Letteratura
Gianni Agostinelli: Oblomov in stile slapstick
Gianni Agostinelli con Perché non sono un sasso (Del Vecchio, 2015) esordisce con un romanzo fulminante, divertente e decisamente affilato. È davvero una lieta sorpresa leggere pagine tanto felici quanto allegre seppure attraversate da una disperante angoscia che però pervade i tempi e i luoghi, ma non l’azione di un protagonista indolente e splendidamente irrazionale. Matteo Gemmi è uno sconsolato e perso studente di filosofia, un ultra trentenne italiano alle prese con una quotidianità sciatta e difficile e soprattutto sgombra da ambizioni e desideri.
Uno degli assi portanti del romanzo potrebbe essere infatti proprio la delusione, un sentimento che si sviluppa per assenza di stimoli e non per brucianti e impreviste sconfitte (come parrebbe e forse capita solitamente). La competizione vive attorno a Matteo come una gabbia per un odio diffuso, autarchico e irrimediabilmente frustrato che alimenta l’azione e le giornate di una società – quella italiana – che ha sostituito al suo tipico borbottio provinciale di fondo una forma ancor più insensata e spesso violentissima di rancore.
La salvezza (o almeno la sua possibilità) rifluisce così non più nella partecipazione o in una logica di appartenenza che possa evolvere in qualche forma di virtuoso cambiamento, ma nell’unica strategia per Matteo Gemmi possibile, ossia l’osservazione assidua. Lo sguardo come illuminazione e ricucitura degli imprevisti e delle illogicità circostanti. Il gesto del pedinare e dell’osservare divengono così un’indagine dai toni quasi noir, ma sempre ironici che portano il protagonista all’interno di percorsi esistenziali non privi di curiosità, ben oltre l’abituale banalità che la superficie di un giudizio istantaneo spesso è in grado di cogliere.
Gianni Agostinelli costruisce così un personaggio a metà strada tra l’Oblomov di Gončarov e l’Antoine Doinel di Truffaut e senza dimenticare la lezione di Gianni Celati. Il romanzo sviluppato in uno stile slapstick ironico e leggero, risulta capace di cogliere in poche righe l’ironia di questo decadente e tristo tempo. Un miscuglio di indirizzi che vive fortemente di una lingua in grado di contenere storie e personaggi senza astruse costruzioni o – e non sarà un caso – ambiziose quanto macchinose visioni letterario epocali dai deludenti effetti.
Perché non sono un sasso rivela un narratore istintivo e sicuro, capace di raccontare con disincanto, ma non con cinismo l’eterno precariato rivelandone, ma soprattutto rivendicandone anche i pertugi romantici e perché no sentimentali. Libero da ogni noioso narcisismo il libro racconta di una generazione trovandone miracolosamente le parole giuste.
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