Letteratura

I nemici di Oriana: uno sguardo inedito su Oriana Fallaci nel libro di Gnocchi

13 Aprile 2016

Oriana Fallaci, la giornalista pronta a demolire quanto si fosse frapposto alle sue imperiture convinzioni, irriducibile agli schemi del conformismo e del politicamente corretto. Da La rabbia e l’orgoglio fino alla sua morte, Oriana Fallaci subì severi attacchi da parte del mondo intellettuale e fu additata come razzista, xenofoba e guerrafondaia. Alessandro Gnocchi, capo redattore della sezione cultura del quotidiano il Giornale, nel suo libro appena pubblicato vuole presentare il vero volto della giornalista e scrittrice toscana, con cui ebbe modo di collaborare nei suoi ultimi anni di vita, inquadrando la fase finale di un percorso controverso per la maggior parte dell’opinione pubblica. Il libro I nemici di Oriana. La Fallaci, l’islam e il politicamente corretto, edito da Melville, che si pregia dell’introduzione di Vittorio Feltri, offre uno sguardo inedito, profondo e limpido sugli ultimi anni di Oriana Fallaci, cercando di chiarire i nodi essenziali delle sue parole, spesso travisate. Noi di Cultora abbiamo intervistato l’autore.

La scelta del tema è stata in qualche modo influenzata o vuole ricollegarsi all’attuale situazione politica internazionale?

Ho deciso di scrivere un libro sulla Fallaci della “Trilogia” perché mi sembrava ci fosse un’attenzione lacunosa su questo periodo in realtà così interessante. Con la pubblicazione de La rabbia e l’orgoglio, a mio avviso, inizia la prima e per ora unica polemica di portata nazionale su temi ancora attuali come il fondamentalismo islamico, l’immigrazione di massa e il politicamente corretto. Il libro racconta proprio le reazioni indignate a quell’articolo e cerca di ricostruire quali fossero le fonti della Fallaci.

Nel suo libro Lei offre una panoramica delle polemiche sollevatesi dopo la pubblicazione del libro La rabbia e l’orgoglio, il primo della cosiddetta “Trilogia”, e riporta i commenti di autori italiani, da Tiziano Terzani a Dario Fo, che senza mezzi termini condannano le dichiarazioni della Fallaci. Qual è il suo rapporto con la Fallaci? E come considera l’atteggiamento critico degli intellettuali italiani nei confronti della giornalista scrittrice?

Ho lavorato con la Fallaci proprio negli ultimi anni della sua vita. La Fallaci pubblicò diversi articoli fluviali su Libero, quotidiano di cui ero redattore. Il mio compito era far sì che arrivassero in edicola, seguendo ogni fase della lavorazione. La Fallaci era una perfezionista ed era guidata da una passione feroce. Non si è mai arresa alla malattia, che le procurava grandi dolori fisici. Ogni testo era corretto e ricorretto per giorni, tutto il giorno. Per venire alla seconda parte della domanda, credo che gli intellettuali italiani non l’abbiano mai presa in seria considerazione, se non per dirne male. Venne trattata con sufficienza: però le sue parole sono rimaste, a differenza di quelle dei suoi detrattori più decisi. Inoltre alcuni suoi critici non l’hanno letta con attenzione, per usare un eufemismo. Cosa che si capisce da alcuni dettagli. Ad esempio, la scrittrice ha fama di essere una guerrafondaia. Certo non era una pacifista, come avrebbe potuto esserlo una ex partigiana? Certo conosceva l’importanza di difendersi, se necessario con le armi in pugno. Ma il più duro e argomentato articolo italiano contro le guerre americane in Medio Oriente porta la sua firma. La Fallaci era sicura che deporre Saddam avrebbe destabilizzato l’intera area e condotto alla creazione di uno Stato islamico sul territorio iracheno. “Sangue chiamerà sangue, e non se ne uscirà più”, diceva con raccapriccio. Cosa che è puntualmente accaduta.

Fallaci considera l’Islam inconciliabile con i valori della cultura occidentale. Alla luce del recente dibattito sulla costruzione di una moschea a Milano, per citare l’ultimo caso esemplificativo, come considera il rapporto tra la cultura islamica e i paesi occidentali, in particolare l’Italia?

