Letteratura
Genere letterario e valore estetico
Antonio Moresco e Gianrico Carofiglio, sul Robinson di sabato scorso (pagg. 18 e 19) se la prendono con i generi letterari. Moresco dichiara addirittura di avere “idiosicrasia” per le lezioni americane di Calvino che, secondo lui, imporrebbe agli scrittori brevità e leggerezza. Mettiamo un po’ di ordine. Calvino non fa che esprimere una poetica, la sua poetica. Senza pretese di universalità (non sarebbe Calvino, altrimenti). L’imposizione, l’universalità, ve la legge Moresco. Dimenticando che Calvino stravedeva per l’Orlando Furioso e il Don Chisciotte, che non sono certo libricini. Carofiglio dal canto suo, quando afferma che Delitto e castigo è di fatto un giallo e che perciò non esistono i generi ma libri belli e libri brutti, commette l’errore di confondere la denotazione di un gemere con il giudizio di valore estetico. E’ un errore storico dei letterati italiani, che si può far risalire addirittura al Rinascimento, quello d’identificare il valore di un’opera con il genere di appartenenza. Il che significa, appunto, confondere il giudizio di valore estetico con la determinazione del genere dell’opera. Ricorderanno tutti il tormentone dei letterati italiani, prima di Alfieri, che l’Italia non ha la tragedia, il genere sommo tra i generi. Giudizio che nasce da una lettura erronea della poetica di Aristotele (come del resto erronea è anche l’attribuzione ad Aristotele delle tre unità). Che gli italiani continuino ad essere prigionieri di tali equivoci è la conseguenza di un mal digerito romanticismo, nonostante il grande romanticismo del melodramma verdiano, e ancora prima di un mal digerito barocco, nonostante la grande architettura barocca (ma non così una grande letteratura barocca, e in Italia il gusto lo impongono i letterati) ed è il segno del permanere di una lettura accademica, sostanzialmente arcadica prima e poi neoclassica dell’arte. Che poi tale mania di gerarchizzare il valore estetico dei generi letterari sia speculare ad altre gerarchie, sociali, politiche, non fa che confermare la sostanziale immobilità della società italiana. Altrove si è rimescolato, e da qualche secolo, tutto, classi sociali, generi letterari, musicali, artistici, noi stiamo ancora fermi alle distinzioni e alle contrapposizioni. Perfino la scuola, che dovrebbe funzionare da ascensore sociale, invece sta ferma, non fa ascendere nessuno, e anzi fa scendere quelli che per privilegio sociale stanno in alto. Tout se tient, direbbero i francesi.
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