Letteratura

Gian Paolo Serino su Bianciardi e la letteratura

20 Marzo 2015

Intervista al critico letterario più gonzo d’Italia. Contro Sofri, la Bignardi, il consumismo letterario e per i libri pieni di pietre. Rilanciamo l’intervista pubblicata un anno fa su WNR proprio il giorno prima della passeggiata letteraria dedicata a Luciano Bianciardi, su cui Serino ha scritto un libro.  Foto di Giorgio Beirut Serinelli

La prima volta ci siam fatti fuori tre americani io e due cuba libre lui. All’ora di pranzo. Non ricordo di cosa abbiamo parlato, ricordo che non abbiamo mai finito un discorso. Ne abbiamo cominciati così tanti però, e gli inizi sono sempre la parte più interessante. L’ho fracassato per far sì che leggesse le mie poesie. Dopo qualche mese glien’ho mandata una, lui ha letto la parola fregna e si è fermato lì, addentrandosi in un pippone su quanto fosse brutta quella parola. Gian Paolo Serino è forse il miglior critico letterario italiano, sicuramente uno dei più onesti. Ha fondato Satisfiction, scrive sul Giornale e ha una trasmissione su R101. Domani sarà il protagonista di una passeggiata letteraria a Milano, dedicata a Luciano Bianciardi, su cui ha appena pubblicato un libro edito da Clichy, Il precario esistenziale. Partenza dallo storico bar Jamaica e poi tappe alla Latteria delle Pie Donne, in via Solferino e via Brera: i luoghi dello scrittore. Ma io quando guardo Gian Paolo Serino me lo immagino sulla tazza del cesso. Il motivo è semplice.

Anni Settanta. Gian Paolo è un bambino, i suoi genitori danno una festa nella propria casa di Como, con quei saloni dove c’è anche il frigo bar, lui si annoia, senza farsi vedere prende una bottiglia di Martini e ne tira giù mezza, si ritrova all’ospedale, lavanda gastrica, ricovero e infanzia rovinata perché si è distrutto la flora batterica, così passa ore e ore nei bagni, soprattutto quelli di servizio con la lavatrice davanti al water e i detersivi sul pavimento, e non sapendo che fare impara a leggere le etichette dei fustini. «Poi mi sono attrezzato e visto il tempo a disposizione ho cominciato a portarmi dietro i libri. Per questo, a chi me lo chiede, rispondo che non sono laureato ma ho una cultura di merda».
Ecco spiegato il motivo.

Ci rivediamo nel suo appartamento all’ultimo piano in via Solferino a Milano, uno studio pieno di libri, due show case con una cucina americana dentro, una camera da letto e un bagno; il suo cane Gipi si sdraia sul divano, Gian Paolo fuma una sigaretta elettronica. Niente alcol, quindi. Sul tavolo ha un libro di Antonio Moresco e un bigliettino con scritto: stop to talking. Appunto.

Tu quando leggi non perdoni, se una cosa ti fa cagare non è che arrivi in fondo.

No abbandono. Se una roba mi fa schifo non ho mica tempo da perdere.

In Delitto e castigo di Dostoevskij la sorella di Raskolnikov, prima che Svidrigailov la violenti, tira fuori una pistola e dice: “questo cambia tutto!”. Penso che in questa frase ci sia il compito della letteratura: cambiarti visione, cambiarti dentro. Se un libro non ti sconvolge l’anima va chiuso, gettato via, regalato a qualcuno che ti sta sul cazzo. Oppure va usato per accendere il fuoco nel camino.

Anche la tua osservazione cambia tutto. Che altro aggiungere? Uno scrittore, prima di pubblicare, dovrebbe pensare che si sta trovando davanti a un patibolo e non esisterà un’altra volta. Un’altra volta è per i narratori, non per gli scrittori. Gli scrittori dovrebbero scrivere libri come se dovessero essere decapitati il giorno dopo.

La cultura anglosassone non è quella che ti appartiene di più?

