Letteratura

Elegie del risveglio, Alida Airaghi sulle orme di Rilke

8 Aprile 2024

Con il termine elegia nella letteratura greca e latina si indicano dei componimenti poetici che, diversamente dai modi dell’epica, usati per raccontare gesta storiche o leggendarie di eroi e altre figure emblematiche, hanno un tratto riflessivo e meditativo, a volte contenendo una lamentazione, funebre o amorosa e, più generalmente, mostrando un andamento del discorso introspettivo. Nella poesia del ‘900 un’interpretazione oltremodo alta di questa tradizione letteraria è rappresentata dalle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke, scritte tra il 1912 e il 1922, e pubblicate nel 1923

L’opera di Rilke, all’interno di un’escursione poetica vastissima e complessa, gravida di significanti letterari e filosofici, di significati e di rimandi simbolici, di strofa in strofa svolge una critica alla condizione, o all’essenza, dell’umanità, al limite razionale, al filtro della coscienza, a cui è in qualche modo connessa, alla semplificazione culturale da cui è attraversata, ben al di là di una contestazione romantica della società moderna, omologante e massificata, borghese e mercantilista, che pure è implicitamente presente nel testo. Il grande scrittore praghese sembra voler mettere in risalto il rischio, e il dramma, forse connaturato alla sfera dell’umano, di una relazione parziale, incompiuta, ovvero di riflesso, con la verità e con la libertà.

A questo riguardo appare esemplare e significativo un passaggio dell’ottava elegia, che riportiamo nella traduzione di Maria Grazia Marzot:

Sempre volti al creato, vediamo
solo in esso il riflesso dell’essere liberi,
da noi offuscato. O se un animale,
di quelli muti, ci penetra calmo con lo sguardo.
Questo è il destino: stare di fonte
e nient’altro che questo e sempre di fronte.

Nelle Elegie duinesi la figura ricorrente dell’angelo, del resto, è una sorta di contraltare, di figura che simboleggia la bellezza e la grandezza che esulano dall’esperienza accessibile agli esseri umani. E, come a voler suggerire la necessità di un cambio di prospettiva, di un ribaltamento della direzione del pensiero e della percezione, utile a integrare e a completare la visione, nella memorabile chiusa dell’opera si concepisce una felicità discendente e paurosa, nonché, proprio per questo, liberatoria e coraggiosa:

E noi, che pensiamo alla felicità
come a qualcosa che sale, sentiremmo
l’emozione, che quasi ci sgomenta,
di quando una cosa felice, cade.

E se Rilke nelle Elegie duinesi suggerisce che anche l’amore può essere un limite alla completezza e alla trasformazione della conoscenza (“Gli innamorati, se non fosse che l’uno/ blocca la vista all’altro”), Alida Airaghi in una poesia delle sue Elegie del risveglio (Nulla die, 2022; Sigismundus, 2016) – opera di ispirazione filosofico-concettuale e dalla versificazione declinata secondo un ritmo narrativo, discorsivo, agile –, sia pure in uno scenario non meno depurato dalle illusioni e dalle consolazioni fallaci di quello rilkiano (“abbiamo esplorato/ ogni abisso e mistero, sbugiardato gli inganni.”), sovverte lo scenario e immagina, con uno slancio forse non privo di una componente provocatoria, con uno sguardo in cui potrebbero coesistere l’idea e l’ombra del significato proposto, una forma di amore che estende la capacità di sentire e accogliere il mondo e che trasferisce soggettività alla materia:

Quello che fuori non li interessava
diventa loro in un istante. Tanto si espande
in chi ama il sentire, che cielo
erba segnali stradali si imprimono
in dissolvenza, scenario
irrilevante – o necessario. E l’albero
la sedia il portacenere spariscono,
per poi riaffacciarsi imperiosi,
decisi a ribadire «ci siamo,
e testimoni potremmo se richiesti
assolvere o accusare».
Gli oggetti, i silenziosi complici,
le congiuranti spie
di incontri, abbracci,
promesse imperiture.

 

 

 

 

 

 

1 Commento
  1. Poesia intensa come poche altre quella di Alida Airaghi. Non ossessionata come troppa poesia italiana di oggi dall’invedenza dell’ego, l’io ha perso ogni fiducia di giudice e guarda le rovine degli egoismi intrecciati, le distruzioni degli ego che non riescono a farsi io se non annientando tutto ciò che si trovano davanti — invece di guardarlo e amarlo.

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