Letteratura

Gli indifferenti di nuova generazione

Gli indifferenti moraviani riaffiorano in ogni epoca che attenta al valore e alla dignità.

21 Gennaio 2025

Nessuno, a quanto pare, lo rileva, ma uno degli scrittori italiani più importanti del Novecento è caduto in una sorta di dimenticatoio, proprio in un momento che tornerebbe utile e di attualità: Alberto Moravia. Eppure, la sua prima opera, la  migliore tra quelle che ho letto, ricorda per tanti versi, quasi a distanza di un secolo, il medesimo sfacelo etico ed economico di tante buone famiglie della nostra epoca. Non è forse vero che, oggi, numerosi ex benestanti siano interessati da un disagio sociale? Il fenomeno coinvolge già da tempo la piccola e media borghesia, facendo precipitare in caduta libera interi nuclei familiari, nella cornice di un periodo storico che attenta al valore e alla dignità, aprendo al vuoto ideologico ed esistenziale che inghiottiva i personaggi de “Gli indifferenti”, un romanzo pubblicato nel 1929, nel periodo di affermazione del fascismo. Anche l’attualità, al pari di quel regime, eleva l’apatia a forma di esistenza, decretando il disimpegno e l’indifferenza come pseudo-princìpi imperanti.

Il mainstream della comunicazione culturale, con il suo esercito scelto di operatori e operatrici, preferisce porre l’attenzione su questo o quell’autore straniero, perseguendo mode e filoni à la page, con annessa introduzione di argomenti letterari che hanno finalità salottiere, scollegati totalmente dalla realtà, che resta fondamentale anche per l’esercizio letterario più fantasioso. Il novecentesco romanziere italiano indaga, da par suo, l’imperfezione e il vizio, con una scrittura semplicemente esemplare, depurata di ogni belluria. Ecco, si potrebbe tranquillamente definire Moravia come un inarrivabile “naturista della parola”. Naturalmente, il gusto per lo scavo più profondo e audace, l’istinto e il fiuto per gli intrecci rivelatori della trama gli garantiscono l’estetica necessaria per creare degli sfondi stratificati e pigmentati, all’interno dei quali il dialogo interviene con le sue diverse tonalità. Vi è un’osservazione di Giuseppe Ungaretti, in proposito, che trovo particolarmente bella, estratta dalla sua critica su «Il Tevere», dove riconobbe al giovane Moravia qualità e dignità di scrittore, evidenziandone il talento «nell’evocare un’atmosfera o un corpo, col gusto e la malizia di un pittore impressionista».

Ciò che colpisce di più il lettore, ne “Gli indifferenti”, è l’assenza di volontà e della speranza di un cambiamento da parte dei personaggi, che finiscono per accettare amaramente la realtà per come appare e si prospetta. Un adattamento totale agli eventi che si ripercuotono nell’esistenza dei protagonisti emerge dall’analisi psichica come ineluttabile e invincibile forza del romanzo. E questo è orribile! La mancanza di resistenza alla deviante realtà storica denota uno scarso attaccamento alla vita stessa! Ma l’orrore a cui può portare lo stato di indifferenza, soprattutto emotiva, viene descritto con una particolare cura, sì da rivelarsi con distinzione e risultare l’affresco immediato e sapiente di un ambiente chiuso, non incline a nessuna novità. Nelle congetture ripetitive e prive di un pensiero vitale, nella riflessione omologata e impersonale, nell’estetica del disgusto e nell’incapacità di dare il giusto valore alle cose e alle persone, si annida anche negli animi di noi contemporanei quell’indifferenza immobilizzante, prossima all’atarassia, tipica del classico moraviano.

 

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