Letteratura

Flaubert antiromantico e antisentimentale. Alcune precisazioni critiche

2 Maggio 2024

Su Snaporaz di questi giorni c’è una lunghissima intervista di Gianluigi Simonetti ad Antonio  Franchini l’editor che ha messo in circolazione Paolo Giordano, Margaret Mazzantini, la “Gomorra” di Roberto Saviano e “M il figlio del secolo” di Antonio Scurati, scrittori e opere che ognuno giudicherà secondo il metro della propria borsa valori letterari.

Ciò che ha destato la mia attenzione di flaubertista amatoriale e  avventizio è questo passo a proposito di giudizi letterari.

Per esempio, nell’Educazione sentimentale di Flaubert che sto rileggendo in questi giorni nella traduzione di Yasmina Melaouah, Frédéric Moreau discorre con un nuovo amico, il bohèmien Hussonnet, un giovane piuttosto rozzo che però, in fatto di letteratura, ha opinioni nette e severe: “…scorgendo nella libreria un volume di Hugo e un altro di Lamartine, si diffuse in sarcasmi sulla scuola romantica. (…) Si vantava di conoscere la lingua, lui, e scandagliava le frasi più belle con la severità astiosa, il gusto accademico che contraddistingue le persone di indole giocosa quando affrontano l’arte seria.” Questa osservazione, che le persone fatue, “giocose” diventino di colpo seriose e severe, si rivestano addirittura di panni accademici quando “affrontano l’arte seria”, è verissima e assolutamente secondaria rispetto a temi più centrali, ma l’esattezza con cui Flaubert inchioda un dettaglio marginale, eppure immutato a quasi due secoli di distanza, è impressionante. Ed è senz’altro più precisa di una teoria più larga, ma meno verificabile, più controversa, discutibile.

Osservo che Flaubert in verità fu caustico nei confronti  di entrambi, Hugo e Lamartine. E benché autori di letteratura seria ebbe verso costoro molte vampate di critica ustoria. Ma, attenzione, in privato, nel suo epistolario. Qui sta esprimendo invece un giudizio pubblico. Gli autori che cita sono entrambi vivi nel momento in cui scrive il suo romanzo per il quale impiegò cinque anni, mentre  lo è solo Hugo nel momento in cui Educazione esce nel 1869, essendo Lamartine morto proprio  nel febbraio di quell’anno. È più che probabile dunque che Flaubert si schermi dietro una persona fatua e giocosa per sferrare  comunque il suo colpo contro i due campioni romantici, colpo che nella corrispondenza  privata è davvero violento come vedremo. Da questa suggestione  di Franchini occorrerà perciò elaborare un piccolo saggio sulla letteratura a Flaubert contemporanea, romantica appunto, presente con accenni significativi in Educazione sentimentale ( ES ) come in Madane Bovary  (MB). Ed è  quel che mi appresto a fare.
Innanzitutto occorre sottolineare che probabilmente nel testo citato da Franchini Flaubert gioca (come fa spesso) in maniera ambigua attribuendo (e sanzionandolo) ad altri un giudizio sulla scuola romantica che invece è  tutto suo, scuola con la quale ebbe un rapporto a dir poco controverso e contraddittorio. Ricordiamo  che diceva di sé “Io sono un romantico, ne porto il marchio al collo”, e che in quella scena finale di ES con quel taglio della ciocca di capelli di Madame Arnoux tocchiamo l’apice del sentimentalismo più stucchevole,  e tuttavia vediamo prevalere in lui l’istinto rabelaisiano del cachinno e dello sfottò verso il sentimento amoroso…  romantico, quando proprio in quella scena Frédéric dice a Madame Arnoux “La vista del vostro piede mi turba”…. Eh sì,  era un podofilo, come ormai è accertato dalla critica più ficcante.

