Letteratura

Geni e babbei

25 Gennaio 2017

Non c’è un metodo sicuro nell’immediato, al di là della santa critica (cioè un lunghissimo lavoro di scavo), per riconoscere il valore, il merito, la fama meritata o usurpata di un artista, di un uomo politico, di uno scrittore, anche di un uomo di spettacolo. A differenza di altri ambiti (per esempio il calcio: se sei un pessimo portiere lo scoprono subito, se sei un attaccante così così prima o poi ti sgamano) nel variegato mondo del talento il genio e il babbeo spesso e volentieri vengono scambiati e confusi. Robert  Musil scrisse un saggio sulla stupidità e la sapeva lunga a tal proposito. Diceva che a Vienna poteva benissimo succedere che un genio venisse scambiato per un babbeo, ma mai che un babbeo venisse preso per un genio.

In attesa di apprendere l’infallibile metodo viennese dobbiamo rassegnarci alla perenne confusione. (E’ vero che nel mondo privatissimo del gusto personale ognuno ha la propria graduatoria di babbei e di geni: il problema è come criticamente esporla senza passare a nostra volta per babbei. E allora si lascia perdere, ma per pura dissimulazione onesta, perché le misure  in verità spesso le abbiamo prese).

Il piccolo cataclisma a livello psichico personale accade quando all’improvviso (anche dopo decenni) scopriamo che la persona che fino a un istante prima era per noi un genio, in verità è un babbeo. Cerchiamo di differire il più possibile questo momento ferale, perché mette in gioco soprattutto noi stessi. Se ci siamo sbagliati per così tanto tempo evidentemente anche noi tanto geni non eravamo dopotutto, anzi un tantino babbei. La verità è forse questa: che presso un uomo intelligente resta abbastanza stoffa per fare un imbecille, ed ecco perché talora questa stoffa si manifesta all’improvviso. C’era e non l’avevamo vista. O c’era in noi e ci aveva offuscato la vista.

Sui geni e i babbei occorre rileggere sempre il saggio di Carlo M. Cipolla sulla stupidità “Allegro ma non troppo”. (Una curiosità: quella “M” tra Carlo e Cipolla non vuol dire “Maria”. Era una “M” posticcia, aggiunta da Cipolla per puro divertimento un po’ da babbeo che ci fa sapendo che non ci è, o piuttosto da genio che si finge babbeo).

Oltre a Cipolla e Musil il più grande “studioso” della stupidità è senz’altro Gustave Flaubert. Non sto qui a riassumere il mio pensiero sull’artista che più amo e che più ho letto in vita mia. So che tutta la sua produzione è un immenso studio sulla stupidità umana. Flaubert non fu tanto “sveglio”, diciamo così, da piccolo. Sartre ne “L’idiota della famiglia” (avete letto bene “idiota”) scriveva che il piccolo Flaubert veniva spesso preso in giro dagli adulti per la sua stupidità (bêtise). Qualcuno, crudele in sommo grado, si spingeva a stuzzicare il bambino dicendogli di andare a vedere se nell’altra stanza ci fosse lui, Gustave. Il bambino si avviava e tornava sconsolato dicendo: “No, Gustave non c’è”. Ma Flaubert aveva fin da piccolo scoperto un rimedio infallibile contro i tradimenti dell’intelligenza, del “genio”: l’impegno, lo studio, la volontà, della quale in ogni caso dubitava come segno contraddistintivo del genio. Amava tuttavia ripetere, ed è una frase che torna in tutto il suo bellissimo epistolario, l’apoftegma di Buffon: “Il genio non è che una lunga pazienza”. Frase che a mio avviso ci aiuta a sciogliere solo parzialmente l’arcano.

Qui di seguito alcuni aforismi tratti dal suo “Epistolario”.

  • Vi sono dei geni che ammiriamo e che non amiamo, e altri che ci piacciono senza tenerli in considerazione; ma prediligiamo quelli che ci prendono tutti in una volta da cima a fondo, e che ci sembrano nati per il nostro temperamento.
  • Il genio come un possente cavallo trascina al proprio culo l’umanità sulla strada dell’idea. Essa ha un bel resistere di reni, e per stupidità, fargli sanguinare i denti, tirargli fin che può il morso nella bocca; quello, che ha i garretti robusti, continua sempre al galoppo, per precipizi e abissi.
  • Quando vedo la mia solitudine e le mie angosce io mi domando se sono un idiota o un santo. Questa volontà rabbiosa che mi onora è forse un segno di stupidità.
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