Letteratura
I poeti italiani? Si fanno domande sul (loro posto nel) mondo e guadagnano copie
È difficile attraverso gli strumenti classici del giornalismo, con un’inchiesta o un reportage, restituire la fotografia della condizione di un genere letterario in un momento preciso. Il motivo è intuibile: l’oggetto dell’indagine è troppo complesso, ampio e ricco di sfumature potenziali per quelle che sono le risorse, pure rilevanti, di strumenti senza i quali, per esempio, una società civile di sicuro imperfetta e piena di storture, ma nel complesso libera e democratica, come quella che conosciamo non sarebbe immaginabile. Fatta questa premessa, e andando a esaminare il campo della poesia italiana, il contesto attuale di questo genere letterario e le tensioni che lo attraversano, non si possono non evidenziare delle novità.
Rispetto al tempo dell’articolo che scrivemmo quasi un lustro fa su Gli Stati Generali alcune cose sono cambiate. E soprattutto sembra mutata l’atmosfera, la direzione delle cose. Uno sguardo ai numeri dice che i libri di poesia venduti nel 2018, considerando classici e contemporanei, sono stati, 728.683, pari a circa l’1% del totale del mercato dei libri (dati Nielsen). Nel 2014 i libri venduti erano stati 527.560 e la percentuale sul totale era dello 0,59%. Si tratta sempre di numeri piccoli, ma l’incremento è evidente, e piuttosto significativo in termini relativi. E, ancora, mentre le vendite di libri negli ultimi anni nell’insieme calano, quelle dei volumi di poesia aumentano.
E se nell’indagine condotta su questo giornale nel 2015 si lamentava una marginalizzazione relativa della poesia, non soltanto nella percezione della maggioranza dei lettori, ma anche nel contesto mediatico, ora le scritture poetiche paiono più visibili rispetto ad alcuni anni fa sui principali quotidiani. Si tratta senza dubbio di un indicatore parziale, ma da non trascurare e che conviene registrare. Sulle pagine regionali di la Repubblica da alcune settimane è stata varata la “Bottega di poesia”, un’iniziativa che vede poeti e critici commentare sul giornale i testi inviati dai lettori, tra cui a volte compaiono autori già conosciuti dal pubblico della poesia. Tra i curatori si possono segnalare sulle pagine di Milano Maurizio Cucchi, che già teneva una rubrica analoga su La Stampa, a Roma Gilda Policastro, che per la scuola di scrittura Molly Bloom, a Roma e a Milano, cura anche un corso di poesia a cui partecipano alcuni dei poeti e degli studiosi di poesia italiani più noti e apprezzati (da Milo De Angelis a Franco Buffoni, da Guido Mazzoni a Paolo Giovannetti), Eugenio Lucrezi a Napoli, Gian Luca Favetto a Torino, in un primo tempo Elisa Biagini e quindi Alba Donati a Firenze, Alberto Bertoni a Bologna. La poetessa Maria Grazia Calandrone cura una rubrica dedicata alla poesia su Rai Radio 3. Inoltre, non si può non notare che sulle pagine del Corriere della Sera negli ultimi anni si è dedicata ai libri di poesia un’attenzione più costante che nel recente passato.