Nella Corrispondenza annotava: “Le grotesque de l’amour m’a toujours empêché de m’y livrer” (mi ha impedito di consegnarmi all’amore). Correspondance I, 286 (ed. Pléiade). Qui occorre fare degli esempi. In MB dopo che Emma e Léon si dichiarano il loro amore sono descritti accompagnati da un grottesco corteo di api e moscerini. Mentre in ES in una scena d’amore collaterale è annotato che qualcun altro  in una stanza accanto ronfa. Il grottesco, lo schizzo di inchiostro irridente e corrosivo, l’abbassamento stilistico del sentimento amoroso, prendono spesso la mano del Nostro. Ma altri esempi si possono addurre;  ricordo la scena della baisade in carrozza in MB dove l’elemento amoroso è affogato in un allestimento da eros da pochade. Per non dire gli appunti che Flaubert prendeva mentre scriveva MB, ove ci sono dei dettagli ai limiti dello scherno,  ma che vedeva solo lui. Un esempio si ha nell’altra baisade di Emma con Rodolphe. Negli appunti di Flaubert per il romanzo, la vediamo tornare a casa attraverso i campi “le foutre dans les cheveux” – con lo sperma tra i capelli. Ai lettori del libro questo dettaglio è stato risparmiato, ma dà l’idea “rabelaisiana” e “sadiana” della concezione amorosa dell’artista che sicuramente amò le donne che amò, ma che è il frequentatore dei postriboli che sappiamo e il convinto cantore della prostituzione.

Su Hugo prese le distanze sanzionando in maniera stringente  sia le sue cadute di stile che il suo umanitarismo de Les Misérables (vedi appunto a parte urly.it/3_mct) mentre di Lamartine strazia Graziella  (anche qui appunto a parte urly.it/3_mcx) in quanto romanzo esangue e senza istinto sessuale  (scopano o no? si chiede brutalmente). Mentre la sua testa di turco resta Béranger. Quest’ultimo sarà implacabilmente stilettato in più punti di MB e ES.

Béranger. Soffermiamoci dunque su questo autore. La sua “testa di turco” dicevo.
Flaubert, non dimentichiamo, è uno scrittore feroce, è  il lettore appassionsto di Rabelais e di Sade, e nel privato domestico è colui che interpretava, per far ridere soprattutto l’amata sorella Caroline la maschera del “Garçon”, colui che si “moque de tout”, che sfotte tutto. Flaubert è lo scopritore della idiozia intellettuale contro la quale azionierà in tutta la sua vita artistica una speciale e acre ironia. Ancor prima dei nostri giorni in cui l’idiozia intellettuale ha raggiunto consistenze  stratosferiche (nei film, nei libri, nei programmi televisivi), Flaubert aveva previsto già nella propria epoca, nella seconda metà dell’Ottocento, l’insufflarsi nelle menti, attraverso il processo  di acculturazione di massa, di dosi massicce  di “médiocre”, di “poncif” (dozzinale), di quella idiozia proveniente dalla mezza cultura  che il critico americano Dwight Macdonald chiamerà negli anni ’50 in America “Midcult” e che da allora si è diffuso come un blob in tutta l’infosfera. Contro questo pericolo da egli intravisto, Flaubert, a differenza della sua amica “socialista” George Sand, si oppose, da vecchio mandarino borghese, all’istruzione popolare. Perorava di dare ai poveri il pane ma non l’istruzione. Preconizzava che con l’istruzione i saperi si sarebbero diffusi in ragione aritmetica ma la stupidità dei semicolti, degli acculturati, degli “infarinati” sarebbe cresciuta in ragione geometrica. Sarebbe diventata devastante. Era in lui questa una opinione rocciosa dalla quale mai defletté, e che mise al centro della sua rappresentazione artistica: dagli influssi nefasti della lettura in Emma Bovary e presso quell’idiota scientista di Homais, fino  al delirio enciclopedico dei due sublimi idioti Bouvard et Pécuchet (da ora in poi  B&P, la sigla è più da idioti). Un suo chiodo fisso. Un aspetto imprescindibile della sua poetica, della sua visione. L’idiozia intellettuale è il frutto avvelenato dell’Illuminismo, l’esito non previsto dell’Enciclopedia di Diderot, del sapere dispensato a tutti. Forse Flaubert esagerava, o forse non sbagliava se avesse assistito come noi all’esplosione dei deliri dei semicolti in tempi di pandemia o al delirio genuino e universale in ogni campo del sapere…

Alcuni esempi oltre quelli noti a molti lettori come i disturbi  comportamentali germinati nella testa di Emma Bovary in seguito alle sue eccessive letture, possono essere tratti anche da ES. A comprova che nel Nostro tout se tient.

