Letteratura

Il cimitero di farfalle: le prose di Franca Mancinelli volano a New York

31 Maggio 2023

 

Ho avuto il privilegio di leggere un libro di Franca Mancinelli ancora inedito in Italia. Un’ampia raccolta di scritti il cui titolo dà l’avvio al primo capitolo e connota poi la stesura di pagine de Il cimitero di farfalle (The Butterfly Cemetery, translated from the Italian by John Taylor, The Bitter Oleander Press, Fayetteville, New York 2022). È un insieme di testi, diversi per periodo e per stile, variegati proprio come le diverse specie di farfalle che annunciano le primavere italiane. Un’opera che unisce non solo scritti ma scritture diverse, che come racconta il traduttore John Taylor in calce al libro, confermano l’idea guida di Franca Mancinelli di un’identità aperta, in transito, i cui versi (le direzioni) non necessariamente convergono a un ordine delle cose. Sono pagine che si collocano tra il 2008 e il 2021, dagli anni dopo il primo libro di versi Mala kruna fino al presente dell’ultima pubblicazione poetica Tutti gli occhi che ho aperto. Eppure non è un’antologia di prose poetiche o di racconti, non è un romanzo e nemmeno – se non parzialmente – un saggio. È un paniere ricco di immagini e ricordi, un memoriale intimo che nelle ultime pagine indaga la genesi della poesia dell’autrice; parole di un’intimità coraggiosa e sobria, che evita il rischio dell’avvitamento su sé stessi e ci porta via con leggerezza, in volo, su immaginarie ali di farfalla o – nei passaggi più bui – di falena. Come il volo dei fantasiosi lepidotteri, anche queste pagine – che si aprono sull’autrice bambina – sono sequenza di voli brevi, a volte intermittenti o sincopati, solo apparentemente disorientati rispetto alla direzione (il verso). Non c’è pagina senza verso, talvolta nascosto ma più spesso evidente e vociante, nei passaggi dalla narrazione alla visione, dalla registrazione del reale alla sua fantasmagoria. L’autrice sa ben cesellare ogni singola parola, sa condurre il flusso carsico della poetica senza disperderlo, perché all’ultimo si compia l’incanto della scrittura. Nonostante l’oppressione del reale coi suoi luoghi, la quotidiana desolazione, il dolore, tutto il dolore di una vita, qui si fa elegante riconoscimento di sé, chirurgia interiore, ad estirpare parole da dentro, portarle alla luce riconoscendo importanza ai demoni.

@ zona|disforme – Carlotta Cicci Stefano Massari

 

Le farfalle hanno una vita breve, delicata, muoiono nella gioia di essersi compiute. La stessa delicatezza nella caducità delle umane cose è la linfa dei testi de Il cimitero di farfalle, nei quali anche l’amarezza più corrosa trova nell’idillio di un passaggio metaforico la luce e l’aria della scrittura. Molti capitoli, come quelli rivolti all’infanzia e poi all’adolescenza, si nutrono di narrazione e di memoria; si intravede la filigrana di un racconto di Natale, di una possibile trama domestica, ma rimane preminente, dietro ad ogni incursione di realtà, il valore magico della parola. Corpose e dense, le pagine sperimentano una prosa che si fa di volta in volta paratattica, articolata, morbida e puntuta, mai consolatoria o dubbiosa, semmai contraddittoria, oppositiva a qualunque illusione di verità; Franca Mancinelli in questo libro è le sue scritture, tutte le sue età in un tempo sospeso sul mare e tra i monti delle sue Marche; non si nasconde davanti alla tentazione di rivelare le proprie radici, i diversi occhi-rami persi, i luoghi dell’infanzia e di questa gli orrori; non indugia al riconoscimento di una poetessa nella bambina dalle farfalle morte tra le dita; rivela e nega la sua stessa poesia, non immediata, “da spellare” viva, da scartare come un dono trovato a sua insaputa; nata dai piccoli semi custoditi nei silenzi dell’adolescenza e della prima maturità, finalmente scaturita snodata come dispiegata fuori da innumerevoli taccuini di appunti: una poesia rivelata – come spesso accade – da momenti di un afasico dolore. Così l’autrice ha ceduto la parola, l’ha diretta in versi, ha salvato la bambina dalla prigionia del mondo, ha scritto tanto, e qui ne raccogliamo i frutti.

@ zona|disforme – Carlotta Cicci Stefano Massari

C’è una cruna che divide l’essere poeta e il riuscire a farlo. In questo libro troviamo una poetessa in embrione (in-vocazione), ma solo dopo la parte centrale sentiamo che questa ha iniziato a “fare poesia”, tanto che, nella sezione finale del libro, generosamente, la bambina diventata donna, ci dona pagine preziose su come e perché nascano i suoi versi.

Se nei primi capitoli riusciamo a vedere l’infanzia dell’autrice che cresce e si fa adulta senza abdicare all’ingenuità dello sguardo, al gioco e allo stupore, nelle pagine finali, di quella bambina (custodita dentro), cogliamo ancora la tenacia e la presa delicata delle dita con cui, inconsapevole, lasciava le farfalle sfiorire nel sottoscala. Non c’è mai retorica facile, c’è un intento di onestà nell’autrice che arriva a dirci i maestri seguiti nel compimento faticoso della scrittura (Eliot, Proust, Rilke, Pessoa), dandoci di ogni sua raccolta poetica una genesi spogliata di qualunque vezzo narcisistico. Possiamo parlare di pagine biografiche, ma anche biologiche: nella scrittura poetica di Mancinelli vengono secrete linfe e sieri vitali, vengono sezionati gli organi e gli arti, e del sangue possiamo vedere le stille, i piccoli cerchi rossi caduti a terra attorno a un corpo in frantumi. Biologica anche per la forte presenza di soggetti di natura: animali, uccelli, insetti, alberi sono i protagonisti del libro assieme alla poesia che si fa soggetto vivente e gli umani che paiono restare sullo sfondo delle piazze, all’orizzonte dello sguardo. Il poeta Brodskij ci viene in aiuto in questo senso quando ricorda che l’uomo è un animale poetante e nella poesia c’è dell’uomo la destinazione genetica.

@ zona|disforme – Carlotta Cicci Stefano Massari

 

Procedendo a volo di farfalla, questo testo che inizia con un piccolo cimitero domestico, esalta in ultimo la vita. Lo fa attraverso il cammino, il viaggio che compiono le stesse pagine avanzando dall’infanzia tra le pareti di casa fino all’adolescenza alveo della poesia che si andrà a generare negli anni dell’università; il viaggio (che è il fremere delle cellule vitali) termina col capitolo L’invisibile come testo a fronte di cui cito un passaggio: Ogni volta che stringiamo una penna dobbiamo ricordare questo antico ramo con cui abbiamo scritto da bambini, quando traducevamo dall’invisibile (il nostro stesso corpo, la nostra presenza, era una traduzione recente dell’invisibile). La fine e l’inizio, dunque, tra le mani di un bambino che scrive l’invisibile, lo traduce incarnandolo, ne fa poesia al di qua della parola, ante-litteram del gioco adulto dei versi, nella ricerca di senso.

 

 

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