Letteratura

Elba Book Festival, l’incontro tra Dylan Thomas e Luigi Berti

12 Luglio 2024

Il dibattito antico sul rapporto, inevitabilmente complesso, eppure, va da sé, innegabile, ovvero non eludibile, tra letteratura e vita è destinato, per fortuna, ci viene da pensare, a proseguire, ad alimentarsi grazie sia a visioni nuove sia alla riproposizione, in forme e accezioni differenti, di quanto è stato già detto. Un aspetto singolare, a volte forse minore, o accidentale, ma più facile da definire e da inquadrare, di questo fenomeno si ha quando uno scrittore si trova a vivere, a sperimentare qualcosa che segna profondamente la sua percezione delle cose e, quindi, eventualmente anche in modo episodico ed estemporaneo, la sua vita, e la sua immaginazione. Se poi il tutto si riversi o meno in una qualche ispirazione letteraria è, in fondo, un fatto secondario, o contingente. Dall’altra parte è probabile, se non sicuro, che l’intensità dell’esperienza, per una sorta di osmosi percettiva, o energetica, abbia risvolti o riflessi creativi.

Potrebbe essere accaduto qualcosa di simile al grande poeta gallese Dylan Thomas tra il luglio e l’agosto del 1947, quando si trovò a trascorrere un mese illuminante e memorabile sull’isola d’Elba. Thomas era già un autore popolarissimo. Le sue letture, infatti, anche in virtù delle sue qualità attoriali, della sua aura da poeta “maledetto” e della componente visionaria e sonora insieme delle sue poesie, attiravano e affascinavano folle di appassionati.

La sua poetica, che può definirsi neo-romantica, è attraversata da una connessione, o risonanza, ideale con quella dei bardi medievali, di John Donne, di William Blake e di Gerard Manley Hopkins, e si contrappone al modernismo e all’intellettualismo dell’opera di Thomas Stearns Eliot e alla componente realistica e sociale, influenzata dal pensiero di Sigmund Freud e di Karl Marx, presente nei testi di Wystan Hugh Auden e della poesia britannica dell’epoca.

Tra i temi centrali della poesia di Thomas, segnata da un tratto metafisico e da echi biblici e apocalittici, si distinguono quelli relativi all’alternanza tra creazione, distruzione e rigenerazione e al ciclo della vita e della morte. Ma, soprattutto nelle poesie scritte negli anni della maturità, conviene sottolineare anche la presenza di uno sguardo partecipe e sofferto rivolto alla storia e alla parte tragica della realtà del suo tempo.

Dylan Thomas e Luigi Berti

Thomas si reca sull’Elba al seguito di Luigi Berti, poeta, critico letterario e traduttore, tra gli altri di Hermann Melville e Thomas Stearns Eliot, che nei giorni precedenti lo aveva messo in contatto con autorevoli rappresentanti della cultura fiorentina, come Mario Luzi, Eugenio Montale, Alessandro Parronchi e Piero Bigongiari. Il viaggio sull’Elba, tuttavia, per Thomas è una specie di evasione, l’occasione preziosa per una liberazione.

Il poeta stabilisce rapidamente una relazione sentimentale, o emozionale, con l’isola e il suo paesaggio e una connessione umana, in qualche modo spirituale con i suoi abitanti. E verosimilmente, al di là dei bicchieri di vino e di birra bevuti insieme, è da considerarsi elettiva anche l’affinità che si crea tra Thomas e Berti. Il poeta gallese, infatti, non parla l’italiano, Berti, sebbene traduca scrittori britannici con il supporto di testi francesi di servizio, conosce poco l’inglese.

Il 26 luglio del 1947 Thomas scrive da Rio Marina una cartolina agli amici Bill e Helen McAlpine: “Fortunato Napoleone! Questa è un’isola bellissima; e Rio Marina il più strano villaggio che vi esista: vi abitano soltanto pescatori e minatori: pochi turisti: nessuno dei quali straniero. Severo all’estremo. Qualcosa di simile auna Caherciveen latina. Avvisi “Proibite le risse” in tutti i bar. Cognac dell’Elba 3 penny. Naturalmente nessun orario. Bagni meravigliosi…”.