In ES c’è  questa figurina di Rosanette con la quale il mediocre Frédéric intreccia una relazione non di secondo momento se dà luogo a un parto e alla nascita di un figlio, anche se per sbaglio. Flaubert non è  cattivo con questa “lorette” (una donna di facili costumi che passa da un letto all’altro) verso la quale ha accenti delicati in più punti della narrazione, come in seguito li avrà verso la “servante” Félicité di “Un cuore semplice”. L’artista non se la prende quasi mai con gli umili e i semplici di cuore. Sono bêtès, stupidi, anche loro, certo, idioti intrisi di bêtise, ma di una idiozia quieta, creaturale, naturale come quella delle bestie ruminanti appunto, i bovi (da cui l’artista prende le radici dei cognomi Bovary e Bouvard), non toccati dalla bêtise irredimibile, ovvero  l’idiozia superiore, quella sublime, intellettuale. Certo la sorprende a sbadigliare davanti alle reliquie della Grande Storia durante la gita a Fontainebleu, in cui lo stesso artista si lascia andare, dopotutto, allo scoraggiamento e/o alla malinconia davanti ai fasti transeunti delle Dinastie e delle Corti, alla mestizia sottocutanea del passaggio del tempo e alla diffusa “éternelle misère de tout“.

Flaubert scrive: «Elle [Rosanette] avait été sensible autrefois, et même, dans une peine de cœur, avait écrit à Béranger pour en obtenir un conseil…». Avete letto bene: Rosanette che scrive a Béranger, un poeta che Flaubert considerava mediocre per ricevere consigli in affari di cuore! Cercate di immaginare uno scrittore o un personaggio mediocre  della ribalta di oggi  cui la gente minuta scriva per conforto e ispirazione.  Fate voi i nomi (di cui vi prendete la responsabilità della comparazione dileggiante): Veltroni? Gramellini? Signorini? Barbara D’Urso? C’è una sottile parodia in questa scena: è il pop che dialoga col trash. Béranger è un chiodo fisso per Flaubert, dicevo, la sua bestia nera. Da notare che in MB  nel ritratto di Charles c’è  questa annotazione. Charles «s’enthousiasma pour Béranger, sut faire du punch et connut enfin l’amour». La successione delle “esperienze” di Charles è da “grottesco triste“, un trattamento stilistico frequente in Flaubert in cui egli mischia  l’Alto e il Basso per farli cozzare assieme e vedere l’effetto che fa. “S’entusiasmò per Béranger, imparò a fare il punch  e connobbe infine l’amore”. L’autore qui dileggia il suo personaggio perché mette in successione esperienze volgari (imparare a fare il punch) e sublimi (la frequentazione della poesia di Béranger) e volgari e sublimi assieme come la prima copula.