Nel suo saggio Sulla storia sociale della poesia contemporanea in Italia Guido Mazzoni, poeta e professore di Teoria della letteratura all’Università di Siena, citando una lettera in versi del poeta Giuseppe Conte, afferma che i grandi poeti del ‘900 potevano essere percepiti “come Ministri degli Esteri di Stati avversari che dibattevano sui destini del mondo, del linguaggio, della letteratura”. A margine, ma forse non troppo, di questa analisi sulla letteratura, si potrebbe dire che anche le forme, i codici e i modi della politica sono nel frattempo molto cambiati. Evidenziando le trasformazioni che attraversano la produzione poetica soprattutto a partire dagli anni ’70, Mazzoni pone il 1979, anno in cui si svolge il Festival di Castelporziano, come data simbolica del crollo del vecchio ordine delle cose e della perdita del ruolo, o del mandato sociale, del poeta. L’analisi è interessante e ricca di riflessioni preziose, sebbene appaia fin troppo focalizzata sulla pars destruens. Se da un lato, come abbiamo scritto, si può sostenere che negli ultimi decenni la poesia abbia scontato una fase di marginalizzazione nella percezione collettiva e nel contesto mediatico, anche oggi tra i poeti non mancano confronti, scontri, oppure distanze, che muovono da visioni del mondo e della letteratura diverse o antitetiche, come si sottolinea, tra gli altri, nel saggio di Paolo Giovannetti, professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università Iulm di Milano, Poesia italiana degli anni duemila (Carocci, 2017).
Come si dice sopra, senza mutare la propria dimensione storica di genere letterario con un pubblico relativamente ristretto e per lettori assai attenti, nell’ultimo periodo la poesia è sembrata ritrovare più visibilità sui media. Accanto allo spazio significativo, nonché simbolico, sui grandi giornali, sono, se possibile, aumentate le iniziative e le riviste, in particolare online, dedicate alla poesia. E se solo poco tempo fa pareva quasi tirare aria di smobilitazione da parte dell’editoria maggiore, come evidenziava Alessandro Zaccuri, giornalista e scrittore, su Avvenire il 17 giugno del 2015, oggi grandi editori come Mondadori, Einaudi e Garzanti continuano a pubblicare poesia, sebbene non sempre sembrino riuscire a intercettare le novità più significative. Anche Bompiani ha di nuovo nel suo catalogo libri di poesia. E se prosegue l’attività di case editrici come Donzelli, Crocetti, Marcos y Marcos e Interlinea, consolidano, insieme ad altri, i loro cataloghi piccoli editori attenti e dinamici come Lietocolle PordenoneLegge, Interno Poesia, Marco Saya Edizioni, La Vita Felice, Puntoacapo Editrice, Valigie Rosse, L’Arcolaio, Nottetempo, Nino Aragno Editore, Nuova Editrice Magenta, Oedipus con la collana Croma K e Amos Edizioni con la collana A27. E, ancora, nei prossimi mesi partiranno le pubblicazioni della collana di poesia Fuorimenù, ideata dal poeta Andrea De Alberti e pubblicata dall’editore di Pavia Blonk.
Sono accadute cose interessanti anche all’interno dell’università, e non solo su iniziativa dei docenti, ma su impulso di studenti che hanno sentito il bisogno di creare occasioni di incontro e di formazione legate alla poesia aperte al pubblico. In questo ambito va segnalato MediumPoesia, un progetto ideato da alcuni studenti dell’Università degli Studi di Milano, nell’ambito del quale sono attivi Francesco Ottonello, Silvia Righi e Michele Milani, che promuove incontri con poeti di ogni generazione e dalle diverse tendenze stilistiche.
In particolare, la cosa più interessante accaduta in questi anni è che i poeti, o almeno molti tra loro, si sono trovati a ragionare, a scrivere, a farsi domande e a discutere di poesia e sulla poesia. E lo hanno fatto in molti modi, pubblicando articoli, attraverso libri e saggi, in convegni, di taglio accademico e non, confrontandosi sul presente della poesia italiana e sulla produzione poetica che chiude il ‘900, interrogandosi e a volte polemizzando sulle prospettive e sulle possibilità del futuro. Si è assistito, insomma, a una fase ampia e articolata di riflessione collettiva, di autocoscienza critica e letteraria che verosimilmente ha contribuito e potrà contribuire a liberare energie nuove. Senza voler essere facilmente ottimisti, cosa che ci interessa poco, sembra quasi che in questa fase i poeti, o quello che si può intendere come l’universo della poesia, abbiano cercato, se non trovato, un proprio posto nel mondo, abbiano provato a definire alcune basi teorico-concettuali per dare a questo antichissimo genere letterario o, se si preferisce, a questa forma di creazione artistica connessa con la parola, uno spazio nuovo nell’era sociale e mediatica in continua trasformazione in cui siamo.