E in una lettera all’amica e mecenate Margaret Taylor scrive: “Anziani e riarsi minatori, cinquant’anni nel fuoco, ringhiano contro il caldo mentre trascinano nudi, sui moli scheletrici, gli arrugginiti vagoncini”. E ancora: “…amo quest’isola e vorrei non vederla in una delle stagioni infernali”.

Il 18 di luglio, alle 18.30, nell’ambito dell’Elba Book Festival si terrà una tavola rotonda, dal titolo “L’attenzione dei poeti per Dylan Thomas”, dedicata proprio alla comunanza umana e letteraria tra il poeta gallese e Luigi Berti che si realizzò a Rio Marina nel 1947. L’antropologo Francesco Paolo Campione e i poeti Tommaso Di Dio, autore del libro di traduzioni Dylan Thomas, Visione e preghiera. Poesie scelte (Giometti&Antonello), e Paolo Fabrizio Iacuzzi si confronteranno con Matteo Bianchi, direttore della rivista Laboratori critici a centodieci anni dalla nascita di Thomas e a sessanta dalla scomparsa di Berti.

Inoltre, l’incontro tra Thomas e Berti viene approfondito nell’editoriale del prossimo numero della rivista Laboratori critici (Samuele Editore), firmato da Matteo Bianchi e Tommaso Di Dio. In particolare, Bianchi che, insieme all’editore Alessandro Canzian e alla ricercatrice Marta Fabrizzi, curatrice del volume Carteggio 1931-1946. La nascita di Inventario (Società Editrice Fiorentina, 2023), ha condotto una consultazione approfondita del Fondo “Luigi Berti” all’interno del Gabinetto Vieusseux, ci rivela una notizia degna di nota: “Non esiste traccia di alcuna traduzione fatta da Berti dei versi di Thomas, nonostante tutte le note biografiche affermino il contrario. Del resto, non se ne fa cenno nell’epistolario del poeta gallese, come avevano confermato nella commemorazione del 2014, a cinquant’anni dalla scomparsa del poeta riese, a Portoferraio, sia l’elbano Giorgio Vanagolli sia Fausto Ciompi, già professore ordinario dell’Università di Pisa. E non se ne fa cenno nemmeno in Inventario, la rivista fondata da Berti e Renato Poggioli proprio nel ‘46, che abbiamo sfogliato da cima a fondo. A nostro avviso, forse anche per una sopravvalutazione, se così si può dire, degli esiti della vacanza toscana dei due letterati, il Thomas Stearns Eliot che Berti traduceva – sempre dal francese e sempre su versioni di servizio, conoscendo l’inglese a malapena anche a detta di Montale e di Pavese – sarebbe stato confuso e scambiato, di articolo in articolo, con il Dylan Thomas tanto elogiato di persona”.

Sull’isola d’Elba Dylan Thomas compone una delle sue poesie più belle, In Country Sleep:

Nel sonno campestre

I.

Mai e poi mai, figlia mia che cavalchi in lungo e in largo

Nella terra delle fiabe del focolare, e per incanto addormentata,

Devi temere o credere che il lupo con una cuffia bianco-agnello,

Saltelloni e belando rozzo e allegro balzerà, o cara, o cara,

Da una tana nel mucchio di foglie nell’anno zuppo di rugiada,

Per mangiare il tuo cuore nella casa del bosco delle rose.

 

Dormi, buona, ora e sempre, lenta e profonda, rara e savia

Nell’incanto, mia bimba errante nella notte rosea contea

Delle favole agresti: nessun guardiano d’oche o di maiali

Si muterà in un re da cortile o villaggio di fuoco

O in principe di ghiaccio per adescare dal tuo fianco

Il cuore di miele prima dell’alba in un boschetto

Di ragazzi e di paperi in cerchio, lancia e ustione,

 

Né l’innocente giacerà nella valletta grufolante

Sedotta e bucata, e straziata fra le piume piangerà

La mia cavallerizza. Dalla schiuma della strega sulla scopa

Ti protegge la felce e il fiore del sonno campestre

E il baluardo della verde foresta. Riposa salda e profonda,

Tranquilla e immune dai mantici della nidiata tra i giunchi.