Ma a me piacciono gli scrittori che sono americani ma che in realtà contestano gli stati uniti e il loro imperialismo. Però sai in Usa c’è una grossa mole di scrittori, in Italia di scrittori ce ne sono pochi, ci sono molti narratori. E soprattutto non vanno mai contro il sistema, ormai sono degli ectoplasmi, sono completamente inglobati nel sistema editoriale. Non è possibile che la maggior parte degli scrittori di successo medio ogni anno, puntuale, sforni il proprio libro. Il libro dovrebbe nascere da una ferita, dovrebbe nascere per cercare di cambiare il mondo, altrimenti sei un coglione. Adesso per esempio ci son più giallisti che delinquenti. E per me il giallo ha influenzato anche la società, prima avevano dei veri criminali tipo Riina, Provenzano, adesso anche dal punto di vista criminale abbiamo dei falliti, Rosa e Olindo di Erba, quella della strage di Cogne.

Non so se hai letto Luca Sofri su Il Post…

No, io lui non lo leggo a priori, sia lui che Daria Bignardi secondo me sono due falliti.

Diceva, sostanzialmente, che in Italia si legge poco perché gli spazi che appartenevano alla lettura se li stanno prendendo i social, i videogiochi…

Per forza, anche io preferirei un videogioco alla lettura di un libro di Daria Bignardi.

GIANPAOLO_SERINO_WRITEANDROLL_

Diceva anche che i buoni libri non possono che essere di nicchia. E questo è vero, è sempre stato così, il 90 percento è sempre stato spazzatura.

Lo penso anche io, però di quel 10 per cento la stampa se ne occupa pochissimo. Nessuno se ne occupa. Anche i blogger o i siti letterari sono comunque delle conventicole che si parlano tra di loro.

Ma chi può farsi carico di questo 10 percento?

Minimum Fax lo fa, se togli però tutta quella gente che pubblica con loro e che io chiamo i radical flop, Christian Raimo, Veronica Raimo eccetera, ma la collana Classic sta pubblicando dei capolavori della letteratura americana assolutamente di nicchia e con buoni risultati. O la casa editrice Nutrimenti. O Mattioli. Tutte di nicchia. La mia idea di cultura è questa: entrare nel tempo senza vendersi ai poteri del tempo, però purtroppo la maggior parte degli scrittori non solo si vende ma si svende, per cui se oggi vai in libreria è un dramma, è drammatico, è un cimitero, ci devi andare coi crisantemi.

Quindi è giusto che le librerie chiudano?

Da un certo punto di vista se le vanno a cercare.

Per scrivere è necessaria una ferita, dicevi, una sorta di asincronia rispetto al mondo esterno? 

Sì però molto spesso questo fatto viene recitato più che vissuto, è il caso di Antonio Moresco: ora che si è accorto di essere un autore di culto questa ferita la recita, fa la parte del ferito d’inchiostro però in realtà non lo è più.

La letteratura è piena di gente disperata che ha fatto la storia della letteratura, come Kafka. La condizione ideale è la sincerità.

Esatto, ma dov’è? Ormai io non la trovo perché c’è solo la narrativa, la finzione, ci sono solo delle fiction, le storielle di eva che ha incornato marta, c’è la Silvia Avallone… se mi devi raccontare una storiella me la guardo in tv e faccio prima.

Perché Stoner lo consideri un romanzo della madonna? 

Perché in questi tempi di arrivismo e di carrierismo a tutti i costi, con molta abilità ti racconta di un uomo semplicissimo, anche fallito, che ha l’ambizione di scrivere però con la moglie litiga sempre e pian piano dal suo studio lo manda sempre più via finché non è costretto a vivere in veranda. Però quando lui sta per morire c’è una frase importante, quando scrive: la mia vita sarà banale, avrà fatto schifo, ma è la mia vita. Per me, in questo momento di spettacolo social network e di esibizionismo puro, questo è un concetto molto importante. Da ribadire.

Tu quanto sei esibizionista?

