Letteratura
Il borghese e l’immensità: Goethe, Flaubert e le tartine
Com’è noto, Goethe ebbe una fase romantica che coincise con l’adesione allo “Sturm und Drang” (tempesta e impeto). È la stagione giovanile del Werther. Successivamente egli si distaccò dal movimento romantico e assunse verso di esso un atteggiamento severo di dissenso quando non polemico. Goethe aveva optato definitivamente per il contenimento “classico” delle passioni, il controllo sapiente delle emozioni, l’irreggimentazione colta della sensibilità. Occorre, secondo lui, saper accettare i limiti della finitezza, anche filistea, dell’esistenza (Goethe fu responsabile a Weimar, tra l’altro, delle miniere, a comprova che “si può essere poeti e pagare l’affitto”, come diceva Paul Valéry). Ma al di là delle formule stilistico-epocali (classicismo, romanticismo, decadentismo) resta la sostanza morale del suo atteggiamento che un artista d’oggi, schiavo delle pose ormai centenarie dei bohémiens che si sono infiltrate anche nell’ultimo rocker maledetto, rifiuterebbe con disprezzo.
Ancora oggi, attorno a noi, vi sono individui che vivono senza rete, sfrenatamente, “romanticamente”, le proprie passioni, in una permanente dilatazione e dispersione del proprio Io nel mondo, facendo strazio di ogni confine, sfidando ogni infinito, rifiutandosi di vivere nella finitezza di ogni limite, limite che potrebbe essere (faccio solo alcuni esempi) una vita stabile di coppia, anche un lavoro ordinario e senza ambizioni tranne quella di un dovere assennatamente ed esattamente compiuto.
È il limite – il finito e la finitezza-, che soli ti possono dare il brivido dell’infinito, dell’illimitato. Come nella “colomba di Kant”: è l’ostacolo dell’aria che ci fa volare: senza, cadremmo nel vuoto.
Flaubert lesse il Werther certamente e ne rimase molto impressionato. A tal punto che questo libro entrerà nella sua opera e nella sua corrispondenza privata e vi sarà ricordato più volte. Perché? Flaubert era un romantico controvoglia e aveva capito la lezione di Goethe. C’è, infatti, già nel Werther, il Goethe olimpico e classico, “antiromantico” che si preannuncia – il quale, con questo libro, sembra pagare, prima di distaccarsene per sempre, il tributo al sentimento amoroso della sua generazione, quella degli amori al chiaro di luna e degli amanti suicidi (Kleist). Procede in questo romanzetto pertanto all’ abbassamento stilistico del sentimento amoroso situandolo in un quadro domestico e ordinario (si veda l’episodio di Lotte e le tartine).
Ora, sia Lotte che le tartine torneranno ne L‘Educazione sentimentale, nella prima scena come nell’ultima, la più straziante e la più “romantica”. Nella prima scena il tributo al Werther è pagato attraverso una contestualizzazione domestica: Madame Arnoux è ritratta in un quadro del tutto ordinario mentre ricama (Frédéric, il protagonista “Guardava il suo cesto da lavoro con stupore, come ad una cosa straordinaria”) e la donna è alle prese con la fantesca e i capricci della figlia bambina. Nell’ultima scena tra i due amanti Frédéric dice alla sua sempre amata e mai posseduta Madame Arnoux: – “Tutto ciò che si biasima come esagerato in amore voi me lo avete fatto provare. Ho capito infine la scena di Werther che non disdegna le tartine di Charlotte”.
Goethe, Werther e le tartine torneranno in una bellissima lettera di Flaubert scritta nella notte del 21 -22 agosto 1853 alla sua amante Louise Colet. Qui il fatto che Goethe, dopo aver finito di scrivere il Werther – quasi un tributo pagato dallo scrittore tedesco alla tempesta e all’impeto, all’infinito amoroso-, si sposi con “sa servante*” fa scaturire queste parole alla penna di Flaubert: « Bisogna recitare durante la propria esistenza due parti: vivere da borghese e pensare da semidio. La soddisfazione del corpo e della testa non hanno nulla in comune. Se si incontrano mischiate, prendile e conservale. Ma non le cercare mai insieme, perché sarebbe sbagliato, e questa idea della felicità, del resto, è la causa quasi esclusiva di tutte le sciagure umane. Teniamo il fondo del nostro cuore per spalmarlo come una tartina, il succo intimo delle passioni per metterlo in bottiglia: conserviamo una riserva di sublime per i posteri. Sappiamo cosa perdiamo ogni giorno a causa degli sgocciolii del sentimento?»
Nessuno può dire quale delle due opzioni di vita – la “romantica” e la borghese – sia quella più desiderabile. La penso come Moravia a tal proposito che diceva: una vita vale l’altra, perché in fondo son tutte sbagliate. C’è tuttavia un “però” ampiamente verificato: che spesso i fallimenti dei “romantici” li pagano gli altri, i prossimi, i parenti, i congiunti, i figli, tutti coloro che non hanno dilapidato il loro capitale emotivo e che, come diceva Orazio – il cantore dell‘aurea mediocritas, con la sua formula del “sibi constet”, sono rimasti in sé, non sono usciti fuori da/di sé, chiusi nell’ambito di un assennato, “classico”, filisteo, “umano troppo umano” recinto di esistenza ordinaria.
E spesso sono conti salatissimi che si pagano a rate tutta la vita.
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* Flaubert scrive: ” Quando Goethe sposò la sua serva, era appena passato per il Werther. Era un signor maestro e capiva tutto”. La frase in francese ha delle sfumature che non sono riuscito a rendere adeguatamente nella traduzione e pertanto la riporto: ” Quand Goethe épousa sa servante, il venait de passer par Werther. Et c’était un maître homme et qui raisonnait tout”. Ora, occorre aggiungere che la donna che Goethe sposò, Christiana Vulpius (1765 – 1816) non era la sua serva, ma la sua governante dal 1788 al 1806, prima che la sposasse. Ma il significato che Flaubert volle dare a questo riferimento alla vita di Goethe si spiega con il passo successivo che ho dato nel testo: Goethe si “adegua” a un sentimento amoroso ordinario, come a quello del Werther nell’episodio di Lotte e le tartine: vivere da borghese e pensare da semidio. Una resa al quotidiano solo esterna, nella finitezza delle forme ordinarie e “filistee” del vivere, ma non del pensare.
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