Mai, bimba mia, finché la severa campana a sonno rintocchi,

 

Devi temere o credere che rustica ombra o incantesimo

Possa erpicare e nevicare il sangue mentre cavalchi qui,

E là, perché chi può infestare le grondaie del monte

Piene di corvi o agguattarsi nel borro lunare se non il lume

Della luna che limpido echeggia dal pozzo stellato?

Sfiora un angelo il colle. Dalla cella d’un santo,

L’uccello notturno, attraverso conventi e cupole di foglie,

 

Canta laudi al suo albero dal petto di pettirosso, tre Marie

Nei raggi. Sanctum sanctorum l’occhio animale del bosco,

Nella pioggia che sgrana il suo rosario, e il più austero fantasma

Il gufo ai suoi rintocchi. Volpe e boscaglia

S’inginocchiano al sangue. Ora i racconti lodano

La stella sorta al pascolo e per tutta la notte le favole brucano

Sopra la sacra mensa dell’erba prosternata.

 

Temi sopratutto e sempre non il lupo nel suo belante cappuccio

Né il principe zannuto nell’infoiata fattoria nel brago

E in cotenna d’amore, ma il Ladro mite come la rugiada.

Santa è la campagna. Oh dimora in quel luogo gentile,

Conosci il verde bene, sotto la luna della rotante preghiera,

nel bosco di rose, la salmodia e il fiore ti proteggano

E lieta nella grazia possa tu riposare. Dormi incantata in pace

 

Nell’umile casa nel boschetto dell’agile scoiattolo,

Sotto mussola e paglia e stella: custodita e benedetta,

Anche se insegui gli alti quattro venti, contro l’ombra

Che bagna e il ruggente al saliscendi, serena

Nei tuoi voti. Pure, sii certa, del ragnateluto beccuto buio

E dai rami artiglianti, verrà il Ladro e una via cercherà

Furtivo e sicura, e furtivo come neve, mite come rugiada

 

Fiorita sul rovo, questa notte e ogni vasta notte,

Finché l’austera campagna non parlerà nella torre

E suoni a sonno sulle stalle delle fiabe del focolare

Il mio amore perduto; e l’anima camminerà

Sulle acque tosate. Questa notte e ogni notte,

Dalla stella cadente che nascesti, sempre e sempre

Una via troverà, come la neve cade, come cade la pioggia

 

E grandina sul vello, come la nebbia della valle

Cavalca fra le stalle d’orofieno, come cade la rugiada

Sulla polvere dei meli mulinata dal vento e sulle isole

Pestate delle foglie mattutine, come cade la stella,

E il seme alato della mela scivola, e cade, e fiorisce

Nella ferita spalancata al nostro fianco, come il mondo

Precipita, muto come il ciclone del silenzio.

II

Notte e la renna sulle nubi sorvolanti i pagliai

E le ali del gran Rokh infiocchettate per la fiera!

Saga rimbalzante della preghiera! E alte, lassù,

Sopra i venti dal tallone di lepre, le gracchianti

Cornacchie volate dai loro neri bethel, i sacri libri

D’uccelli! Fra galli di fiamma la rossa volpe ardente!

 

Notte e vena d’uccelli nel polso alato del bosco!

Battito pastorale del sangue attraverso le foglie

Merlettate! Ruscello sgorgante dai neri polsi di prete

Del boschetto e dalle maniche di brina

Del racconto e del chiasso dell’usignolo! Anima esalata

Della valletta lacerata al canto e collina di cipressi

 

Vestita di cotta! Racconto e chiasso nel cortile scremato

Della pioggia burrolattea nel secchio! Sermone

Del sangue! Vena sonora d’uccello! Saga rimbalzante

Dal tritone al serafino! Cornacchie evangeliche!