Tra i saggi usciti di recente possiamo segnalare Poetiche e individui – La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018) di Maria Borio, poetessa e studiosa di letteratura, in cui si approfondisce la fase individualistica, o neo-individualistica, che ha caratterizzato la poesia nei decenni scorsi: “Lo stile diventa in diversi casi un mezzo per far mostra degli stati d’animo soggettivi e si caratterizza per un rapporto simbiotico tra corpo e psiche”. E ancora: “La poesia del neo-individualismo racconta un tempo che ha perso integrità e stabilità, pieno di resistenze tra ciò che resta della tradizione e ciò che la fagocita: da una parte, la trasformazione della società e della cultura e, dall’altra, una libertà di espressione individuale senza precedenti, ma scissa tra la rottura contro la tradizione, la crisi delle ideologie e l’inizio dell’era postmoderna”. Gli anni che vanno dal 1970 ad oggi sono affrontati anche in Poesia italiana postrema di Andrea Afribo (Carocci, 2017).
Gianluigi Simonetti, professore di Letteratura italiana all’Università dell’Aquila, in La letteratura circostante – Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea (il Mulino, 2018) evidenzia la tendenza al policentrismo della poesia italiana degli ultimi decenni: “Dalla metà degli anni Settanta la scena della poesia italiana contemporanea viene rappresentata come un ambiente frantumato, caotico, privo di caratteri veramente unitari. Il fenomeno critico si consolida negli anni Ottanta e si rafforza in seguito… Nel caos fioriscono le formule idiosincratiche, le scelte arbitrarie, le registrazioni indiscriminate e le ricostruzioni di tendenza che peraltro riluttano a dichiararsi tali”.
Simonetti parla di “una fase storica segnata dall’accesso di massa alla produzione di poesia”. E ancora: “si è andato consolidando il manifestarsi di un io lirico che ama descriversi e di fatto opera teoricamente come “uno dei tanti”: soggettività parziale accanto ad altre soggettività parziali”.
Tra i convegni pensati per indagare lo spazio che oggi ha la poesia nella società va segnalato “Lirica & Società / Poesia & Politica”, promosso il 2 marzo del 2019 da Paolo Giovannetti e dal poeta Italo Testa presso la Casa della Cultura di Milano. A sessant’anni di distanza dal Discorso su lirica e società di Theodor W. Adorno, ci si è chiesti se “il prodotto lirico” sia ancora “l’espressione soggettiva di un antagonismo sociale” e se la poesia più avvertita sia anche oggi una “reazione alla reificazione del mondo”, se non “il sogno di un mondo in cui le cose stiano altrimenti”, o se invece la mutazione del panorama sociale imponga un ripensamento del ruolo della poesia e del suo legame con l’universale.
Guido Mazzoni nel suo intervento afferma che “oggi la poesia è un sistema sociale separato che non ha quasi alcun rapporto con la politica intesa come prassi. La marginalità della poesia annuncia una marginalità più ampia, quella della cultura umanistica tutta intera. Se oggi centinaia di scrittori firmano un appello a favore dei migranti la politica non se ne occupa, se Claudio Baglioni ne parla al Festival di Sanremo si concretizza un evento politico. Dall’altra parte nella grande poesia moderna c’è qualcosa di profondamente antisociale, la protesta della soggettività lirica e non lirica si rivolge contro la società, contro le menzogne che sono necessarie per vivere insieme, la poesia è contro il disagio della civiltà e lascia parlare la radicale inappartenenza del singolo al gruppo, il suo desiderio di esprimersi fuori dalle parole della tribù e di stare con chi gli assomiglia, di non mediare”.