Oltre i limiti, però non seguo dei modelli. Il dramma dell’esibizionismo di massa è che segue dei modelli precostruiti. Io un po’ come pensava Philip Dick credo che il mondo esiste perché esisto io.

Lindo Ferretti nel suo ultimo saggio ha scritto: «Dal comunicare come essenza dell’esistere si è passati all’esistere come effetto della comunicazione. Siamo alla prima vera crisi antropologica dell’uomo». Tu che sei molto attivo su Facebook cosa ne pensi di questa frase? 

Concordo con Ferretti. E prima di lui con Guy Debord, Paul Virilio, Baudrillard, per non pensare a Pasolini e Bianciardi. Ma non ci si può esimere dalla comunicazione. Bisogna comprendere che un fatto oggi esiste davvero se è comunicato. L’importante è comunicare come se fosse uno specchio d’inchiostro. Allora si trasforma, davvero, in realtà.

Il problema degli scrittori di oggi è che non vogliono scrivere ma pubblicare.

Balzac diceva che pubblicare un libro è un po’ come parlare dei cazzi di famiglia davanti ai camerieri. Uno ci dovrebbe pensare 50 volte prima di pubblicare invece anche col fenomeno del self publishing è tutto sputtanato. Così c’è una sovraesposizione di scrittori, salta il filtro della casa editrice che comunque serve, a patto che si rivolga ai lettori e non ai consumatori, perché se ti vuoi pubblicare da solo leggiti anche da solo. Se vuoi essere coerente fai il self reading al posto del self publishing.

Io e Banhoff volevamo fare dei libri di paglia, che li apri e mangi, come le capre.

Io farei un libro di pietra che pesa 20 kg perché le parole devono tornare ad avere un peso.

Secondo me i libri dovrebbero costare 500 euro.

Cazzo sì… un po’ come andare a votare. Io farei una scheda con delle domande. Se riesci a rispondere hai il diritto di voto sennò stai a casa perché sei ignorante.

P1090240-web1-680x1024

Per questo dico di dividere la società in plebei e intellettuali. A tutti diamo la possibilità di diventare intellettuale ma se non lo diventi fai una vita da fame. 

Anch’io prima ero per una democrazia letteraria, adesso sono più per l’oligarchia culturale.

Hai detto che bisognerebbe fondare un partito letterario armato e una mia idea era di incappucciarmi tipo rapina in banca, entrare nei luoghi pubblico come la metro e invece della pistola impugnare un libro di Rimbaud e leggere un verso ad alta voce.

Una cosa così farebbe più male che gli zingari che suonano la fisarmonica perché la maggior parte della gente non vuol pensare. bisognerebbe fare dei flash mob di letteratura, radunarsi agli angoli delle strade e leggere i libri ad alta voce, ma oramai è tutto basato sul commercio, ormai il libro è diventato un prodotto e gli editori non capiscono che trasformando il libro in un prodotto si trasforma il lettore in un consumatore,  ma in questi tempi di crisi prima del libro uno ha bisogno del dentifricio, del telefonino. Sono altri i prodotti vincenti, per cui dovrebbero tornare a cercare i lettori e non i consumatori.

Hai scritto: «Il lettore oggi? Un disadattato. Gli unici scrittori oggi sono gli scrittori del disagio (da Handke a Coetzee, dalla Szabò a Houllebecq). Se uno fosse davvero normale non si ritroverebbe nei loro libri, li chiuderebbe e andrebbe a fare una passeggiata o del sesso. O, aggiungo io, a leggere Murakami. 

Io amo gli scrittori del disagio: sono gli unici che comunicano davvero. Perché oggi uno scrittore non può che esprimere disagio. Essere ai margini, vivendo ai confini del più niente. Quindi, come sostenne anni fa Arno Gruen ne La follia della normalità (feltrinelli): un uomo oggi è normale se è anormale, cioè se non accetta la realtà così com’è.

