Beni comuni
Sponz 2022, Sant’Andrea di Conza, si parla di Eclissica e delle terre dell’osso
L’ultima volta che sono stato all’episcopio di Sant’Andrea di Conza è stato per lo Sponz 2016. Paolo Rumiz presentava ‘Appia’. Una serata più fredda del solito, il termometro della macchina sulla strada del ritorno segnava quattordici gradi, era il 22 agosto. Io, abituato alle zone di mare, non ero abbastanza coperto e ricordo di aver preso un sacco di freddo. Rientrando mi sono difeso dalle conseguenze di quella serata tenendo il riscaldamento della macchina al massimo, è stata una delle poche volte che ho apprezzato davvero l’esistenza e il funzionamento di quell’impianto sulla mia auto. L’episcopio di Sant’Andrea di Conza è nato con funzione difensiva, poi nel XVI secolo è diventato il palazzo episcopale. Sant’Andrea ospita in questi giorni la Festa del Libro. E’ quindi la sede perfetta per parlare in questo primo giorno dello Sponz 2022 di Eclissica, l’ultima opera letteraria di Vinicio Capossela, e in particolare di quella parte del libro in cui si parla delle terre dell’osso e delle tradizioni che le caratterizzano.
Il vuoto di queste zone, il vuoto di questo immenso episcopio, è una risorsa da riempire. La sfida dello Sponz dal 2013 a oggi è sempre stata questa: allargare i confini del reale di una terra in cui dominano il vento e il grano. E sono due le fratture principali che hanno colpito le terre dell’osso, due le ferite da sanare. Nel secondo dopoguerra, quando l’Italia ha cominciato a marciare a ritmo industriale, sono state tante le persone che hanno lasciato queste zone in cerca di un futuro migliore, e il treno, arrivato fino qui e festeggiato come occasione di conquista sociale, ha contribuito a fare partire tanta gente da questi posti. Poi il grande terremoto, quello della legge n. 219 del 1981, e della ricostruzione forsennata, sfregio di alcuni dettagli di una paesaggio contadino e della propria identità. E’ di tutto questo che lo Sponz ha deciso di farsi carico. E la proposta iniziale, arrivata da Vinicio Capossela e da chi ormai da dieci anni lo supporta in questa avventura, è stata recepita da decine di migliaia di persone che ogni anno partecipano allo Sponz, e su di esso si informano contribuendo al mantenimento delle memoria di queste terre.
E’ nell’inutile che sta l’utile. E’ fatto di concetti ossimorici il fraseggio di queste terre, che Vinicio ha fatto suo in Eclissica. E il titolo dell’ultimo libro di Vinicio è esso stesso un ossimoro, perché in quanto scritto c’è un sacco di luce che fuoriesce dalla pagine di questo viaggio durato quindici anni. A esso mi sono avvicinato inizialmente con circospezione, dal numero di pagine pretendevo di valutare se fosse il caso o meno di avventurarmi nella sua lettura. Poi, a inizio agosto, ho rotto gli indugi e ho cominciato a leggerlo. Ne ho ricavato fin dalle prime pagine un piacere su cui ancora mi sto interrogando. Il testo è uno zibaldone, un diario di viaggio, un memoir, pieno di aneddoti personali e ricordi di un’artista che ha attraversato il mondo dai Balcani agli Stati Uniti, passando per quel punto di intreccio che è l’Italia, con la sua musica. Quello che colpisce è il punto di vista sempre denso e originale, frutto di stratificazioni successive, millenarie, che sembrano coincidere con i calcari del Cretacico e dolomitici di cui sono fatti i monti di queste terre dell’osso.
La sensazione è che davvero, come dice Vinicio, l’Italia non si divida in nord e sud, ma in aree interne, coste e centri urbani. E ci sono voluti un po’ di anni per capirlo, e a questa comprensione siamo arrivati anche grazie a questi dieci anni di Sponz, avendo contribuito l’evento di cui Vinicio Capossela è direttore artistico ad animare un dibattito che è stato portato anche a livello nazionale, e che nell’edizione dello scorso anno, tutta dedicata alle aree interne, è giunto a maturità. E ci sono voluti vari documenti governativi per individuare una rotta. E si è cominciato a parlare di una ‘strategia nazionale delle aree interne’ già dal 2013, anno in cui si è tenuta anche la prima edizione dello Sponz, e tutto questo perché certe cose non succedono mai per caso. Alla fine queste terre hanno bisogno soprattutto di servizi, e la politica, compresa la nuova classe dirigente che uscirà dalle elezioni del 25 settembre, è soprattutto su questi che sarà chiamata a rispondere.
E’ l’epica del niente che lo Sponz ha saputo coltivare, il sovvertimento di un luogo altrimenti destinato a una fine prematura. Portare nelle terre di Irpinia influenze arrivate come polline con il vento. Portare qui la cultura delle terre di frontiera. Fecondare queste immense terre con una semente prima sconosciuta, e allo stesso tempo estrarre dalle terra tutto quello che aveva ancora da dare. E’ nel punto esatto di incontro tra tutte queste correnti che si sono formati dei miti, che lo Sponz e Vinicio Capossela hanno saputo raccontare rendendoli patrimonio di tutti. Per Capossela questa mitologia è prima di tutto familiare, poi è legata a quella che è stata la sua infanzia del mondo. Figure i cui nomi sono già esplicativi del disegno che portavano dentro, nomi passati in rassegna dall’autore in Eclissica e anche con Il paese dei Coppolloni il cui semplice suono è sufficiente a renderli vivi e pensanti. C’è un patrimonio immenso da difendere, è quello della cultura popolare. Ma c’è anche una domanda da porre: finite il popolo di cui quella cultura è espressione che ne sarà di essa? Cosa vive ancora di essa?
Nel suo libro Vinicio pone questo interrogativo e fornisce anche una risposta. Vive la sua verità. Vive il lamento esistenziale che l’ha originata. Vive ciò che sa parlare alla parte autentica della nostra vita. E forse l’unica maniera di avvicinarsi a questi nuovi germogli di cultura è concedergli di crescere in un altro modo, anche fuori del contesto in cui hanno visto la luce. Lo Sponz offre un terreno su cui raccoglierli questi germogli delle terre dell’osso, è questo il disegno a cui si è arrivati dopo dieci anni di peregrinazioni che l’hanno portato a vivere anche fuori da Calitri, allargandosi a tutta l’Irpinia e poi alla costola emiliana, come polline portato dal vento. E il terreno su cui giocare la sua identità è quello del folklore, inteso come via di d’accesso alla “conoscenza del popolo”, conoscenza che tramandandosi si rinnova continuamente.
Vinicio Capossela in Eclissica cita le parole di Zorba il Greco: “Padrone che strana macchina è l’uomo, ci metti dentro carote, carne, vino ed escono merda, guerra, musica, danza … io padrone giudico gli uomini in base a quello che in cui trasformano mbekos, il pane e il vino, in theos, il dio. Se producono miracolo oppure sterco, se cattiveria oppure festa”. Sembra prendere esattamente spunto da qui lo Sponz Fest ideato da dieci anni in queste terre dell’osso. “Trasformare il vuoto in idea, dare musica al tramonto, incendiare l’alba a oriente e finire la sera a occidente, sponzati dall’accidente”. E’ questa la sintesi perfetta di questi primi dieci anni di Sponz Fest, la festa di tutte le eccezioni, qui, dove il cielo non sta mai fermo, nelle terre dell’osso.
Foto di copertina: Antonella Gallucci
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