Letteratura

Flaubert, e quel bordello che è la vita

Un’analisi particolareggiata della celebre chiusura dell’Educazione sentimentale di Flaubert e un’indagine sul suo sistema erotico-estetico-sentimentale

16 Dicembre 2024

«Non abbiamo avuto niente di meglio dopo»

È la frase finale che chiude l’Educazione sentimentale con la quale Frédéric Moreau ricorda all’amico Deslauriers quando da giovani nella “casa chiusa” della Turca decisero di proposito di non consumare, per mantenere intatto l’Ideale e  la Malinconia di quel momento per farlo rimanere nella memoria più profondamente a lungo.  (Erano tipi particolari i romantici che si “contenevano” per poi esplodere al momento opportuno).

Un finale sconveniente
1. Pochi finali di romanzo — scrive Victor Brombert— hanno tanto confuso e perfino offeso i lettori. La netta affermazione del protagonista secondo la quale l’adolescenziale intrusione in un
bordello è stata la più preziosa esperienza della vita («non abbiamo avuto niente di meglio dopo»), confermò il sospetto che Flaubert fosse un inguaribile cinico.
Era già sufficientemente deprimente che l’«eroe », Frédéric Moreau, dopo una vita di fallimenti ritornasse alla sonnolenza di una esistenza provinciale, a una morte-nella-
vita equivalente alla abdicazione totale e ad una permanente vocazione per il nulla. Ma l’autore — continua  Brombert — doveva proprio rimettere insieme in questa scena Frédéric e Deslauriers, puntualizzando la debolezza e la malafede intrinseche alla loro riconciliazione? Doveva davvero indulgere in questo inventario di decadenza? E l’esaltazione riguardo a quella lontana spedizione nel bordello di provincia non deprezza ciò che avrebbe dovuto essere salvaguardato (il ricordo di Mme Arnoux!), riabilitando l’amore venale e collegando
quasi perversamente l’eccitazione pruriginosa della prima adolescenza con l’impotenza della precoce senilità?

Brombert annota di seguito che la fine del romanzo si spiega col principio, che i due amici ricordano la scena della fine del secondo capitolo parte prima (raccontato tutto in flashback) l’episodio della “Turca”, dove Frédéric resta paralizzato dalla scelta della prostituta con cui accompagnarsi e va via, mentre Deslauriers non consuma  perché non ha i soldi per la “prestazione”.  Brombert  spiega la vera ragione di quella decisione, intessendo un discorso generale sulla coesione tematica del romanzo, interrogandosi sulla bizzarria della scelta di quel finale [per E.M. Forster, ricordo che tutti i finali sono deboli, ma Flaubert era sicuro del suo].

«L’ entrata ingenua nel bordello — prosegue Brombert — l’affrettato allontanarsene, lo stesso fiasco della spedizione stanno a simboleggiare l’illusione poetica che s’aggrappa tenacemente all’amore inappagato, simboleggia l’orgia senz’orgia, il sogno d’amore rimasto puro perché non realizzato. Dopo tutto Frédéric lascia la “Turca” ancora casto! La fantasia si è persa nella perversione: solo mere velleità. Proprio per questo il commento finale («È quanto abbiamo avuto di meglio»), lungi dal configurarsi come chiosa cinica o sintomo d’un arresto dello sviluppo sentimentale, deve invece interpretarsi come una persistente nostalgia per l’innocenza. Tale debole per il passato nasconde un’altra forma d’idealismo: il ricordo abbellisce.

«E sebbene entrambi gli amici sembrino aver perduto ogni cosa, questo dialogo finale tra l’uomo che sognava l’Amore (Frédéric) e l’uomo che sognava il Potere (Deslauriers) rivela che soltanto la ricerca dell’Amore (non importa quanto maldestra e frustrante) può rivestire retrospettivamente un qualche significato. L’episodio combina così, assai ambiguamente, illusioni toccanti e il disinganno dell’età adulta, voli della fantasia e chiusure in se stessi, attrazione per i multiformi aspetti della vita e paralisi causa di questa stessa proliferazione di possibilità, eterna giovinezza del ricordo e pathos dell’invecchiare. In altre parole, ci troviamo di fronte a un’anticipazione retrospettiva dell’essenza stessa del romanzo.»

