
Letteratura
Guido Morselli nei diari
Emblema dello scrittore rifiutato, Guido Morselli con i diari esprime la sua natura di intellettuale.
La narrativa diaristica è un potente mezzo di introspezione, per conoscere se stessi attraverso la scrittura delle proprie esperienze o la lettura dell’esperienza di altre persone. Ci rivela il modo di osservare il mondo, le descrizioni delle giornate, delle emozioni nascoste, come accade nei diari di Sylvia Plath o di Virginia Woolf. Preziose testimonianze di vita e non solo eventi o azioni impresse nelle pagine. In questo filone letterario, i diari di Guido Morselli sono del tutto particolari; un’esperienza in un certo senso inaspettata per chi legge.
Scritti fra il 1943 e il 1973, e pubblicati, come le altre opere, da Adelphi, l’autore vi ha lasciato riflessioni su pressoché tutti gli argomenti. Concetti acuti, mai banali, che vanno dalla religione alla politica, dalla narratologia alla psicoanalisi, dall’amore al turismo, e a Dio, citato spesso. Dalle pagine emerge quello che più gli interessava: la speculazione filosofica. Non abbandona le puntuali considerazioni nemmeno la notte delle “facili euforie”, come le definisce, del 31 dicembre, mentre gli altri, con tutta probabilità pensavano solo a divertirsi. Nega a se stesso l’ottimismo, per esplicita ammissione. Dotato di un forte spirito critico, spesso utilizza il pronome ‘noi’ più che ‘io’, dando preferenza a un’identità collettiva, un abbraccio ideale con il sapere. Raramente si sbilancia con le emozioni personali o nel citare accadimenti, eppure al contempo si svela. Elabora anche dei pensieri poetici intensi, tanto che di lui si potrebbe affermare tutto e il contrario di tutto. D’altronde Morselli è stato comunque un personaggio complesso e misterioso:
«Dolore non c’è che dolore. L’amore è soltanto finzione. La vita è una fiamma breve che guizza e si spegne in un immutabile algore».
Afferma Giuseppe Pontiggia nella prefazione, citando Goethe che consigliava di scrivere un diario non per vivere nel futuro, ma nel presente: «È curioso per uno come Morselli che quel rapporto col presente gli è sempre sfuggito. Non a caso i suoi romanzi spaziano tra il futuro dell’utopia e il dagherrotipo della storia».
In data 20 febbraio 1940, Guido Morselli scrive:
«I sentimenti quando sono manifestati perdono d’intensità. Questa è la ragione per cui il dolente, l’amante trovan sollievo nella confidenza. Questa è la ragione per cui taluno preferisce tenere i propri sentimenti per sé».
Opinione che dice molto di lui e ribadita all’interno di una parentesi – a conferire forza al pensiero più che a ridurlo – che si ritrova formulata in modo diverso in Dissipatio H. G., il suo lavoro principale, dove le iniziali stanno per humani generis, ovvero dissolvimento del genere umano, che corrispose al suo dissolvimento, scegliendo di suicidarsi con un colpo di pistola, e “la ragazza dall’occhio nero”, così la definisce, è la rivoltella presente nello stesso romanzo:
(Spiegarlo, dicevo. Ma a chi? A nessuno, ovviamente. Non mi convince la tesi che ogni esprimere anche il più privato supponga un comunicare. Quel «dovrei spiegare» non suppone niente e nessuno. Rivolto a me, è un pleonasmo funzionale. Mi tiene compagnia).
Chiaro quindi che gli archetipi utilizzati sono quelli della finzione, compresi i personaggi, primo fra tutti lui stesso. Alla fine del testo sono presenti delle integrazioni, a cura di Valentina Fortichiari che conferiscono esaustività, trattandosi di una selezione su un totale di diciassette quaderni. La speranza è che un giorno si possano leggere integralmente.
Per molti aspetti – nel rapporto controverso con le donne, nel pensiero ossessivo dell’auto distruzione, nella solitudine, nel rifiuto – ricorda le sofferenze di Cesare Pavese. Persone comuni che avevano una visione del mondo fuori dal comune e dove adattarsi, per così dire, non era un percorso contemplato.
Guido Morselli però a differenza del collega piemontese è diventato l’emblema dello scrittore rifiutato. Nato a Bologna nel 1912 in una famiglia della buona borghesia emiliana trasferitasi a Milano, visse nel varesotto, zona alla quale si sentì legato nel profondo. Non accettò di seguire le orme paterne nel settore imprenditoriale e preferì la strada, non meno priva di insidie, della letteratura. Esclusi alcuni articoli e due saggi intitolati Proust o del sentimento e Realismo e fantasia è stato pubblicato per intero quando ormai non poteva più vedere i risultati, e quali fossero, dello sforzo compiuto. Famosa è la lettera inviatagli da Italo Calvino dove gli spiega le ragioni del diniego editoriale nei confronti del romanzo intitolato Il comunista e dove Morselli, peraltro, rispose. Ne nacque uno scambio epistolare molto interessante. Erano gli anni Sessanta e in quel periodo si dibatteva in Italia sul destino del romanzo. A Calvino, che aveva militato nel Partito comunista, non piacque un romanzo con un titolo del genere (poteva andar bene un saggio) e per giunta proveniente da uno sconosciuto ai circuiti politici.
Pubblicato per la prima volta in Italia nel 1988 col titolo di “Diario”, si conclude pochi mesi prima che Morselli decidesse di congedarsi per sempre, il 31 luglio 1973. Per paradosso, egli ha preso vita proprio da quel giorno. Sui motivi del gesto le ipotesi negli anni si sono rincorse, riconducendole principalmente ai dinieghi editoriali. Parlarne ancora sarebbe fare dietrologia. Ciò che conta è la possibilità di leggere le opere, e fra queste forse i diari sono i meno conosciuti al grande pubblico, ma non meno importanti.
Guido Morselli, Diario, Adelphi, ebook, 2015, pp.386
Devi fare login per commentare
Accedi