, ma va esibito con fierezza sdegnosa (“io sono per la distruzione, per lo sfacelo delle cose”), anche nell’intento programmatico della creazione letteraria: “Il mio verso è cambiato / abbandona l’avanguardia / e accoglie il surrealismo”. E retaggio surrealista è evidente nell’intenzione sovversiva del lessico, con l’ostentazione di un vocabolario violento in cui si rincorrono ossessioni, esplosioni, deliri, crepe, fuochi, slavine, strumenti da taglio. Anche il corpo della donna appare scomposto e respingente, nella presentazione di seni come bussole smagnetizzate, rossetto sbavato, ombelico calamaio, capelli aste, ventre piatto, pori irti, odori lasciati su una sdraio.
Continua in L’insonnia dei corpi la rappresentazione negativa di una fisicità corrotta, in cui però è la malattia reale, soprattutto psichica, ad assumere contorni disturbanti, penosi. Il tormento dell’insonnia “che plana nella gola e provoca apnea / in un corpo fiacco / di letture, pornografia e televisione” riduce l’uomo a ombra, a zombie intento a soddisfare bisogni fisiologici primari, mentre il sangue rallenta il ritmo, le unghie incarniscono, gli occhi si socchiudono. Vittima di incubi e paure, il poeta è consapevole della propria atonia, e incapace di uscirne implora: “Mi servirebbe una seduta di fisioterapia dell’anima”, “cambiami il corpo con le mani / non ha più iniziativa / ha solo fame di altri corpi”, “Devo occuparmi del mio male / addomesticarlo nella gabbia del mio corpo”. Se anche l’esterno si confina in un grigiore di pioggia, l’incubo dilaga in allucinazioni metamorfiche: “io ero arrotolato in una bottiglia alla deriva / una capodoglio incastrato nel buco dell’ozono”. Eppure, in questo sfascio di sensazioni mortifere la poesia può trovare un ritmo pacato ed elegante, e pur narrando la disperazione si aggrappa a gesti vitali di resistenza: “confido le mie giornate al cuscino / mentre il manto buio mi sferza colpi caldi”.
La terza sezione è la più corposa, costruita assemblando numerose sillogi e aperta a un confronto costruttivo con l’alterità, anche nella polemica indignata nei riguardi di un mondo sempre più contaminato. Gli strali di Castronuovo colpiscono la politica verbosa e inconcludente, le imposizioni di un falso cristianesimo, lo sfruttamento dei migranti, il razzismo, l’inquinamento, rasserenandosi solo nell’osservazione di cielo e mare, e nel desiderio di recuperare un rapporto paritario con la donna desiderata, in un abbandono reciproco al piacere sessuale. La croce versa rivela ancora un patimento psicologico (“il gran ritorno degli attacchi / di panico che rimontano come una carovana d’elefanti”), ma rimane comunque il capitolo più distesamente rischiarato del libro.
Prima di passare al commento di Bugiardino (2020-2023), che l’autore definisce “la miglior cosa scritta in vent’anni”, è opportuno segnalare la delicatezza dei versi inediti conclusivi de La giostra d’inverno, dedicati all’osservazione di un campo nomade (richiamato dalla bella foto di copertina), che nello squallore di strade fangose, roulotte scassate, donne e bambini infreddoliti, uomini intenti all’allestimento di un circo, riportano alla luce sensazioni infantili rimosse perché avvilenti. Il bugiardino che accompagna ogni confezione di medicinali offrendo indicazioni sull’uso, è metafora dei segnali forniti al lettore per introdurlo alla non facile decifrazione della parola poetica. Ma “i libri sono sbarre di un carcere / che non apre a nessun universo”, e “la presunzione di capire l’astratto / di spiegarne il senso se non di darne definizione / certa / è un piedistallo fallimentare / spruzzato di elogi da copertina”. Sembra la capitolazione di ogni impegno intellettuale, e della funzione stessa del poeta. Tuttavia è necessario “lasciare che la purezza / si faccia fiume tra le sillabe / che converta lo sporco delle virgole”, e Castronuovo infine non abdica al suo ruolo, deciso a “riabilitarsi alla scrittura” producendo versi nuovi, estranei a tradizioni collaudate in cui “la rima / baciata è uno stupro”, e invece vada abolita l’illusione del messaggio: “Sto eliminando il tu dal verbo / per dare spazio a nuove immagini / ma nulla resterà che rifugiarsi nella propria voce”. Se ciò che resta è un soliloquio privo di interlocutori, che almeno la visione sia danza, vibrazione di luci e suoni, percezione di una lacerazione traumatica da cui possa erompere una rinnovata energia, capace di guarire le ferite della mente e di un linguaggio convenzionale e abusato.
PAOLO CASTRONUOVO, OPERA – IL CONVIVIO, TIVOLI 2025, p. 222
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