Il tema è difficile e cruciale. Risposte convincenti su quale tipo di integrazione vogliamo perseguire non se ne sentono, né a destra né a sinistra. Anzi: non c’è stato alcun dibattito. O propaganda o buonismo. Entrambi irrealistici. Vorrei notare un fatto, forse marginale, forse no: negli anni che vanno dall’11 settembre 2001 a oggi, non è emersa, a livello mediatico, una figura carismatica, immediatamente riconoscibile come il volto dell’Islam “moderato” (chiamiamolo così per intenderci). Mi rendo conto che è una grossa semplificazione, e che nessuno, a differenza di quanto accade nel cattolicesimo, ha i titoli per parlare a nome dell’intero Islam. Ma questa assenza di leader e intellettuali “moderati” che possano essere considerati autorevoli e rappresentativi personalmente mi colpisce. Naturalmente ci sono, all’interno delle comunità: ma che peso hanno? Insomma: chi sono i nostri interlocutori?

Quale potrebbe essere la chiave per una pacifica convivenza? Si possono rintracciare, secondo Lei, dei punti condivisi che possano essere la base per un dialogo tra l’Islam e la cultura occidentale?

Qualunque chiave si utilizzi, non possiamo rinunciare ai cardini della società aperta e ad altri valori che connotano la libertà dell’Occidente. Ne dico qualcuno: Stato di diritto, separazione tra Stato e religione, libertà d’espressione, parità tra i sessi.

Nel suo libro si parla anche di immigrazione, un tema più che mai attuale e controverso. Cosa ne pensa, anche a proposito delle considerazioni avanzate a suo tempo da Oriana Fallaci?

Innanzi tutto una precisazione: la “Trilogia” non è un manifesto contro gli immigrati in generale. La Fallaci distingue tra chi viene in Europa in cerca di lavoro o per fuggire alle persecuzioni e “quelli di cui parlo” ovvero gli irregolari. Nella immigrazione di massa, vedeva un pericolo demografico, culturale, sociale ed economico. Si sbagliava? Credo di no. Escludiamo subito dal discorso i profughi: quelli vanno accolti, fine della discussione. Ma qui stiamo parlando di altro. Prendiamo qualche numero. In questi giorni tiene banco il caso dell’Austria, che vuole chiudere il valico del Brennero. A Vienna sono cattivi? No, hanno fatto due conti. L’Austria è il paese europeo, insieme con la Svezia, con la più alta quota di residenti stranieri rispetto alla popolazione (il rapporto è del 17 per cento, dato Onu di poche settimane fa). In prospettiva, visto che il fenomeno delle migrazioni è in accelerazione (+41 per cento nei primi quindici anni del secolo, altro dato Onu), ci sono solo due opzioni: regolare i flussi o cessare di essere l’Austria per trasformarsi in qualcos’altro.

Lei ritiene che la cultura occidentale sia realmente minacciata dalla crescente presenza di musulmani nei paesi europei, come preannunciava la Fallaci? O forse l’indebolimento e il venir meno dei valori fondanti della cultura occidentale sono da ricercarsi altrove e in diverse responsabilità?

C’è un libro molto bello di Alain Finkielkraut, L’identità infelice, sulla crisi dell’Europa. Secondo il filosofo francese, l’Europa ha scelto di disamorarsi di sé per uscire dal solco della sua storia sanguinosa. Il Vecchio continente ha rinunciato alla sua identità perché possano svilupparsi le identità che la sua storia ha maltrattato. L’immigrazione di massa è dunque una possibilità di redenzione e non una minaccia o una sfida. Va incoraggiata, non governata. Può essere un’analisi drastica, ma mi pare ci sia del vero. Di fronte alle forti rivendicazioni identitarie di alcune comunità, specie quella musulmana, gli europei fanno un passo indietro. Per insicurezza e in qualche caso disprezzo di se stessi. Il rischio è di arretrare troppo e volare gambe all’aria.

Fonte: Cultora

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