2. Fin qui la squisita analisi di Brombert. La spiegazione che per un certo periodo io ho prediletto, è però quella di Jean Bruneau contenuta in alcune note della curatela della “Corrispondenza” di Flaubert.  Quella frase va interpretata certamente. Jean Bruneau la spiega in maniera quasi simile a Brombert (dov’è però solo sfumata e accennata la spiegazione del “ricordo  che abbellisce”) nelle note del vol. I della Correspondance. Il Nostro aveva delle strane e singolari abitudini erotiche, non c’è dubbio, ma se non fosse abusata l’espressione era un’anima che voleva succhiare il midollo della vita. Grande frequentatore di postriboli e di prostitute (morì di sifilide, mentre tentava un ultimo amplesso con la bonne ventenne) aveva l’abitudine ogni tanto di “saltare” la prestazione, per «serbare il ricordo.» Così avviene anche in ES (nel secondo capitolo della prima parte) dalla “Turca  con l’amico Deslauriers che stiamo indagando.

Riporto di seguito le precise note prese dal Bruneau (I vol.della “Corrispondenza”) di cui sopra. Flaubert più volte rifiuta di “baiser” «per non sovrapporre un’immagine sensuale a uno stato malinconico»  p. 224, n. 2. A  p.955. Bruneau scrive che è proprio questa la spiegazione dell’ultima scena dell’Educazione sentimentale di cui stiamo parlando. Ci sono dei precedenti, delle recidive.
— Ad Arles Flaubert non “baise” con le prostitute, dicendo che «non voleva uscire dalla poesia». p.224. Bruneau raccorda questa spiegazione con un’altra lettera a Bouilhet del 13 marzo 1850 (p.604) dove Flaubert dice che non ha «baisè exprès al fine di conservare la malinconia di questo quadro e far sì che restasse più profondamente in me.» «Se avessi baisè, un’altra immagine sarebbe venuta a sovrapporvisi e ne avrebbe attenuato lo splendore». È un’annotazione decisiva nel sistema estetico-erotico-sentimentale di Flaubert. Secondo Bruneau la stessa Madame Arnoux, versione  femminile di Frédéric, è casta d’azione e si rode di amore (p.955) e la scena finale dell’Educazione, quel «non abbiamo avuto niente di meglio dopo» si riferisce in effetti a quel fatto di non aver consumato dalla Turca. «Il loro miglior ricordo, dice Bruneau è che l’atto d’amore non ha avuto luogo» p. 955.
Complicato Flaubert eh. Eppure c’è un altro caso paro paro con Du Camp durante il voyage in Egitto in cui avviene la stessa scena che verrà ripetuta dalla Turca: astenersi dall’atto sessuale per non macchiare l’elegia, per fermare l’attimo della vita che scorre, per preferire il mediato sublime ed elegiaco del ricordo all‘immediato profanante dell’atto brutale del consumo: per omaggiare il codice romantico della propria epoca, a questo punto più che deturpato da dileggianti schizzi postribolari. Ma le due cose sono confliggenti per noi, non nel sistema mentale di Flaubert per il quale la prostituzione è elegia pura, ahimè. Scriverà alla Colet a tal proposito «Voi [donne] non comprendete nulla della Prostituzione, delle sue amare poesie, né dell’immenso sperdimento che ne viene. Quando voi andate a letto con un uomo, vi resta qualcosa nel cuore, ma a noi nulla. Passa, e un uomo di quarant’anni, marcio di sifilide, può arrivare alla sua amante più vergine che una giovane donna al suo primo amante. Ti sei mai accorta delle freschezze sentimentali dei vecchi? Essere geloso delle prostitute è come esserlo di un mobile.»! Abbiate pazienza, ma è così.

