Letteratura
I gatti non hanno nome: il romanzo pop di Rita Indiana
In certi casi, in estate, può capitare di annoiarsi da morire, soprattutto se sei una ragazzina, di fughe al mare non se ne parla e il tempo appare come un rettilineo in chiaroscuro piuttosto ansiogeno. In altri casi, invece, può capitare di annoiarsi uguale ma di impegnarsi in qualcosa che scacci l’opprimente sensazione. Succede così alla protagonista e voce narrante de I gatti non hanno nome, vivace romanzo di Rita Indiana, scrittrice di Santo Domingo, blogger, membro di una band di merengue alternativo e speaker radiofonica. Il romanzo, accolto con entusiasmo in America latina, è stato pubblicato in Italia da NN editore, con la traduzione di Vittoria Martinetto. I fatti sono più o meno questi. I genitori della nostra protagonista sono partiti e l’hanno affidata alle cure degli zii che la destinano al loro ambulatorio per animali. C’è da gestire il flusso delle visite, le urgenze e tutte le faccende che riguardano un’attività economica del genere. Mentre i giorni scivolano tra piccole grandi questioni familiari, le stramberie di Vita, l’amica di origini italiane e qualche festa, la ragazza annota su un taccuino i possibili nomi per un gatto, traendo ispirazione anche dalla musica. Non ci sono grandi eventi, va di scena il quotidiano, filtrato dallo sguardo curioso e ironico di una giovanissima. “Vita cercava qualcosa nel suo zainetto e io non avevo per niente fame. Qualcuno disse il mio cognome in un microfono e andai a ritirare il cibo. Masticai senza dire nulla, fissando una montagna di patatine fritte infangate di ketchup finché sentii un pezzo di carne grosso come un topo che cercava di scendermi in gola senza riuscirci. Mi scossi come una forsennata senza riuscire a respirare, e alla fine mi decisi a guardare in alto”.
Di questo libro si è scritto tanto e il fatto che abbia soddisfatto le aspettative di molti lettori è acclarato. Rita Indiana ha delineato un personaggio amichevole, di quelli a cui vai incontro volentieri, perché, all’improvviso, ti strappano una risata. Una battuta, un’osservazione, una gag tra i personaggi e il tentativo, riuscito, di alleggerire un’età che per una ragazza, ma pure per un ragazzo, è alquanto problematica. L’arte di sdrammatizzare meglio si impara e meglio è. La protagonista de I gatti non hanno nome lo sa bene e ne fa una legge di sopravvivenza, compresa qualche occasionale innocua bugia ai genitori quando le telefonano per sapere come se la passa.
Indiana è una voce nuova, impregnata di sole e vento, con influenze nord americane. Vittoria Martinetto, che il romanzo l’ha tradotto, in una nota scrive: “Rita Indiana – e basterebbe il nome – è molto pop, in tutti i sensi, ma soprattutto nel senso della pop art, che esalta e rivisita gli scarti del reale e dell’immaginario. C’è la musica lì dentro – con nomi e cognomi – la pubblicità, la tivù, marche di prodotte al supermercato, enumerazioni caotiche come liste della spesa, il dozzinale, insomma (…). Terra a terra e surreale al tempo stesso”. I gatti non hanno nome è un romanzo divertente, fresco. Se c’è una stagione per ogni libro, per questo è l’estate.
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