Per il poeta Biagio Cepollaro “la politicità della poesia non è nel tema, ma nella forma, nello stile che diventa giudizio, presa di posizione sul mondo. Per me è interessante costruire uno stile che sia idoneo a raccontare e a interpretare il corpo connesso, il corpo contemporaneo, provvisto di protesi e che comunica attraverso la tecnologia, anche senza saperlo. Si tratta di una nuova condizione antropologica. E la politicità della poesia sta anche in questa testimonianza, è un modo per organizzare immagini, suoni e senso dell’umana esperienza”.
Il poeta Umberto Fiori spiega come nella sua esperienza la poesia abbia segnato il passaggio da una scrittura in cui parlava in nome di un “noi”, di ideologie collettive, come autore dei testi delle canzoni del gruppo degli Stormy Six, a una scrittura in cui, a partire dagli anni ’80, ha iniziato a cercare la “frase normale, la frase in cui la mia singolarità e la lingua di tutti si incontravano. Nella mia chimerica frase normale sentivo la promessa di una comunità che era già lì, ma restava sempre a venire, una comunità indicibile, ma ogni giorno dicente e detta”.
Maria Borio da parte sua teorizza la possibilità di una lirica rifunzionalizzata, non introflessa, ma estroflessa, che riflette sul mondo: “È la forma di un pensiero emotivo che rende la scrittura un mezzo di conoscenza sempre a partire da una condizione di relazione: il soggetto parla di sè e del mondo, porta la testimonianza della sua esperienza e si pone il problema dell’interazione tra gli stati d’animo soggettivi e il reale, tra il vissuto personale e la tensione speculativa. Può rifondare così anche un’idea umanistica di letteratura, dove l’umanesimo è incanalato nell’esperienza”.
Secondo Vincenzo Bagnoli, poeta e fondatore della rivista Versodove, proprio il fatto che oggi, come forse anche nel passato, la poesia sia marginale, il fatto che “sia stata esclusa dall’industria culturale, dal discorso della maggioranza, per citare Tocqueville” offre al poeta l’opportunità di essere un interlocutore capace di dire qualcosa agli altri, a patto, forse, di saper usare “una grande varietà di strumenti, una raggiera quanto più ampia possibile di stili”.
Paolo Giovannetti ha sottolineato “che può essere un rischio ideologizzare la poesia, intesa come fenomeno storico, attribuendole significati e valori che non ci aiutano a comprendere la realtà, ma che finiscono per portarci lontani dalla realtà stessa”.
Nelle sue conclusioni Italo Testa ha evidenziato come molta parte del discorso contemporaneo sulla poesia, contrariamente a quanto avveniva in un passato anche recente, giri attorno al tema della verità e come, tuttavia, a suo avviso non si tratti “tanto di rispecchiamento di una verità di fatto, di un’evidenza cogente da salvaguardare, ma piuttosto di una verità a venire, non data. Si parla di “verità”, ma il discorso confina con il terreno su cui campeggia la parola “speranza”. Come se la poesia rinviasse a un’idea di mutamento, ma di un mutamento che non può essa stessa produrre. Il sogno di un mondo in cui le cose stiano altrimenti, di un mondo altro da quello che è, che nel Discorso su Lirica e società di Adorno costituirebbe l’aspetto critico del contenuto sociale della poesia, ripreso nella formula quasi incantatoria del “suono in cui dolore e sogno si congiungono””.
Il poeta Mario De Santis in un ampio intervento, pubblicato sul suo blog nel settembre del 2018, ha svolto una riflessione su quello che a suo avviso è un equivoco di questo tempo sui social network, dove è assai facile proporre i propri testi a gruppi di lettori relativamente estesi, ossia il rifiuto della “retorica letteraria” che diventa sia pretesto “per non interessarsi affatto della letterarietà della poesia” sia scelta di forme poetiche semplici che, se non supportate da studio e originalità, tendono spesso a degenerare in una poesia semplicistica.