Flaubert ritornerà spesso, anche in ES e altrove, su questo poeta francese, allora celebre, da lui ritenuto mediocre. In una lettera a L.de Cormenin 7 giu 1844, scriverà «Sembra che siamo fatti per sopportare solo una certa quantità di bellezza; un po’ di più ci stanca. È per questo che le nature mediocri preferiscono la vista di un fiume a quella dell’oceano e che molti proclamano Béranger il primo poeta francese». Ma è alla Colet [27 sett 1846] che preciserà il suo pensiero: «Tu vorresti che io conoscessi Béranger; lo vorrei anch’io. È un grand’uomo che mi commuove. Ma c’è, e parlo delle sue opere, un’immensa disdetta, ed è la qualità dei suoi ammiratori. Ci sono geni enormi che hanno un solo difetto, un solo vizio, e questo è quello di essere sentiti soprattutto da menti volgari (corsivo mio), da cuori in preda a facile poesia. Per trent’anni, Béranger è stato oggetto di romanzi studenteschi e di sogni sensuali di venditori ambulanti. So bene che non è per loro che scrive, ma è soprattutto questa gente che lo sente. Inoltre, la popolarità, che sembra ampliare il genio, lo volgarizza, perché la vera bellezza non è per le masse, soprattutto in Francia». La sentenza è definitiva. Il Bello non è  fatto per le masse. Flaubert segna il distacco definitivo delle due entità. Da allora sarà così nell’epoca della riproducibilità tecnica. Flaubert  segna la data di inizio di un fenomeno che da allora sarà dilagante. È la nascita del “demotico” di cui scriverà  Hobsbawm nel Secolo breve.  Non è  a caso che Flaubert inventerà per il suo Arnoux il titolo della sua rivista «l’Art industriel», che riecheggia il titolo del saggio di Sainte-Beuve (del 1839) che per primo aveva segnalato il fenomeno «La littérature industrielle»,  ossia un ossimoro nella sua visione artistica (se è Arte non può essere Industriale), e una forma sottile  e sintetica di dileggio così frequente in lui.

Flaubert detestava il sentimentalismo facile ma anche l’illusionismo intellettuale. Intendo dire che ci sono due forme di bovarismo (“se concevoir autre qu’il n’est” secondo la formula di de Gaultier, concepirsi diversi da ciò che si è) in Flaubert. Un bovarismo sentimentale e uno intellettuale, ma entrambi trovano una fonte di alimentazione nella lettura di libri. Di Emma è noto il rapporto distorcente sulla sua personalità scaturito dalla lettura dei libri. La stessa cosa succede a Rosanette che scrive a Béranger (che evidentemente ha letto) per avere suggerimenti e conforto alle sue affres sentimentali. E d’altra parte cosa faceva l’estremista socialista Sénécal? Leggeva! E come? Ecco la frase di F. «et il cherchait dans les livres de quoi justifier ses rêves». Puro bovarismo intellettuale! Per entrambi Flaubert nutre in fondo disprezzo intellettuale e comunque questo rapporto distorcente coi libri troverà completamento artistico e apoteosi sinistra nei due lettori compulsivi B&P.

Tout se tient. Flaubert, lo si scorda spesso, è un artista sommo, ma anche uno scrittore “intellettuale”. In ES questo secondo Flaubert è in pieno splendore, e ancor più lo sarà in B&P. Ma man mano che procede in questo itinerario passa dall’esplorazione del cuore (Emma) a quella del cervello e cuore (Frédéric) a quella del cervello solamente (B&P). Escludo il Flaubert orientalista in questa analisi, perché  nell’Oriente Flaubert orienta (bisticcio volontario) il sogno e la rêverie. Lì in Oriente non c’è dissidio, tutto è immediato e non mediato, è natura non civiltà,  e se è civiltà è civiltà morta, ha il fascino delle cose morte. Alberto Cento [Il realismo documentario dell’Éducation sentimentale] scrive una frase significativa: « A Salammbô concedeva tutto ciò che negava a Emma». Nell’Oriente Flaubert era fuori di sé e dunque non vedeva contraddizioni e insufficienze. Era quando tornava da questo sogno purpureo e gemmato che si sentiva costretto a vivere in un mondo e tra gente che lo stomacavano. Odiava il presente e i suoi abitanti e adorava il passato, l’Oriente e la storia come una forma di stordimento dell’io. Il suo oppio.
Da qui molti contrasti e ironie. C’è molta ironia da disagio in lui… l’ironia dell’adattamento dell’ideale nel reale o piuttosto di una caduta rovinosa dell’ideale nel banale quotidiano.
Così è  il nostro artista sommo. Come non amarlo?

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.