Letteratura

Il Cuffaro scrittore. Cronache dalla presentazione del libro di “Totò vasa vasa”

23 Aprile 2016

Democristiani della Prima Repubblica, balenieri bianchi della Seconda, imprenditori, avvocati, curiosi. Gli orfani del cuffarismo riempiono uno stanzone. Seduti su delle sedie scomode affollano una sorta di salone parrocchiale scarsamente arredato. In un vecchio e quasi disabitato convento francescano di un paese di provincia siciliana va di scena il ritorno del ras di Raffadali. Jeans, scarpe sportive, un maglioncino di cotone verde. E’ magro “Totò vasa vasa”. Gli anni di carcere lo hanno debilitato, e si vede pure. Persino la voce sembra più gracchiante, limata, raschiata. Totò è tornato al centro del suo granaio elettorale non più da capopolo o capocorrente, ma da scrittore. Un tour editoriale per presentare il suo ultimo libro  (“L’uomo è un mendicante che crede di essere un re” edito da Wingsbert House). Il tavolo all’ingresso su cui troneggiano decine e decine di copie costituisce la premessa, argomenta le ragioni della sua presenza. C’è un prodotto da presentare, da promuovere e soprattutto da vendere. E Totò vende. Eccome. C’è chi sottobraccio tiene strette almeno 3 copie: per gli amici degli amici degli amici. Vanno a ruba i libri di Totò. Rilegata, sotto una copertina bianca, scorre la sua vita. Soprattutto quella degli ultimi anni, costretta in una cella di pochi metri quadri e condivisa con delinquenti comuni. Alla fine autografa le copie vendute come un Fabio Volo qualunque. Li verga di pensieri e dediche. Ed intanto elargisce sorrisi rassicuranti.

Cuffaro è un Pannella cristiano. Parla di diritti, dell’iniquità del sistema carcerario, dell’ipocrisia dell’ergastolo che ha cambiato pelle (“adesso lo chiamano fine pena mai”), ma a differenza del leader radicale farcisce le sue lunghe filippiche con citazioni e riflessioni teologiche. Anche se poi fa un’ammissione. La sua ultima opera- dice- è stata ispirata da “La fattoria degli animali” di Orwell (“che di certo non è uno scrittore cattolico, anzi è lontano dalla cultura che mi ha formato”). Che faccia il tifo per Papa Francesco è chiaro; lo omaggia spesso, regala aneddoti della visita del pontefice in prigione, gli rende merito per le sue ultime parole pronunciate in Messico a favore dei carcerati. Dissemina il suo eloquio di episodi quotidiani di vita dietro le sbarre. “Prima di entrarvi vivevo di luoghi comuni sul carcere. Nei film ti raccontano di guardie violente e di sodomizzazioni nei bagni. Macché, quando sono entrato in una doccia comune gli altri detenuti per rispetto mi hanno lasciato da solo”.

Il Totò scrittore non è molto diverso dal Totò politico. I temi sono cambiati, ma la verve sembra la stessa. Condisce i racconti con riflessioni e battute spiritose. Incassa applausi e risate quando della visita del Papa parla di Bergoglio che gli ruba il mestiere, ironizzando su quell’appellativo “vasa vasa” che lo ha reso l’icona del doppio bacio carpiato, dello sbaciucchio collettivo. Roba da guinness dei primati, da olimpiadi estive, da studi di sociologia spicciola. “Il Santo Padre non ha fatto altro che baciare i detenuti, ha baciato pure me. Da baciatore sono diventato un baciato”. Offre sprazzi di vita di coloro costretti a vedere il sole a scacchi, come quando rivela il momento comunitario per eccellenza, quell’agape televisiva che si consuma tutte le sere nella visione di “Un posto al sole”, la soap preferita dagli ospiti delle case circondariali della Penisola.

E’ un Cuffaro rabbuiato quello che riporta le tante privazioni subite, come di quando i giudici gli hanno impedito di partecipare ai funerali del padre o di quando gli hanno vietato la festa di laurea della figlia. Non spende una parola sul processo, ma accusa di frequente il sistema carcerario italiano puntando l’indice verso la politica. “Non è vero che in Italia non esiste la pena di morte- ripete spesso-. Come si può definire la condanna di un uomo a restare in cella per tutta la vita? Che speranza gli viene data? In che modo viene riabilitato un condannato?”. Parla dei tanti, tantissimi suicidi che irrorano di sangue le grigia mura dei penitenziari italiani. Si affligge nel pensiero di non essere riuscito ad intuire e prevenire le malsane intenzioni di un compagno. “Il giorno prima aveva commentato con me il suicidio di un detenuto. Il giorno seguente si è reciso la giugulare. Abbiamo scoperto che si era tolto la vita vedendo quel fiotto di sangue che aveva varcato la porta della cella”. Riflette pure sui marò. “C’è stata una giustissima mobilitazione per riportare in patria uno dei marò colpito da un attacco ischemico, ma nessuno si mobilita per i tantissimi carcerati che soffrono di patologie serie. Io ad esempio ho condiviso la cella con un detenuto affetto da linfoma di Hodgkin, e nonostante la gravità della malattia è rimasto rinchiuso per anni”.

L’ex presidente della Regione Siciliana discorre, con raziocinio, di un’Italia distratta sulla vita nelle carceri. Degli italiani che pensano che ai delinquenti è meglio rinchiuderli per sempre e gettare via la chiave. Peccato che Cuffaro abbia raccolto, nei suoi anni di potere, i voti dei ceti più popolari, del partito del “buttare via le chiavi”. Ha incassato per lunghi periodi il sostegno di una destra forcaiola. Egli è stato perciò vittima di un sistema che ha sostanziato.

E’ un Cuffaro comunque intimo, profondo, che accetta di denudarsi dinanzi al proprio popolo. Ispirato da temi meno burocratici e più umani: medita sulla democrazia assoluta e livellante  obbligata dalle sbarre, del concetto di fraternità e amicizia imposto dalla costrizione. Di fede, amore, amicizia. Soprattutto di libertà. Di libertà privata. Di libertà agognata.

Il Cuffaro paladino dei diritti è comunque molto più condivisibile, nelle tesi, del Cuffaro analista politico. La seconda parte della sua arringa a sostegno delle sue ragioni puzzano di tipica ipocrisia da politico mediocre. “Ho ritrovato una Sicilia più affamata e arrendevole. Soffro nel vedere i siciliani emigrare. Un’emigrazione diversa da quella del passato, di chi andava via con il desiderio di tornare, e per questo inviava i soldi in paese per costruire la casa in previsione del ritorno. Chi parte oggi non sa se tornerà”. Cuffaro ha ragione: la Sicilia è affamata. Ma ha la stessa fame di quando c’era lui al vertice del governo regionale. I disastri di oggi sono il risultato delle colpe di Crocetta ma anche il prodotto di azioni scellerate compiute da chi l’Isola l’ha governata e saccheggiata. La Sicilia è anche il risultato più rovinoso del cuffarismo, la vittima principale di un sistema di potere nauseabondo e stomachevole che tutt’ora continua a prevale sotto insegne differenti. Il carcere è servito a pareggiare i conti con la giustizia, ma non ha mondato Cuffaro delle colpe politiche. Totò dovrebbe dedicarsi ai diritti civili. Un ruolo in cui, bisogna riconoscerlo, appare credibile. Ma del Cuffaro politico non credo che l’Isola ne abbia realmente bisogno.

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