A questo riguardo il poeta Marco Corsi, in un incontro organizzato da MediumPoesia, ha detto che se molte scritture oggi “sono semplificanti e orizzontali” si può lavorare sul presente uscendo da questo schema e che “la complessità non è soltanto oscurità, ma anche un modo per affrontare i problemi, per interrogare i significati”, mentre Borio ha evidenziato che c’è differenza tra “scrivere per essere attuali e lavorare per incidere sul contemporaneo”.
Da parte sua Lorenzo Cardilli, professore di cultura italiana al Politecnico di Milano e redattore della rivista letteraria La Balena Bianca, ha sottolineato come tendenzialmente i poeti facciano riferimento a una nicchia, quella della poesia, in cui il loro discorso ha valore e riconoscibilità, ma dove c’è pure “il rischio di parlarsi addosso, di ripiegarsi su se stessi” e che per uscire dalla nicchia ci vuole “l’azione di molti e la capacità di individuare temi e modi che intercettino la vastità del contemporaneo”.
Il poeta Tommaso Di Dio sostiene che in questa epoca di consumo e di sovraesposizione mediatica sia forse ancora più evidente la peculiarità originaria della poesia: “La poesia non passa, da sempre, i filtri della comunicazione: è anzi proprio ciò che si oppone al flusso, ciò che vi sta scaleno, storto sbagliato. Ecco: la poesia è la parola sbagliata, che balbetta il proprio tempo e lo fa sparire”.
Provando a chiosare la porzione di dibattito che qui si è provato a sintetizzare, pur senza poter dare conto di tutto quanto sta avvenendo ed è avvenuto in questi ultimi anni, non si può non rilevare una tendenza dei poeti a interrogare se stessi, accanto a un’espansione, relativa in termini assoluti, ma probabilmente significativa, del mercato misurabile della poesia. Senza considerare la quantità di scritture poetiche che ogni giorno vengono lette e condivise su internet. E se da un lato, pur in presenza di un’energia certificabile, la marginalità della poesia nel discorso pubblico e collettivo, rende difficile definirne l’identità stessa, non certo per chi la scrive, ma per una parte ampia del pubblico dei suoi lettori potenziali, dall’altra questa distanza dalle correnti materiali, ovvero economiche e sociali, principali di questa epoca fa sì che la poesia e i poeti siano oggi liberi come forse mai in precedenza di dire e di sperimentare, di sollevare problemi e di immaginare possibilità, di essere difficili o felicemente chiari e diretti, in sintesi, di essere autentici e coraggiosi.
Un indizio della vitalità della poesia e dell’insieme di valori che il suo stesso nome continua a richiamare è pure che un grande editore come Mondadori abbia pubblicato nel 2018 due saggi, scritti da due poetesse nate negli anni ’70, che trattano le possibilità, le funzioni e le percezioni connesse alla poesia con l’intenzione di parlare anche a chi sta al di fuori del pubblico degli addetti ai lavori, dei poeti e dei lettori più assidui ed esperti. Si tratta di Domare il drago di Isabella Leardini e di La poesia è un unicorno (quando arriva spacca) di Francesca Genti: il primo prende le mosse da esperienze originate da laboratori di poesia rivolti ad adolescenti e studenti delle scuole superiori, il secondo, tra le altre cose, cerca di mettere in relazione, con risultati interessanti, alcuni dei concetti, dei modi di dire, dei discorsi collettivi, e anche dei luoghi comuni o tópoi, che riguardano la poesia con i versi e le intuizioni di grandi poeti del presente e del passato.
