Letteratura
Giordano Bruno: l’eresia nella filosofia della libertà
Un’unica forza, l’Amore, unisce infiniti mondi e li rende vivi. Un cuore sacro si slancia verso l’universo intero. Giordano Bruno ha aperto le porte e scandito il tempo della “filosofia nova”, ha l’eroico furore dei vaganti di notte, dei posseduti da Dioniso, degli iniziati che, avviluppati in una danza a spirale, sfondano i secoli inutilmente pesanti degli umani. Possiede “l’amore che ratto s’apprende ai cor”, adepto dei sacri misteri di Orfeo continua il suo canto, in nome di una necessaria follia che diventa magia propizia.
Giordano Bruno sostiene la “filosofia nova” che rimuove ogni superstizione, che si riconnette alla suprema visione della Divina Bontade: nel creato, non separato dall’Altissimo, egli vede le vestigia di Dio.
La sua è la filosofia che si apre ai sensi, accontenta lo Spirito, magnifica l’intelletto e porta l’uomo alla vera beatitudine, lo fa godere dell’essere presente e non più temere di sperare del futuro.
La nova filosofia incide, e non può non incidere se è vera filosofia, nel vivere degli uomini. Non è vero che Dio sia isolato dal mondo, che il cielo dalla terra, che l’universo sia finito, che la terra ne sia al centro, immobile. Non è vero che l’uomo sia impossibilitato a raggiungere, senza mediazioni, il pensiero divino. Il mondo è un universo abitato da infiniti mondi e Dio è principio unificante e ordinante, Anima Mundi, che si identifica ineluttabilmente nella bellezza del creato, mai esausto, mai appagato della sua divina creazione. Dio e universo sono accomunati nell’unità della Vita, sono intrecciati.
L’infinito non si lascia serrare, irretire, non è fisso, né immutabile, sfonda ogni limite e la vicissitudine della vita si rinnova incessantemente. Seppure la morte dissolve tutto, invecchia la materia, tuttavia il desiderio della vita è in agguato, bramoso, perché alla povertà segua la ricchezza, alle tenebre sovvenga la luce.
Bruno compie veramente la rivoluzione di Copernico, non solo toglie alla terra la posizione di centro dell’universo, ma compie un passaggio qualitativamente nuovo: l’Infinito non ammette centro, confine, e sta dentro ogni individuo, che è potenza, fascio di energie di vita.
L’infinito di Bruno esiste, dunque, nell’individuo presente a sé, punto effettivo di ogni cosa, risposta moderna alla morte della tradizione, sguardo che penetra nell’atto di nascita della vita e incessantemente ne riscopre la straordinaria energia: l’occhio, liberato da tutte le superstizioni, riesce finalmente a vedere.
Il Nolano ha ridato la vista ai ciechi e la lingua ai muti che non sapevano, perché ha liberato la nostra ragione dai ceppi, la vita dalla tradizione morta.
L’infinito è in primo luogo amore desiderante, libertà da ogni vincolo, relazione indissolubile fra astri solari e pianeti terrestri, sintonia che non perde mai il contatto con la vita.
Negli Eroici furori Giordano Bruno si riconnette al Cantico dei Cantici della Sacra Bibbia, per esprimere la sovrabbondanza del principio divino.
Bruno ha in sé il furore eroico che provoca il disquarto di sé stesso. Qui vi è la disposizione del soggetto che vuole apprendere la conoscenza divina, che tende disperatamente alla comprensione dell’infinito per ritrovarlo in sé. Perciò, se la divinità vuole essere cercata, non può giungere ad altri, se non a coloro che la cercano, e non può essere dono spontaneo e gratuito, ma il risultato di un incontro che si concede soltanto a chi ha il travaglio del furioso.
L’amore eroico è un tormento, perché non gode del presente, ma del futuro e della bramosa assenza. Dunque, la felicità è intimamente legata per l’uomo alla tensione verso il futuro.
Giordano Bruno fu, nell’agosto del 1591, denunciato dal Mocenigo al tribunale della Sacra Inquisizione di Venezia. Tra le accuse più importanti, che rimase ferma anche nel processo che subì davanti al tribunale romano della Sacra Inquisizione, vi fu quella di sostenere «l’esistenza di molteplici mondi e la loro eternità».
Il cardinale Bellarmino e lo stesso papa Clemente VIII avrebbero voluto che abiurasse, ma lui tenne fede alla libertà del suo pensiero.
Negli Avvisi di Roma di sabato 19 febbraio 1600 fu pubblicato questo resoconto:
”Giovedì mattina 17 Febbraio in Campo dei Fiori fu bruciato vivo quello scellerato frate domenicano di Nola, eretico stimatissimo che diceva di voler morir come Martire e che la sua anima ascesa con quel fumo sarebbe volata in Paradiso”.
Quando Giulio Materenzii concluse la lettura dei capi d’accusa contro l’eretico impenitente, narra il Conte di Ventimiglia, uno dei suoi allievi, Giordano Bruno balzò in piedi e non volle baciare il Cristo, a cui non volse neppure lo sguardo ed esclamò: “ è forse maggiore la paura vostra nel pronunciare la sentenza della mia nel riceverla”.
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