Letteratura
Dove c’è un libraio c’è ancora letteratura
Strano destino quello del libraio. Per secoli una figura di riferimento per i lettori di ogni specie. Un’attività sociale vera e propria, di formazione e di relazioni amichevolmente professionali. Una figura ben precisa nell’immaginario collettivo e nella quotidianità lavorativa delle sue giornate trascorse tra i libri. Ovunque, il libraio ti accoglie(va) con un sorriso e sa(peva) consigliarti. Ed è(ra) sempre gentilmente sobrio e fermo nel suo ruolo di consulente letterario. Quasi distaccato, invece, in quello di venditore. La verità è che ogni scrittore autentico, in cuor suo, per mitigare le ambizioni, vorrebbe essere un libraio e bearsi del suo straordinario equilibrio, fatto di cordialità e suggerimenti specifici, conoscenza, e capacità di mantenersi in un moderato quanto confacente giudizio critico. Mentre, un libraio, nella sua compostezza caratteriale e giustezza d’animo, contempla lo scrittore come il creatore dell’oggetto di cui egli si è reso edotto, o che intuisce solamente, senza sfogliarne una sola pagina, che alla fine distribuisce con cura tra gli scaffali come un involucro contenente parole di buona compagnia, che suscita interesse e scuote emotivamente il lettore, giammai come un prodotto da supermercato, imposto da una catena commerciale. Talvolta, ho fantasticato su questa magnifica figura, fino a sentirla vicina e familiare: “Non ha mai letto un giallo? Cominci con Simenon, signora. Vedrà, si appassionerà al genere.” E, ancora: “Non abbia paura di Dostoevskij, signore. Non è pesante, né complicato. È solo uno scrittore che scava a fondo nell’animo umano.” Di più un libraio non dice. Non ha la supponenza di sostituirsi allo specialista della critica, pur avendo, spesso, il sentore appropriato per ogni opera che vende.
Oggi, si entra in una libreria, ma il libraio non c’è più. Al suo posto, commessi insofferenti e svogliati a cui chiedere qualche informazione per prendere visione dell’eventuale acquisto. Tante librerie sono megastore ed è anche normale che abbiano un personale adeguato alla struttura. Ma, una siffatta evenienza rende del tutto inutile il ruolo del libraio. D’impatto, mi chiedo se a cambiare sia stato solo il meccanismo con cui si vendono i libri, o anche la maniera di scriverli. Non mi sorprenderei se alla scomparsa, o alla diminuzione massiccia dei librai corrispondesse, linearmente, la dissoluzione, o il ridimensionamento della letteratura. Fortunatamente, sia in provincia che nelle grandi città, esistono ancora aggraziati sapienti dietro a un bancone che ci vendono un libro omaggiandoci della loro erudita cordialità. Per buon sortilegio, resistono ancora librerie storiche e ostinatamente reattive che si rifiutano di cedere il passo alla modernizzazione spicciola della lettura e del sapere. E, si definiscono, orgogliosamente, “librerie indipendenti”. Al loro interno non vedrete montagne di prodotti confezionati da best-seller e schiaffati in bella mostra in vetrina e negli scaffali prenotati a buon prezzo. Vi si trovano, però, molto probabilmente, le fatiche letterarie che un’editoria, anch’essa indipendente, seleziona con molta cura, scrupolosa ricerca e abnegazione al lavoro, scommettendo sulla qualità, la sperimentazione, le novità, senza aver paura dell’incerto commerciale. E, a quanto pare, oltre alle soddisfazioni, anche i risultati economici cominciano a essere tangibili, non arricchendo, ma assicurando la sopravvivenza di editori coraggiosi e tenaci. Vuoi vedere che l’indipendenza, nel sistema di produzione editoriale, recupererà non solo la genuinità dei librai, ma anche l’autenticità degli autori e, quindi, dei libri? Così, per dire.
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