E richiamando altre, tra le molte, riflessioni critiche recenti sulla poesia italiana, il docente di linguistica e letteratura presso l’università di Vilnius e poeta Davide Castiglione ha pubblicato un articolo che indaga e raccoglie le scritture poetiche caratterizzate da un realismo definito “empatico” e da una tendenza alla comunicabilità e un saggio che riflette sulla presenza di peculiarità riconoscibili, per così dire, generazionali o genealogiche, nella poesia italiana di questi anni. Il poeta Vincenzo Frungillo ha pubblicato un saggio, Il luogo delle forze, lo spazio della poesia nel tempo della dispersione (Carteggi Letterari – Le Edizioni, 2017), dedicato alla poesia poematica o progettuale, il poeta Gianluca D’Andrea nel suo saggio Forme del tempo (Arcipelago Itaca, 2019), insieme ad altre cose, individua relazioni ed evidenzia proiezioni tra la storia del dopoguerra, e in particolare degli anni ’70-’80, e la poesia di alcuni dei maggiori poeti italiani che fecero il loro esordio in quel periodo, e i poeti Simone Burratti, Matteo Fantuzzi, Nicolas Cunial e Julian Zhara si sono confrontati, a partire da posizioni differenti o antitetiche, sui temi della poesia performativa e del format del poetry slam. E ancora: lo scorso 13 luglio, nell’isola di Polvese, sul lago Trasimeno, si è tenuto, a cura di Umbrò Cultura, un convegno in cui si è riflettuto sulla situazione attuale della cultura europea e sulle sue radici umanistiche, a partire dalle voci dei poeti, Paolo Giovannetti e il poeta Andrea Inglese hanno avviato un progetto, coinvolgendo diversi poeti e critici, finalizzato a elaborare una sistemazione teorica della nostra poesia al passo con le trasformazioni recenti (la prima pubblicazione, Teoria & Poesia, è uscita nel 2018 per Biblion Edizioni), mentre l’Istituto di Cultura Italiana di Madrid, diretto dalla poetessa e scrittrice Laura Pugno, ha avviato un percorso finalizzato a definire una “mappa immaginaria” della poesia italiana, nell’ambito della quale i testi di un numero esteso, e suscettibile di ampliarsi, di poeti vengono classificati secondo dei criteri specifici e inediti (assertività, performance, io, mondo, sperimentazione, conoscenza e affettività).
Più in generale, in molte riflessioni sulla poesia dell’epoca in cui viviamo, e in diverse tra quelle che qui abbiamo provato a raccogliere, ci si chiede che cosa sia o possa essere poesia oggi. Si tratta probabilmente di una conseguenza, o di un riflesso intellettuale condizionato dalla fase mediatica che attraversiamo, la quale forse rappresenta soltanto l’inizio di un ciclo lungo di trasformazioni, di cui vediamo soltanto i primi segni e di cui, senza che verosimilmente la cosa ci porti ora grandi vantaggi, possiamo soltanto intuire alcuni dei possibili sviluppi futuri.
C’è chi vive con disagio la fase di relativa, o almeno apparente, democratizzazione che ha investito numerosi ambiti, e tra questi anche la letteratura e la poesia: negli ultimi decenni l’istruzione di massa ha fatto sì che più persone avessero, o ritenessero di avere, un grado di formazione idoneo a scrivere e a pubblicare, e internet e i social network fanno sì che per molti, se non per tutti, sia ragionevolmente facile far ottenere una qualche visibilità ai propri testi. È normale che non tutto di quello che si scrive e si pubblica sia letterariamente pregevole. E, del resto, sebbene il fenomeno esistesse anche in passato, la democrazia, insieme a molte cose buone, porta con sé una quota di caos. Tuttavia, continuano a essere pubblicati libri di poesia belli e meritevoli di essere letti. E forse il loro numero non è inferiore a quello di un passato più o meno recente. E i criteri per constatare la qualità dei libri pubblicati oggi non sono dissimili da quelli del passato, pur adeguati alle variazioni della società e del linguaggio. Un bel libro ha naturalmente dentro di sé i valori per durare nel tempo, ma va letto anche in relazione all’epoca e al contesto in cui viene pubblicato.
