Letteratura
Essere “autentici” oggi: è davvero possibile?
Come un grido d’allarme, Lipovetsky annuncia nell’incipit del suo saggio, La fiera dell’autenticità (Marsilio 2022), che «dilaga una febbre di tipo nuovo, irresistibile, onnipresente: la febbre dell’autenticità» e «il ventunesimo secolo ne ha fatto un valore di culto». La moda “bio”, i cosmetici e i cibi preparati in casa, gli abiti vintage liberi dai diktat della moda: il «do it yourself» è il nuovo imperativo universale. Il lifestyle alternativo, la vita nei borghi alla ricerca delle sane tradizioni locali, immuni dal caos metropolitano, l’essenzialità e la frugalità di una vita green, minimal, conforme alla propria vera dimensione e capace di tradurre in realtà l’aspirazione a una piena aderenza a sé stessi, sono una norma valida quasi per tutti. «L’autentico è cool» e il «be yourself è il comandamento supremo».
Ebbene che cosa c’è di stonato in tutto questo? Lipovetsky lo spiega in modo chiaro: il disancoramento del concetto di autenticità rispetto ai nobili ideali che tradizionalmente lo hanno sostenuto e la sua riduzione a effetto del mercato. Siamo entrati nello «stadio consumistico dell’autenticità»: «un tempo apprezzavamo la naturalezza delle persone e dei loro comportamenti: oggi apprezziamo i prodotti ecologici (…). L’ideale dell’autenticità ha compenetrato il mondo delle cose». Insomma l’autenticità non è un ideale, ma una qualità dei prodotti di mercato, non un valore etico, ma economico, il quid pluris, la «formula magica» che si aggiunge al successo delle imprese.
Che fare allora? Dopo che filosofi e pensatori di ogni tempo hanno condannato l’ipocrisia della vita inautentica, ora dovremmo liquidare l’autenticità come uno pseudovalore? Lipovetsky, lungi da risposte semplicistiche, spiega che forse la via migliore è quella di rinunciare alla «religione» dell’autenticità. Nessuna delle grandi catastrofi (ambientali, economiche, sociali, politiche) del nostro tempo, sarà risolta dall’autenticità che non è la panacea, il rimedio universale a tutti i mali dell’universo, la risposta univoca alle grandi sfide del nostro tempo, qualora venisse interpretata come valore assoluto con cui identificare l’esistenza. È certamente, sì, un valore, un «potentissimo operatore di cambiamento», ma va inserita in un quadro più complesso di ideali da cui non si può prescindere.
Lipovetsky fornisce una vera e propria ricostruzione storica dell’evoluzione che il concetto di autenticità ha subito nel corso dei secoli, spiegando peraltro in che modo sia venuto nel tempo a intrecciarsi con il concetto di libertà. È evidente, infatti, che nelle società rette da governi dittatoriali, da regimi assolutistici, non esiste la libertà di essere sé stessi e di esprimere in modo diretto il proprio pensiero e la propria personalità.
Un momento particolarmente significativo nell’excursus tracciato da Lipovetsky riguardo alla storia della libera attestazione della propria individualità e unicità da parte dell’essere umano, è l’Illuminismo. Quando Rousseau scrive le sue Confessioni e mette a nudo la propria vita, commentandola anche nei suoi aspetti più personali e privati, dall’infanzia all’età adulta, opera una vera rivoluzione, quella di un IO che esiste e rivendica il diritto a una concreta emancipazione sia da un sistema politico di controllo serrato sulle esistenze sia da un’organizzazione sociale fondata su ipocrite finzioni esibite sul palcoscenico della corte da parte di un’aristocrazia compiaciuta dei propri privilegi gelosamente custoditi: è anche così che si è combattuta la lotta all’Ancien Régime.
Altrettanto decisiva secondo Lipovetsky è stata la rivoluzione del’68: interi gruppi sociali, giovani, donne, lavoratori, hanno condotto accese battaglie per il loro affrancamento da un passato autoritario, in nome di una vita più dignitosa, autenticamente ispirata a una personale visione del mondo e della vita, secondo prospettive esistenziali e culturali finalmente svincolate dai condizionamenti di uno svilente e opprimente principio d’autorità che la tradizione aveva lasciato consolidare nei più svariati ambiti della vita sociale, dalla famiglia, alla scuola, all’Università, alle fabbriche.
Ciò che nella storia ha sempre caratterizzato la lotta ingaggiata in nome dell’autenticità è sempre stata la forte, sentita, ispirazione a nobili ideali di libertà, equità, giustizia, sintetizzabili in una visione il più possibile aderente alle più sincere e profonde convinzioni rispetto alle quali gli uomini e le donne di ogni tempo hanno inteso orientare le proprie condotte e le proprie esistenze.
E oggi? Ora sebbene la democrazia abbia di fatto abbattuto ogni evidente ostacolo alla libera, genuina, espressione di sé, possiamo sinceramente dichiarare di vivere nell’era dell’autenticità? La facilità delle comunicazioni è davvero sinonimo di una manifestazione autentica del nostro essere al mondo? Se abbiamo, sì, conquistato la libertà DI fare ciò che vogliamo, ciò che ci piace e ci gratifica, possiamo con altrettanta sicurezza affermare di essere davvero liberi DA condizionamenti che inficiano e inquinano la nostra autenticità?
Si tratta di interrogativi che – nota Lipovetsky – hanno un’amara risposta: nell’era del web, oltre alle ben note mistificazioni della realtà operate dall’Intelligenza Artificiale o comunque da un suo uso distorto, si arriva al terribile paradosso per cui si diventa autentici e ci si sente davvero sé stessi solo se si ricorre a falsi profili social. Non è oggetto della riflessione di Lipovetsky la mole delle conseguenze legali e etiche di tale fenomeno, bensì la disperazione e la solitudine esistenziale di chi trovando bugiarda e ipocrita la vita quotidiana in una società che è fatta di maschere, cerca rifugio nell’anonimato di un profilo falso, l’unica isola in cui poter esprimere la propria dimensione più vera e aderente a sé. Lo diceva già O. Wilde: “Datemi una maschera e vi dirò la verità”.
Insomma, sembra suggerire Lipovetsky, forse prima del tanto osannato e consigliato be yourself, “sii te stesso”, converrebbe ritornare alla socratica formula del conosci te stesso. Facciamo in modo che l’autenticità non sia una “moda”, ma un sincero “modo” di essere.
(Cfr.: https://laprofonditadellecose.blogspot.com/2024/01/g-lipovetsky-la-fiera-dell-autenticita.html)
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