Narrate tutti, stanotte, di lui che viene

Rosso come la volpe e furtivo come il vento calcagnuto.

 

Luminaria di musica! Gabbiano dal nero dorso cullato dall’onda

Con la sabbia negli occhi! E il puledro caracolla

Per l’erboso lago agitato, silenzioso, con zoccoli di luna,

Nelle veglie del vento. Musica degli elementi,

Quale miracolo crei! Terra, aria, acqua, fuoco,

Nel bianco atto entrano cantando la mia amata dormiente

Dai capelli orofieno e dall’azzurro squarcio degli occhi,

Nella casa aureolata, nella sua rarità e alto collinoso cavalcare,

Custodita e benedetta e vera, e così quietamente riposante

Che il cielo potrebbe incrociare i suoi pianeti,

E la campana piangere, la notte raccogliere i suoi occhi,

Il Ladro cadere sui morti come la volente o nolente rugiada

 

Se non fosse il girare della terra nel suo santo cuore!

Lentamente, furtivo, ascoltando la ferita nel suo fianco

Girare intorno al sole, egli verrà al mio amore

Come la neve destinata, e in verità egli scorre

Verso il lido dei fiori come il mare obbediente della rugiada,

E di sicuro veleggia come le nuvole dalla forma di nave.

 

Oh destinato egli viene a non rubarle la ferita della

Marea dissoluta, né l’alto cavalcare, né gli occhi

O i capelli incendiati, ma la sua fede che ogni vasta notte

E la saga della preghiera verrà a rubare la sua fede

Che in quest’ultima notte per il suo empio amore

La lascerà a vegliare nel sole senza legge

 

Nuda e abbandonata a rattristarsi che egli non verrà.

Sempre e sempre con tutti i tuoi voti credi e temi

Mia diletta stanotte egli viene e notte senza fine, mia diletta,

Fin da quando nascesti: e tu dovrai svegliare, dal sonno

Campestre, in questa aurora e ad ogni prima aurora,

La tua fede immortale come il grido del regolato sole.

(Traduzione di Ariodante Marianni)

 

La poesia nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto far parte di un progetto articolato comprendente In the White Giant’s thigh (Nella coscia del Gigante Bianco, “Quelle che un tempo, ora verdi campagne, erano siepi di gioia./ …”), Over Sir John’s Hill (Sulla collina di Sir John, “Sulla collina di Sir John/ Il falco in fiamme immobile pende;/…”) e un testo intitolato In Country Heaven, rimasto incompiuto, di cui, tuttavia, abbiamo alcune strofe:

 

Sempre quando lui, nel paradiso della campagna,

(Che il mio cuore sente),

si segna celebrando il petto dell’Oriente, e si inginocchia,

Umile in tutti i suoi pianeti,

E piange sulla collina declinante,

 

Poi nella gioia e nel boschetto delle bestie e degli uccelli

E nella valle canonizzata

Dove stelle di rugiada cantano ancora pascolando

E gli angeli vibrano come fagiani

Attraverso navate di foglie,

 

La luce e le sue lacrime scivolano insieme

(Mano nella mano)

Dagli occhi della campagna, sale e sole, stelle e sventura

Lungo gli zigomi e i nitriti

Giù nel buio che sprofonda.

 

Nei villaggi del paradiso dondolano le lampade,

Nei neri boschi sepolti

Cespugli e gufi si spengono come candele,

E campi serafici di pastori

Svaniscono con i loro rosei

 

E bianchi, luminosi come Dio, greggi, agnelli saltellanti con il campanaccio,

(La sua razza gentile);

Il falco come una stella cadente impresso cieco in una nuvola

Sopra le contee dei mori

Sente i campanili e i ciottoli

 

Delle città dei dodici apostoli che risuonano nella sua notte;

E la grande volpe come il fuoco

Va fiammeggiante a caccia di galletti

Nelle fattorie protette del paradiso,

Ma tutti dormono profondamente.

 

Poiché il quinto elemento è la pietà,

(Pietà per la morte)…

 

 

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