Letteratura
I disegni: l’«altra scrittura» di Franz Kafka
«I disegni di Kafka delineano, in genere con pochi tratti, figure e volti umani. Le figure non sono statiche, ma molto spesso dinamiche, non di raccolte in un moto sbilenco, in questo caso ritratte per lo più di profilo e rivolte a sinistra». [p. 259]
Così Andreas Kilcher che riflette sulla vicenda biografica di Kafka in relazione alla sua passione e produzione artistica che precede in gran parte quella letteraria (per certi aspetti un parallelismo sarà possibile individuarlo solo a partire dal 1908, ma allora la scelta in gran parte sarà compiuta verso la scrittura). Produzione artistica che a lungo è rimasta sottotraccia.
Una produzione di disegni che non sono la fonte generativa della scrittura o, più semplicemente, il primo passaggio generativo di un prodotto pittorico, ma si propongono come testi in sé, nella forma essenziale sintetica, per certi aspetti metaforica con cui poi riconosciamo nella sua scrittura, soprattutto dei racconti che compongono la piccola raccolta «Meditazione» (per esempio il racconto Gli alberi).
Quei disegni in gran parte rappresentano corpi che però si propongono quasi come “strisce”: raramente hanno una fisionomia tridimensionale, non sono sviluppati e compiuti ma si presentano essenziali, spesso fragili. Individuano e descrivono una condizione, piuttosto che essere un ritratto. Non hanno rilevanza né il volto, né le espressioni del viso, più che altro la struttura del corpo.
Perché sono importanti quei disegni?
Si potrebbe dire in prima istanza perché con laro a pubblicazione, diventa accessibile l’ultima parte rimasta inedita della produzione culturale di Franz Kafka. Vicenda giudiziaria e storia di un patrimonio culturale molto controverse, comunque degne di un serial televisivo, come racconta Andreas Kilcher nel saggio che apre I disegni di Franz Kafka (Adelphi). – che esce in Italia a cura di Andreas Kilcher, nella traduzione di Ada Vigliani.
Ma allo stesso tempo non è solo una passione bibliografica quella che viene soddisfatta con la pubblicazione di questi disegni. Il disegno, talvolta, è Kafka a scriverlo a Felice Bauer del febbraio 1913, è il codice più efficace per dare l’idea di un atto, molto più della parola.
Scrive Kafka in quellalettera a Felice Bauer che dopo il loro primo incontro fece un sogno e in quel sogno, scrive, camminavano insieme, «molto più vicini», scrive, rispetto a quanto si è semplicemente «a braccetto». Ma poi non riesce a descrivere con parole quell’immagine e allora scrive: “Aspetta! Te lo disegno” e nella lettera stessa aggiunge due disegni [è l’immagine 127 di questo libro] dimostrazione che l’immagine può più delle parole. O come il disegno sia più efficace della scrittura.
In sintonia con questo percorso che Andreas Kilcher delinea con recisione nel saggio di apertura che descrive come il corpo dei disegni sia arrivato fino a noi e nel saggio di chiusura che con precisione ripercorre la vicenda intellettuale di Kafka che tra fine Ottocento e primo decennio del Novecento si misura con il disegno, stanno con osservazioni di Roberto Calasso, forse le sue ultime pagine pubbliche, che chiudono la raccolta dei disegni.
Quelle pagine che hanno il carattere di delineare una traccia, o di essere una prima scrittura aforismatica in attesa di un ulteriore processo di riflessione, hanno comunque sono comunque di grade spessore.
Calasso scegli poche immagini, ma ha l’intuizione di riconnettere alcune figure o parole che accompagnano la scrittura di Kafka con i temi che ricorrono nelle immagini.
Sono le immagini dei cavalli, “l’animale – scrive Calasso – più adatto a fuggire”, quella della tortura [il riferimento è all’immagine 134] forse la copertina più adatta a chi volesse proporre un’edizione autonoma del racconto Nella colonia penale, certamente il testo che con maggior anticipo ha intuito il destino e l’uso del corpo del prigioniero nel sistemi totalitari (ricordo che il racconto di Kafka è dell’ottobre 1914 quella scena della consunzione per tortura del corpo del nemico prigioniero inizierà ad essere un canone a partire dalla metà degli anni ’30).
Ma soprattutto il tema è quello del racconto Davanti alla legge (ancora del 1914 [ma da leggere insieme a La questione delle leggi, del 1920].
Calasso suggerisce che la porta che l’uomo di campagna non supera, più che un blocco indichi l’incertezza.
Provo a percorrere questa strada che Roberto Calasso accenna e che, probabilmente, ritengo sarebbe stato un tema della sua riflessione.
Cosa succede se passando la porta si trova che la legge non ha quello splendore che si intravede stando al di qua della porta?
L’uomo di campagna che non supera la soglia, implicitamente, dice due cose: da una parte ammette la sua passività, la sua obbedienza all’autorità; dall’altra dice, anche: non voglio essere disilluso. Voglio continuare a pensare le potenzialità della legge.
La legge è sempre sopra di noi, non è mai accanto a noi. Ma anche: nella legge sta anche la trasgressione possibile. Una volta formulata la legge si aprono spiragli di come trasgredirla.
È il percorso che San Paolo, afferma, nella Lettera ai Galati [3, 19-24; ma anche 5,25], e che poi riprende e risolve nella Lettera ai romani [7, 5-6].
È la legge che crea la trasgressione alla legge e, allo stesso tempo, è solo la possibilità della trasgressione della legge a consentire lo sviluppo della storia.
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