Letteratura
Eugenio Montale lettore di Ezra Pound
Ezra Pound. Sull’economista “geniale” che egli fu. Il poeta e il ritratto che ne fece Eugenio Montale
Anni fa enucleai dai volumoni dei Meridiani in cui è riunita l’opera omnia del nostro Poeta sommo (e critico letterario acuto) il ritratto che segue di Ezra Pound. Non erano smaliziati distinguo, erano approfondimenti critici della personalità artistica di Pound molto circostanziati e un po’ perfidamente ironici fermo restando il fatto di una simpatia di fondo per l’autore dei Cantos (Montale, chiese la scarcerazione di Pound quand’egli fu ristretto in Italia).
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Quando vedo le squadre di giovanotti di “Casa Pound” riprendo volentieri in mano le quasi 600 pagine dei suoi intuitivi Saggi letterari (Garzanti 1973, trad. di Nemi d’Agostino). In questi saggi non v’è traccia del Pound cui questi giovanotti si richiamano. C’è un critico letterario acuminato (acuta per dirne una la connessione tra il roman sur rien di Flaubert e l’approdo alla proposta modernista di Joyce in cui il romanzo d’intreccio esplode: un asse tra Frédéric Moreau e Leopold Bloom colto con intelligenza critica da Ezra).
Probabilmente per gli inconsapevoli anticapitalisti di destra Pound è il “grande economista e zelatore di Mussolini” (E. Montale dixit), anticapitalista e antimarxista degli anni Trenta, l’uomo che tuonava contro l’usura e le banche e che nell’incontro che ebbe con Mussolini pare abbia proferito la frase che farebbe andare in sollucchero non solo le brigate rosse o nere ma di tutti i colori dell’arcobaleno, e anche noi assennati uomini della strada: “Duce, ho la possibilità di non far pagare le tasse ai cittadini!”
Nulla so di economia finanziaria, ma a naso – il naso di un homme moyen sensuel – questo Pound che nel nome portava la sua fissazione – la moneta, straordinario caso di nomen omen – mi sembra pericolosamente accostabile a certi avvocaticchi meridionali avversari strenui del signoraggio bancario. E certo: Louis-Férdinand Céline fu più oltranzista di Pound sul terreno della politica, con punte inammissibili di antisemitismo che neanche Pound avrebbe probabilmente sottoscritto. Questo per dire che anche presso le persone più geniali resta abbastanza stoffa per ritagliarne un imbecille.
Ezra Pound visse moltissimi anni in Italia durante e dopo il fascismo. Dopo la guerra venne fatto prigioniero per la sua adesione al regime e, a causa dei suoi interventi, anche antisemiti, alla radio in favore dell’Italia fascista e repubblichina fu internato prima in Italia e poi negli USA perché ritenuto pazzo. Ritornò dunque in Italia e prima di morire a Venezia nel 1972, visse lungamente a Zoagli e Rapallo, luoghi della nostra Italia incantevoli prima che venissero “rapallizzati”. Qui, a Rapallo, venne ritratto da Montale in alcune prose raccolte poi ne Il secondo mestiere (vedi il tutto Montale nei Meridiani, 1996).
La penna critica di “Eusebio” raggiunge nel ritratto di Pound vette di chiaroscurale perfidia. Era forse pazzo Pound? si chiede Montale in Fronde di alloro da un manicomio, scritto in occasione dell’assegnazione del premio Bollinger nel 1948 ai Pisan Cantos.
«Neppur per sogno, a meno che non si vogliono considerare come pazzi i tre quarti degli scrittori d’avanguardia contemporanei. L’opinione corrente è che Ezra sia stato considerato pazzo per salvarlo dal carcere perpetuo e dalla pena di morte. Non era e non è un pazzo autentico, ma solo un caratteristico (sic!) tipo di esule americano […] La catena dei cittadini che protestano contro la civiltà meccanica degli Stati Uniti e celebrano la vita degli istinti non si è mai interrotta. Al movimento che egli fondò, l’imagismo, la poesia moderna, non solo americana, deve l’acquisto di una libertà di ritmi e di musiche che in lui fu sempre sostenuta da un profondo ritmo vitale ma che nei numerosi imitatori divenne ricetta e anarchia». «Nessuno di noi potrebbe immaginare un Eliot o un Joyce che si mettessero al servizio di un dittatore e, in tempo di guerra, si trasformassero in complici e propagandisti dei nemici del loro Paese. […] Ma a Ezra, spirito quasi puerile, non era possibile che la rivolta, e nulla è più penoso della rivolta di un vecchio (Marinetti insegni)».
Fin qui l’esule e il poeta. Segue l’economista e l’italianizzante Pound.
«In Italia egli aveva trovato il suo soggiorno ideale, non dico la sua patria perché l’Italia prefascista, l’Italia democratica non gli piaceva, e l’Italia fascista non seguiva i suoi precetti in fatto di economia e di agricoltura. Il bimetallismo e la coltura integrale delle arachidi erano i due chiodi della riforma ch’egli avrebbe voluto imporci. Inoltre, egli non credeva affatto nella pretesa rinascenza dello spirito italiano nel campo dell’arte e delle lettere. In vent’anni non era mai riuscito a imparare decentemente la nostra lingua, ma ciò non gli impedì di sostenere che la poesia italiana era finita con Guido Cavalcanti, poeta del quale egli dette una edizione critica che i competenti giudicano mostruosa. Pretendeva di conoscere a fondo il provenzale ma una sua conferenza sull’argomento, tenuta a Firenze, in palazzo Vecchio, tolse quell’illusione ai suoi stupefatti ascoltatori. Musicista, aveva scritto versi e musica di un melodramma in un atto, “François Villon”, che non so se sia stato mai rappresentato. Che cosa amava Ezra nel nostro Paese? Difficile dirlo. Firenze gli sembrava una città di cartapesta. Venezia, suo vecchio amore, non gli diceva più nulla. Roma gli faceva orrore: solo a Rapallo, da lui definita “umbelico del mundo”, egli si trovava a casa sua ».
Chiude l’excursus il colpo finale di perfidia di “Eusebio”:
«La Capua di Pier delle Vigne, la Genova di Lanfranco Cigala, la Pisa di Rusticano o Rustichello: ecco che cosa era l’Italia per lui. Scoppiata la folgore, isolato, egli si credette in obbligo di manifestare la sua fedeltà a una terra che perdeva la guerra per difetto di bimetallismo e di noccioline del Brasile, a una terra che da sei secoli era stata disertata dai geni creatori, ma che tuttavia accoglieva nel suo seno l’ultimo esule che non avesse tradito la causa della rivolta perpetua. Il germe del “tradimento” di Ezra è tutto qui. Non tento di giustificarlo, ma mi sforzo di capirlo. Quando un uomo si isola nell’ “umbelico del mundo” è facile che compia un ultimo passo e si convinca di essere egli stesso, in persona, quell’umbelico».
Vedi anche su questa piattaforma Il secondo mestiere della “staffetta” Eugenio Montale. Qui urly.it/3_9d0
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