3. Singolare e audace è la terza interpretazione, che pure ha un suo fondo di verità se si è appreso a conoscere in profondità il pensiero estetico di Flaubert, ed è quella di Fernando Schirosi (“Gustave Flaubert e il romanzo moderno” , in “Flaubert e il pensiero del suo secolo”). «Un altro aspetto del grande romanziere è fatto per sedurre la sensibilità contemporanea: è il senso dell’assurdo e della derisione. Ogni sua opera racchiude la sua stessa negazione. Madame Bovary è una “gageure”, una vera scommessa, per riprendere il termine usato da Baudelaire, una storia banale, più o meno ispirata.» È all’interno di questo senso dell’assurdo e della derisione che si colloca «soprattutto la fine dell’Education sentimentale […] Tutto quello che nel libro abbiamo amato viene distrutto da questa frase ripetuta. L’incomprensione, l’oblio della storia da parte dei suoi stessi eroi aggiungono all‘Education una dimensione che nessun’altra opera ha.»

Michel Winock, nella sua penetrante biografia  di Flaubert uscita nel 2013, appoggia senza saperlo o senza citarlo, l’ipotesi espressa nel febbraio  del 1984 da Fernando Schirosi in un convegno su Flaubert a Messina (ci sono molti  flaubertisti di punta in quel convegno, tra gli altri Bruneau,  De Biasi, Bonaccorso), ovvero quella derisoria.  Flaubert si lamentava in una lettera dell’insuccesso di ES  col fatto che il suo romanzo avesse mancato l’obiettivo di «fare la punta» come la piramide, o anche che tutte le linee narrative dovessero convergere in un punto luce che si irradiasse su tutto l’edificio narrativo. Questo è un proposito artistico presente a Flaubert ab imo già  nel suo taccuino di lavoro, il 19,  dove annota «faire la pyramide». Ebbene Winock afferma con acume che ES la punta della piramide la fa, anzi ne fa in effetti due, la prima distrugge la seconda. La seconda punta, derisoria, è costituita proprio dal capitolo-epilogo che stiamo indagando.

«Flaubert — scrive Winok — non voleva lasciarci con una nota di tenerezza. La derisione di una vita, di due vite parallele, era il senso di questo romanzo. […]  Senza dubbio Flaubert ha impostato la sua narrazione nella sequenza cronologica della sua giovinezza. In secondo luogo, il romanziere ha utilizzato il “grande amore” che provava per Élisa Foucault-Schlésinger per costruire la sua trama. Inoltre, ha attinto ai propri ricordi di Parigi, del demi-monde e del grand monde. È quindi difficile riconoscere l’impersonalità che rivendica. Allo stesso tempo, tra se stesso e i suoi personaggi, compreso quello principale, Frédéric, Flaubert crea, attraverso l’ironia, il suo rifiuto di giudicare, il suo desiderio di «imitare Dio» nella sua creazione, “cioè di fare e tacere”, una distanza che sconcerterà molti dei suoi lettori.»

Le ultime annotazioni, necessarie, riguardano il fatto che il romanzo stesso si chiude dopotutto proprio con un mancato amplesso, quello principale, dai lettori atteso e dai protagonisti mancato più che eluso, quello con Marie Arnoux, e che implicitamente stabilisce un ulteriore motivo di derisione: l’equiparazione di Marie a una prostituta. La spiegazione di ciò viene data nel testo con due motivazioni: 1) a Frédéric, benché sessualmente attratto  da lei sembrò con ripugnanza, quella tardiva offerta del proprio corpo di lei, «come un incesto»  e 2) leggiamo: «Un’altra paura lo bloccò: che potesse disgustarsi in seguito. E poi, che imbarazzo sarebbe stato! – E così, sia per prudenza che per non compromettere il suo ideale, girò sui tacchi e cominciò ad accendersi una sigaretta.» Ritorna il tema dell’astensione dall’atto sessuale per non compromettere l’ideale.

