Letteratura
I manoscritti non bruciano
Sicuramente Il Maestro e Margherita (“Master i Margarita”, 1928-1940) è uno degli audiolibri più briosi di tutto il catalogo de il Narratore (Zovencedo 2015), in cui è confluito dopo ben tre anni di lavorazione.
Il romanzo incompiuto di Michail Bulgakov (1891-1940), sconosciuto in patria fino alla seconda metà degli anni sessanta e edito per la prima volta all’estero soltanto nel 1973, non ha perso smalto a distanza di quasi mezzo secolo dalla sua sofferta e travagliata pubblicazione postuma; ma resta criptico, con non pochi lati oscuri, aprendosi più di altri a diverse interpretazioni.
In questa versione de il Narratore ogni capitolo è introdotto da una musica diversa, sempre sornionamente allusiva a qualcosa che c’è e prenderà corpo di lì a poco nello sviluppo narrativo: la sagacia e l’arguzia di certe scelte non passano inosservate, dalle divaganti incursioni nel repertorio pianistico di un compositore morto in manicomio come Robert Schumann alle “trovate” jazzistiche d’altri tempi, tanto per limitarci a qualche esempio toccante e azzeccato.
Moro Silo ha una voce strabiliante per potere mimetico e capacità di calarsi in una miriade di personaggi, catapultati in situazioni esilaranti, improbabili e inquietanti a un tempo. Si ride e si sorride ma ci si ferma spesso a riflettere, mentre tutto suona terribilmente vero e credibile, pur nella “lucida follia” che percorre da capo a fondo questo testo mirabile in cui il registro espressivo del grottesco domina incontrastato. Moro Silo, inoltre, ha un grande senso del ritmo narrativo, per cui procede nel rispetto dei frequenti e impliciti “cambi di velocità” che l’autore immette nel testo, assecondandone così la sua naturale (e indiavolata?) scansione. Ma in questo romanzo non mancano neppure momenti tragicomici e stravolti, come lirici e introspettivi; e in tutti, con munifica compassione, Moro Silo ci ricorda che la scrittura creativa può essere più accessibile, in termini di verosimiglianza, della realtà “vera” che adombra, soprattutto se essa si dibatte come un’anguilla tra le mani dello stesso Bulgakov. È questa, probabilmente, la vera “incandescenza” della materia portata in scena dallo scrittore russo; che si traduce, per noi, nel fascino della sua sostanziale inafferrabilità.
Prendiamo ora in rassegna qualche “assaggio” della prestanza interpretativa di Moro Silo, dicitore di lungo corso. Dato per scontato che la voce narrante (e onnisciente) ha sempre, qui, una specifica e inconfondibile connotazione espressiva, a noi piace soprattutto l’ardimentoso lavoro svolto sulle voci dei singoli personaggi: tutte le scelte effettuate, sottoposte allo scandaglio della ricognizione analitica, svelano le proprie ragioni.
La connotazione arcana e ancestrale di Woland, ad esempio, viene ben resa dal registro grave e da una dizione scopertamente rallentata rispetto a quella – per restare nel primo capitolo (“Mai parlare con gli sconosciuti”) – di Berlioz e Bezdomnyi: l’essere contemporaneamente nel tempo e fuori dal tempo di Woland ne risulta così evidenziato. Sempre nel primo capitolo, le voci di Berlioz e Bezdomnyi seguono di pari passo il rapporto dialettico fra i due personaggi, in cui il ruolo di ottuso sicofante del secondo conosce ilari punte di goffaggine, lontanissime in verità dal percorso di “riconversione” che Bezdomnyi compirà una volta conosciuto il Maestro nella clinica psichiatrica (c’è chi sostiene che Il Maestro e Margherita possa essere agevolmente inquadrato come il romanzo di formazione di Bezdomnyi).
Nel secondo capitolo (“Ponzio Pilato”) Moro Silo si perita di dare luce al rovello e al dissidio del quinto procuratore della Giudea, personaggio che nell’economia metanarrativa del romanzo ha un ruolo chiave (sembra che il secondo capitolo nascesse nel 1928 come racconto conchiuso e a sé stante, pubblicato a parte in attesa di essere inglobato nel Maestro e Margherita): i sussulti della voce di Moro Silo assecondano in modo persuasivo il sismogramma interiore di Ponzio Pilato.
Sempre nel secondo capitolo Ješuah Hanozri non corrisponde affatto, vocalmente, all’idea comune che ne abbiamo: sulla sorprendente definizione di questo personaggio ebbe sicuramente parte l’influenza esercitata su Michail Bulgakov dal padre Afanasij, professore dell’Accademia di Teologia di Kiev; e, non da ultima, la lettura dei vangeli (canonici e – soprattutto – apocrifi).
Potremmo soffermarci ancora e a lungo sui tanti momenti in cui l’interpretazione di Moro Silo si accende e diventa funambolica, come al principio del quarto capitolo “L’inseguimento”: la popolana, che riferisce concitata di Annuška e della bottiglia rotta di olio di girasole su cui era scivolato fatalmente Berlioz, ha un piglio vocale irresistibile, cui corrisponde per contrasto la sconvolgente agnizione di Bezdomnyi. Bulgakov cambia spesso e bruscamente registro nel Maestro e Margherita, costringendo il lettore a rocambolesche diversioni (per contrapposizione o giustapposizione): Moro Silo ne approfitta facendo cantilenare il personaggio, in questo caso, come una prefica al soldo di sé stessa.
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