Letteratura
Il dialetto necessario di Raffaello Baldini
Nata a Verona da genitori milanesi, sono cresciuta senza dialetto, sentendomi spesso defraudata di qualcosa, nella comunicazione quotidiana con l’esterno, in un Veneto in cui le parlate locali sono ancora veicolo privilegiato di relazione interpersonale. Ma il dialetto non ha solo una funzione di collante sociale e di recupero affettivo della tradizione: conserva infatti una superiorità espressiva e un’originalità di contenuti in grado di opporsi all’omologazione uniformante e inautentica del linguaggio ufficiale. Letterariamente gode in Italia di una tradizione antica e illustre soprattutto per quello che riguarda la poesia. Dagli autori più classicamente autorevoli (Porta, Belli, Pascarella, Trilussa, Di Giacomo, Bovio, Totò, Barbarani, Tessa, Noventa, Giotti, Viviani), per arrivare ai moltissimi attivi dal dopoguerra a oggi (Loi, Giotti, Pasolini, Bertolani, Buttitta, Guerra, Pierro, Marin, Pedretti, Bandini, Zanzotto, De Vita, Calzavara, Giacomini, Franzin, Cecchinel, Sovente, Scataglini…), sono tante e diversificate le abilità espressive lontane dai binari stereotipati della formalità linguistica, capaci di recuperare abitudini e atmosfere che rischiano altrimenti di illanguidirsi o addirittura di dileguarsi nell’indifferenza culturale e nel livellamento sociale.
Negli ultimi trent’anni, la poesia in dialetto ha conosciuto nel nostro paese una rinascita e uno specifico interesse anche da parte della critica più impegnata, che in passato l’accusava di utilizzare temi retorici o faceti, e di prediligere la descrizione di personaggi ridotti perlopiù a macchiette. Con l’affrontare argomenti etici e di costume, di responsabilità civile e di introspezione personale, è riuscita a riscattarsi dalla nomea di passatismo nostalgico e di folklorismo sentimentale.
Grande poeta, tra quelli che hanno scelto di scrivere nella lingua del loro paese d’origine, è stato senz’altro Raffaello Baldini, nato a Santarcangelo di Romagna nel 1924 e morto a Milano nel 2005. La sua produzione letteraria è iniziata tardivamente, verso i cinquant’anni, quando a Milano lavorava come redattore al settimanale Panorama. In un’intervista dell’ottobre 2000, così spiegava la sua scelta di comporre versi in romagnolo: “Dalle mie parti ci sono ancora cose, paesaggi, persone, storie, che succedono in dialetto. Raccontarle in italiano vorrebbe dire tradurle”, cioè perdere spontaneità, perché in termini militareschi “l’italiano è sull’attenti e il dialetto nella posizione di riposo, in italiano sei in servizio, in dialetto sei in libera uscita”.
Autore di diverse raccolte di poesia e di alcuni testi per il palcoscenico, Baldini ai è imposto all’attenzione nazionale con la pubblicazione da Einaudi di La nàiva-Furistír-Ciacri nel 2000 e di Intercity nel 2003. Oggi, per lo stesso editore, esce Ad nòta, con la prefazione che Pier Vincenzo Mengaldo scrisse nel 1995, quando il volume uscì per la prima volta da Mondadori.
Poeta dialettale “per necessità”, come lo definì appunto Mengaldo, l’uso che Baldini fa della sua lingua ha un fondamento più emotivo che letterario, nella volontà di riscoprire il rapporto vissuto con la comunità di appartenenza, con gli abitanti e l’ambiente naturale e urbanistico in cui essi agiscono. Santarcangelo viene raccontato coralmente, attraverso il parlato informale della gente, reso nella sua quotidianità, fatta di intercalari caratteristici, impulsi umorali, deviazioni irrazionali, formule linguistiche che hanno un carattere tra il narrativo e il teatrale, e procedono per accumulo, quasi estemporaneamente, a ruota libera. Lontani da ogni intellettualismo, i racconti in versi di Baldini sono veri e propri monologhi in cui la voce narrante si esprime con scarsa linearità, in maniera torrentizia o frammentata, ripetendo concetti, interrompendosi, inseguendo un groviglio di pensieri e sentimenti irrazionali, intessuti di spavalderia o rancore, paura o nostalgia.
Chi sono, dunque, questi paesani raccontati con tanta confidente solidarietà, affettuosa sintonia, premurosa comprensione? Per lo più si tratta di individui defraudati nelle loro aspirazioni e nei loro diritti, che avendo patito umiliazioni, fallimenti e perdite, reclamano un credito dalla vita. Smarriti e sconfitti socialmente, ottengono tuttavia un risarcimento morale proprio per l’inoffensivo candore che li condanna alla marginalità. Così le loro confuse e inconcludenti requisitorie contro i costumi corrotti, le violenze e le ruberie, la ricchezza esibita, la vanità della moda, le chiacchiere giornalistiche e televisive, rivelano un’eticità ingenua e grottesca, provocando nel lettore commozione e istintiva simpatia.
Il giovanotto vissuto che si innamora di un’adolescente immaginandola inesperta, per rimanerne deluso la prima notte di nozze, l’anziano alle prese con i vuoti di memoria, la donna stufa di portare i tacchi bassi, l’impaziente che chiede sempre l’ora ricevendo risposte differenti, il misantropo rinchiuso in cantina, l’incolto che si interroga sul senso della vita e viene deriso da tutti, trovano nella conclusione imprevista del loro confessarsi il colpo d’ala della risata, dello sberleffo, del singhiozzo appena trattenuto, che li rende straordinari interpreti della commedia e della tragedia del vivere. Ognuno esibendo un nome o un soprannome di quelli che non si danno più: Secondo, Gepi. Tugnìn, Siro, Vergiglio, Doriana, Gardo, Micalètt, Nerio, Ivo, Carmen, Miranda, Angelina…
Gli esasperati recitativi in endecasillabi di Raffaello Baldini (con le incalzanti frasi nominali, gli elenchi ellittici, i martellanti punti interrogativi, gli intercalari plebei – porca putèna, ch’u t végna un azidént! –, i rumori sospesi nell’aria: bestemmie, litigi, motori, latrati…) restituiscono oralmente nella loro malinconia e comicità surreale il policromo e appassionato carattere di un intero paese, quale oggi purtroppo va perdendosi nell’anonimato urbano, impersonale e conformista.
Inevitabile e necessaria è la traduzione in italiano del dialetto romagnolo, riportata in calce a ogni composizione, fedelmente ricalcante la scrittura originale. Chi volesse appropriarsi dello spirito più genuino della poesia baldiniana, può recuperarlo nei quattro CD-audio del cofanetto Compatto, pubblicato nel 2019 da Off Edizioni, con la cura di Simone Casetta, in cui l’autore legge magistralmente i suoi testi, alcuni dei quali tratti proprio dal volume Ad nòta.
RAFFAELLO BALDINI, AD NÒTA – EINAUDI, TORINO 2021, p. 133
Prefazione di Pier Vincenzo Mengaldo
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