Sul  registro costantemente ironico e demolitorio della sua scrittura (che non potendo essere lirica si fa ironica) si aggiunge, a rafforzare questa  chiave interpretativa, l’analisi incisiva del Douchin, un flaubertista che Winock loda e che io ho imparato ad apprezzare, il quale intitola non a caso un suo studio “Flaubert carnefice (bourreau) di sé stesso”.

L’interpretazione di fondo di Douchin di un Flaubert carnefice di se stesso è questa: che la sua ispirazione di fondo resta lirica e fuori dalle procedure narrative realiste, fino a raggiungere forme di delirio e di evanescente incomprensibilità, quella per esempio del racconto giovanile Smahr che  poi diventa il  Sant’Antonio. Ma  quello è il vero Flaubert, ricorda Douchin.

Orbene, dopo la famosa lettura consecutiva di questo romanzo e l’insoddisfazione degli amici che gli avevano suggerito un soggetto terra terra, l’intento di Flaubert diventa quello di entrare in una sorta di clandestinità spirituale, ossia di conservare un nucleo lirico dentro l’involucro realista. Da qui tutta una strategia testuale di profonda ironia, ossia di irrisione verso il rivestimento realistico della sua prosa o in subordine  i continui andirivieni tra una visione lirica e sognante del mondo e una irrisione della realtà fenomenica. Secondo Douchin l’ironia si eserciterebbe verso il reale con le sue misere ingiunzioni (ma secondo me si estenderà anche a tutto  l’ideale, costituendo un’unica bolla di rifiuto della stessa Creazione da Flaubert considerata come una “farsa universale). È «l’eternelle misère de tout» espressa nella gita a Fontainebleau in ES davanti agli antichi splendori dei Reali di Francia che adesso emanano un afrore di mummie. Ma ditemi se questa esclamazione non prende tutti alla gola  nei momenti in cui siamo soli con noi stessi e ci poniamo a riflettere freddamente sulla vita individuale e collettiva. Eterna miseria di tutto. Farsa universale della Creazione.

L’ironia, secondo l’analisi  raffinata di MB che ne fa Douchin, si diffonde da un capo all’altro della storia, corrode la scrittura “realistica”. «Con un magistrale colpo di genio, Flaubert rispose all’invito a frenare il suo naturale “lirismo” e la sua “stravagante” immaginazione. “Volete una storia realistica? Ebbene, eccola qui. Vedete com’è semplice: la storia di un fatto di cronaca, basta raccontarla. Quindi la racconterò”. Ma lo farò in modo tale che, fin dall’inizio, vi troverete in trappola, voi, Bouilhet e Du Camp, che non avete capito nulla del mio grande poema [Sant’Antonio], ma soprattutto voi, lettori dilettanti o professionisti, che potrete, negli anni e nei decenni a venire, raccogliere dal mio testo magnifiche spruzzate di equivoci! Quante “sciocchezze” sul “realismo”! Ho la sensazione che verrò addirittura proclamato “caposcuola”… E per di più mi porteranno in tribunale per «offesa alla morale pubblica e alla religione.» Decisamente sì: «O grottesco! Sei come il sole, che domini il mondo con il tuo splendore! “» (Voyage en Orient; II, 609)»

Il romanzesco e il suo trattamento ironico sono al centro del problema molto complesso posto da questo romanzo (MB) apparentemente semplice, dice Douchin. Nel corso del romanzo, il testo solo in superficie realistico è intrappolato da tutta una serie di dispositivi ironici. Questa radicale rottura di continuità tra “lirismo” e “realismo”, questa sorta di sdoppiamento di personalità, ha lasciato perplessi i lettori di Flaubert. I Goncourt, abominevoli portinai ma non privi di finezza psicologica, lo avevano però capito bene: «In Flaubert si mescolano convinzione e farsa. Ha delle idee che sono sue, delle idee che sforza e infine idee con cui gioca». Ecco perché, in realtà, Madame Bovary è una formidabile impresa di mistificazione, o una “scommessa” aveva detto il nostro  Schirosi a Messina. Ma se Madame Bovary c’est Flaubert come si suole dire, Frédéric è tutti noi, aggiunge Winock.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.