Letteratura

Il cammino è sempre da ricominciare

28 Marzo 2020

Attraverso un lungo e articolato intervento su «la Repubblica» Alessandro Baricco rivolge all’umanità del nostro tempo un invito, un’esortazione: “è arrivato il momento dell’audacia” per affrontare la sfida più difficile della storia recente: la lotta al coronavirus. Dopo un cauto riferimento ai medici che ogni giorno mostrano la loro tenacia e resistenza psicofisica nella lotta alla malattia e ai quali nessuno può dare suggerimenti, l’autore spiega che cosa secondo  lui voglia significare essere audaci per gli intellettuali: “dare a tutti qualche certezza”. E da questo punto in poi Baricco sviluppa i suoi punti di riflessione così riassumibili: con il coronavirus il mondo non finirà, da sempre combattiamo contro i virus: ce la faremo anche questa volta; durante la reclusione cui siamo obbligati abbiamo acquisito tutti un senso profondo di gratitudine e fiducia verso il mondo digitale, anzi, abbiamo finalmente coperto il ritardo con cui ci rapportavamo al Game; il distanziamento sociale ci ha fatto capire che l’umanesimo non è solo un periodo storico da studiare sui libri, ma è la sola condizione esistenziale possibile; di fronte alla malattia siamo tutti uguali e non c’è distinzione di classe che tenga; chi ci governa è impreparato perché ha impalcature mentali ancora novecentesche e dunque, forse, per questo, osserva ancora Baricco, c’è una certa sproporzione “tra l’entità del rischio” provocato dall’epidemia e “l’entità delle contromisure” che sono state assunte; dobbiamo cominciare a sviluppare una certa “capacità di morte” che gli antichi avevano e noi abbiamo perduto: ci affanniamo a combattere la morte e invece dobbiamo imparare a pensarla come “la cresta di un’onda che siamo”, la morte ci appartiene perché siamo vivi, insomma; la tragedia può trasformarsi in opportunità: dopo l’emergenza finalmente si potrà ripensare l’economia, “redistribuire la ricchezza e riportare le disuguaglianze sociali a un livello sopportabile e degno”.

Non è il caso di entrare nel merito delle idee e delle osservazioni di Baricco: ognuno riflette sulla base della propria formazione e della propria cultura. Su alcune cose, come per esempio il senso dell’umanesimo, non si può che essere d’accordo; altre potrebbero essere messe in discussione, altre ancora sembrano considerazioni ovvie. È, invece, sulla premessa che pare difficile concordare e cioè che il compito degli intellettuali sia quello di “dare a tutti qualche certezza”. Ecco, è davvero assurdo credere che questo sia il mandato degli intellettuali.

C’è un noto brano del romanzo di Svevo, La coscienza di Zeno, in cui il protagonista analizza criticamente le certezze della moglie Augusta: “essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano di natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare! Tutt’altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto”. Ebbene, la prospettiva di Augusta somiglia molto ai tentativi di semplificare il presente espressi così da Baricco: “il mondo non finirà … Torniamo in noi … Da sempre combattiamo con i virus. Spesso ci hanno messo in ginocchio. Si dà il caso però che in quella posizione scomoda diventiamo ancora più pazienti, cocciuti e furbi”.  Zeno, però, osservando la moglie, gradualmente e con simpatica ironia comincia a dubitare delle sue convinzioni, delle sue certezze e capisce che nascono dall’incapacità di mettersi in discussione. La differenza tra Augusta e Zeno consiste in questo: Augusta è sclerotizzata nelle sue certezze; Zeno vive di dubbi. Eppure Zeno attraverso i suoi dubbi analizza il mondo, se stesso, la realtà; non dà soluzioni, non emette giudizi: esamina, osserva, analizza, nutre e instilla dubbi e proprio grazie ai suoi labirintici smarrimenti conquista il panorama della letteratura del Novecento. Questo è il compito dell’intellettuale: sollevare dubbi.

Per esempio, un problema acuto su cui un intellettuale in questo preciso momento storico non dovrebbe esprimere valutazioni è quello di riferirsi alle politiche di contenimento della pandemia in modo liquidatorio, semplicemente come una questione di sproporzione tra entità del rischio e entità delle misure: uno scrittore che si occupa di romanzi, potrebbe limitarsi a considerare il numero delle vittime di questa emergenza sanitaria e riflettere sul senso del dolore. E, invece, Baricco sceglie di parlare di sproporzione: perché usa questo termine? Che cosa ne può sapere? Non è un epidemiologo e non è neppure un politico: non può avere né dare certezze in un campo per cui non possiede le competenze adeguate.  Ma, poi, non è solo una faccenda di competenze. Il problema sono le certezze, lo spaccio di verità, la presunzione dell’oracolarità.

È, dunque, sulla funzione degli intellettuali che bisogna mettersi d’accordo. Gli antichi Scettici propendevano per l’epoché, la sospensione del giudizio. Pasolini, invece, sceglie un’altra strada, appassionata, parla dello “scandalo del contraddirmi”: il dubbio, l’oscillazione, il rischio dell’incoerenza, l’amarezza di sapere che si può anche possedere la storia ed esserne illuminato, “ma a che serve la luce”? Le tragedie si consumano lo stesso. Questo è il senso dell’essere intellettuali: porre dubbi, cercare, investigare, non accontentarsi di risposte, non diffondere certezze, essere consapevoli, come scriveva Montale, che “il cammino è sempre da ricominciare”.

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