Forse ha poco senso, e non è troppo utile, provare a immaginare in quali direzioni evolveranno le forme della poesia, e interrogarsi su quale sia in un testo l’equilibrio o la sintesi migliore tra chiarezza e oscurità. A ciascun autore la libertà di trovare le proprie scritture. Però, pensando al tema del convengo tenutosi alla Casa della Cultura di Milano, di cui si parla sopra, di sicuro hanno e avranno una dimensione politica, un’eco collettiva, sia pure rarefatta e sfumata nel tempo, destinata a chi vorrà recepirla e ascoltarla, e al di là dalle copie distribuite o vendute, le poesie capaci di leggere, raccogliere e interpretare i contenuti e le forme della contemporaneità. Penso alle evoluzioni della tecnologia, della scienza e delle organizzazioni sociali, alle trasformazioni economiche che si riverberano, anche in modo sottile, sulla psiche e sulla condizione delle persone, alle percezioni comuni a molti che le narrazioni dei media non sanno registrare e alle mutazioni del linguaggio collettivo, spesso piccole, poco percettibili, ma costanti, e infine alle peculiarità e alle variazioni dei percorsi esistenziali dei singoli che un approccio unicamente esteriore e materialistico non può intercettare del tutto.
Ovviamente, non si tratta di riecheggiare in poesia i discorsi, le retoriche e le cronache dei disallineamenti economico-sociali di questa epoca e nemmeno, o almeno non necessariamente, di fare il verso, letteralmente, oppure letterariamente o meno, alle distorsioni e alle contaminazioni linguistiche in cui ci si può imbattere ogni giorno. Forse una via sperimentabile è quella di anticipare i fenomeni, di stare dentro le cose e i linguaggi, rielaborandoli, e mostrandone una proiezione eventuale, la Luna possibile, metaforica o reale, che viene indicata dal dito della contemporaneità.
In chiusura, pubblichiamo alcune poesie di tre poeti italiani, i primi due, Valerio Magrelli e Antonella Anedda, già ascrivibili all’elenco dei classici contemporanei, se così si può dire, il terzo, Corrado Benigni, nato negli anni ’70 e con un’identità stilistica già evidente. Più che di un modo per ribadire le cose dette in questi ultimi paragrafi si tratta, oltre che di un consiglio di lettura, di un ulteriore spunto di riflessione.
Da Guida allo smarrimento dei perplessi (Carteggi Letterari, 2016) e Le cavie (Einaudi, 2018) di Valerio Magrelli:
I brutti gabinetti
di certi ristoranti di paese,
che hanno di speciale?
Confinano col niente.
I cani abbaiano
e io mi fermo, ascolto.
Confinano col niente.
Anonimi sacrari, mite cesso,
dove arrivo al confine di me stesso.
Da Historiae (Einaudi, 2018) di Antonella Anedda:
’15-18
A volte mi illudo di afferrare i nessi tra le cose
mio nonno in trincea a diciassette anni
che scrive versi d’amore ignaro
che l’inferno doveva ancora venire.
Lui vivo e tutto il resto perduto
a cominciare dalla bambina
sepolta in Istria con sua madre.
Di notte stabilisco i nessi tra le cose
rivedo un vecchio esitare sulle scale
scambiare il vuoto per un lago
e le ringhiere di ferro con le felci.
Lo vedo mentre cade facendo di se stesso
un nodo di vestiti e vetri per provare
finalmente a rovesciare il male.
Da Tempo riflesso (Interlinea, 2018) di Corrado Benigni:
In una foto la luce di un lampione
tiene a bada le ombre, rivela l’inesplorato,
come se dietro l’immagine si consumasse
lo spazio rovesciato, la nostra trasparenza.
Un pulviscolo tiene insieme il passato,
figure piccole sul fondo, noi,
insetti nella ragnatela del tempo,
dove occhi invisibili ci afferrano, aldiquà.
In copertina La Divina Commedia di Dante, 1465, Domenico di Michelino (1417-1491).
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