Ritengo che Murakami sia uno dei simboli della gigante mistificazione dell’editoria soggetta e mossa solo dal mercato. Una volta c’era la Allende ora c’è lui, nel  mezzo ci sono stati i thrilleristi con i nomi perfetti per una mensola dell’Ikea, sei d’accordo? 

È narrazione da Ikea, autori come Murakami sono il simbolo di un compromesso: una via di mezzo tra Tabucchi e la Mazzantini. Non è disdegnoso leggerli, ma è come leggere il Nulla. Ieri per esempio rileggevo I sotterranei di Kerouac. Mamma mia… Se un editore ricevesse da un esordiente (ma anche da un non esordiente) un libro scritto così, con uno stile nemmeno parlato ma strascicato, così stilisticamente dirompente (ed è stato scritto negli anni Sessanta), non saprebbe in che modo prenderlo: oggi deve essere tutto perfettino, pulito, commerciale, tranquillizzante, gli editor si sono ritagliati il ruolo di spacciatori di Xanax e Tavor geneticamente modificati in finti romanzi… Gli editor e gli editori andrebbero denunciati come spacciatori di tavor cartacei. O meglio: certi libri andrebbero prescritti in farmacia. Vuoi lo Xanax? Prenditi Baricco. E così via…

Henry Miller ha scritto: «Credetemi, non c’è niente di pulito, niente di sano, nulla promette un’era di meraviglie – nulla tranne la parola. E l’ultima parola l’avranno probabilmente i Kerouac»…

Sì, proprio nella prefazione a I sotterranei. Concordo con Miller, anche Miller stesso spazzato via da Kerouac. Purtroppo in Italia Kerouac non è stato compreso, anche per colpa di quella livellatrice pop culturale che è stata Fernanda Pivano. Ha livellato tutto. Messo tutto sullo stesso piano. Con passione, certo. Ma era soltanto la sua.

I libri di carta torneranno alle vendite degli anni 70? Sei convinto di questo?

Secondo me c’è talmente un’invasione digitale…  l’ebook è sempre stato un bluff, basta guardare gli Usa: il 97 per cento degli ebook sono scolastici, e va bene, perché se lo studente, che prima doveva leggersi il tomo dei Promessi sposi, alla fine quando torna a casa dell’iPad ce n’avrà pieni i coglioni e guarderà al mezzo elettronico come una rottura di balle. Per cui tornerà alla carta. La maggior parte della gente non legge i libri perché a scuola te li impongono. Dovrebbero obbligare gli studenti a stare su facebook! Capisci il concetto? prima parlavamo della sincerità. In Chiudiamo le scuole Giovanni Papini scrive: «l’unico testo di sincerità all’interno delle scuole è sulla parete dei cessi». Studiare deriva da stadere, che ha una doppia accezione: interessarsi di e ingegnarsi di. Ha vinto la seconda: si studia per laurearsi e trovare un lavoro, non perché una materia ci interessa.

Nabokov ha scritto: «La letteratura nacque quando un ragazzo entrò nella valle di Neanderthal gridando al lupo al lupo e non c’erano lupi dietro di lui».

Credo che la letteratura sia una delle più tristi strade che portano dappertutto. In quel dappertutto c’è anche il fatto che i lupi, ormai, ci sono davvero. E quei lupi siamo noi. Siamo in uni sistema liberale, come un lupo in un terreno incolto. Fare della buona letteratura oggi  è come nuotare sott’acqua trattenendo il fiato. E oggi tutti vogliono (r)espirare.

Philip Roth ha fatto un esperimento interessante con gli esiti che non conosco: scrivere un libro a quattro mani con una bambina di 8 anni. Tolstoj, molto prima di Picasso, sostenne che avrebbe voluto recuperare lo stile di un bambino. Dov’è la purezza? Lo vedi anche tu l’orrore?

La purezza sta nel ribellarsi all’orrore. L’orrore quotidiano, intendo, non quello da cronaca nera, ma l’orrore che viviamo ogni volta che usciamo di casa, l’orrore di condividere con gli altri, in silenzio, un mondo che se lo accetti così com’è, come minimo sei un idiota.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.