Letteratura
Georges Simenon, l’uomo che non era Maigret
Trenta anni fa, il 4 settembre 1989, in silenzio e lontano dagli occhi del mondo, moriva Georges Simenon.
Da tempo non leggiamo più Simenon attraverso lo sguardo sornione di Maigret.
Nascosto dietro la caparbietà e la pazienza di Jules Amédée François Maigret, la personalità e le vicende di Georges Simenon ci sono state trasmesse, comunque ci sono arrivate, come la storia di sfondo di una persona estremamente «veloce» nella scrittura ma prive di una fisionomia concreta.
Simenon gode in Italia, dalla seconda metà degli anni ’80, vgrazie soprattutto alla costruzione dellasua dimensione letteraraia proposta dall’editore Adelphi di una rinnovata attenzione che non lo schiaccia più sul personaggio Maigret, soprattutto che non lo vede più nelle vesti del «giallista» (anche se una parte consistente dellaproposta editoriale ruota introno alla serie dei casi del Commisarrio Maigret.
Ma la scrittura di Simenon ormai per il lettore non è più solo Maigret.
Le finestre di fronte, L’uomo che guardava passare i treni, Lettera al mio giudice, che hanno iniziato una nuova stagione in Italia della lettura dei suoi romanzi, hanno contribuito a proporre un’ immagine rinnovata e più mossa dello scrittore belga, dalle origini contorte e spesso interiormente non risolte.
Un quadro burrascoso, dominato da storie che nascono e muoiono con estrema velocità, dove il sesso si consuma rapidamente e che contrasta, apparentemente, con quello scenario della Francia profonda, che Simenon scopre e osserva nei suoi viaggi in barca lungo i fiumi della Francia e i cui diari di viaggio costituiscono la prima fonte diretta su cui si costruisce il «sistema mondo» del commissario Maigret.
Così come la sua produzione, Simenon non è riducibile al personaggio sornione ma tenace, i due tratti caratteriali essenziali che costituiscono la silhouette di Maigret. È una figura contorta, comunque maggiormente inquieta, pur con una sua linearità.
Figlio di un ambiente tradizionale, legato nelle sue prime esperienze giornalistiche all’ambiente cattolico tradizionale di Liegi, Simenon giunge a Parigi all’ inizio degli anni ’20 senza un preciso progetto in testa, ma convinto di avere un «mestiere». Quel mestiere si rileverà molto presto consistere in una rapidità di scrittura che si esercita in un primo tempo nella produzione forsennata di romanzi d’ appendice – nel solo 1928 ne produce ben 44 – per poi trapassare, siamo nel 1930, alla produzione del giallo.
Il giallo, per Simenon, non è nella passione per la cattura dell’assassino. Dietro i drammi e gli omicidi che popolano i molti romanzi di Maigret (tra il 1930 e il 1972 escono ben 76 romanzi; negli stessi anni Simenon compone altri 117 romanzi, nonché‚ una serie innumerabile di racconti per quotidiani e articoli di giornali, corrispondenze, ..), è la fisionomia della Francia, meglio della sua provincia a venire fuori, in cui si intrecciano vicende private di Simenon, ma anche studi di carattere.
Per Simenon, in altre parole, Maigret non è un personaggio che ha come scopo principale l’individuazione e l’arresto dell’assassino.
Maigret è essenzialmente un pretesto, la macchina in azione che scava con occhio vigile e con passione, misti a una certa dose di pietas, i contorni «malati», viziosi e contorti, di un mondo spesso al margine, fatto di impiegati, di piccole figure di provincia, di «marginali». Soprattutto è il mondo e l’umanità varia che abita in Francia, ma che spesso non è francese, a appassionarlo, a costituire quel cosmo di irregolari al margine, di emigrati che spesso arrivano dall’Est Europa, attraverso cui ritorna la figura di Maigret, come la bonomia del francese «terragno» sospettoso e curioso, ma guardingo in quella umanità dai contorni identitari incerti.
Un uomo, Maigret, che sembra vivere costantemente tra casa e fuori casa, con una moglie di cui parla, ma che non si vede e che proprio in questo aspetto contrasta fortemente con la fisionomia e l’autobiografia di Georges Simenon.
L’ uomo Simenon, tuttavia, così come emerge per esempio dalle pagine del suo biografo, Patrick Marnham, è un essere a suo modo enigmatico. Un uomo che in tutta la sua vita ha cambiato casa 33 volte, ha vagabondato per 10 anni negli Stati Uniti, in una continua condizione di esilio o di fuga, senza che si delinei una vita stabile.
Immerso in un universo femminile, costantemente «fedele» a un menage triangolare, e più spesso quadrangolare, alla continua ricerca, per molti aspetti ossessiva, di sesso, consumato in ogni momento della giornata e in ogni luogo, l’uomo Simenon sembra la fotografia negativa del suo personaggio più famoso.
Ma se la dimensione interiore di Simenon si riducesse solo a questo, potremmo anche concludere che in fondo il suo profilo biografico alla fine risulta stancante, ripetitivo, poco interessante.
La parabola ha invece una sua strana conclusione.
Simenon improvvisamente cessa la scrittura – una dimensione che lo ha caratterizzato in maniera totale per cinquant’ anni – e nel 1972 inaugura una lunga stagione di ritiro sempre più radicale per più di sedici anni fino al giorno della sua morte.
Potrebbe apparire una decisione strana, quasi un capriccio, se non fosse che lungo quegli anni egli decisamente «rompe» tutti i rapporti e abbandona tutti gli oggetti di cui si è a lungo contornato. Quadri, libri, ricordi, contatti, sono da lui bruscamente lasciati e inizia una lunga parabola di anonimato caratterizzata da una continua e costante «dimissione dal mondo», per morire in una casa anonima, nel paese più asettico e «meno entusiasmante» tra quelli che ha girato in lungo e in largo, la Svizzera, in un appartamento le cui finestre danno su un qualsiasi supermarket.
Ce ne sarebbe di che per far aprire un caso a un redivivo Maigret.
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