Letteratura

Dove c’è un libraio c’è ancora letteratura

30 Dicembre 2020

Strano destino quello del libraio. Per secoli una figura di riferimento per i lettori di ogni specie. Un’attività sociale vera e propria, di formazione e di relazioni amichevolmente professionali. Una figura ben precisa nell’immaginario collettivo e nella quotidianità lavorativa delle sue giornate trascorse tra i libri. Ovunque, il libraio ti accoglie(va) con un sorriso e sa(peva) consigliarti. Ed è(ra) sempre gentilmente sobrio e fermo nel suo ruolo di consulente letterario. Quasi distaccato, invece, in quello di venditore. La verità è che ogni scrittore autentico, in cuor suo, per mitigare le ambizioni, vorrebbe essere un libraio e bearsi del suo straordinario equilibrio, fatto di cordialità e suggerimenti specifici, conoscenza, e capacità di mantenersi in un moderato quanto confacente giudizio critico. Mentre, un libraio, nella sua compostezza caratteriale  e giustezza d’animo, contempla lo scrittore come il creatore dell’oggetto di cui egli si è reso edotto, o che intuisce solamente, senza sfogliarne una sola pagina, che alla fine distribuisce con cura tra gli scaffali come un involucro contenente parole di buona compagnia, che suscita interesse e scuote emotivamente il lettore, giammai come un prodotto da supermercato, imposto da una catena commerciale. Talvolta, ho fantasticato su questa magnifica figura, fino a sentirla vicina e familiare: “Non ha mai letto un giallo? Cominci con Simenon, signora. Vedrà, si appassionerà al genere.” E, ancora: “Non abbia paura di Dostoevskij, signore. Non è pesante, né complicato. È solo uno scrittore che scava a fondo nell’animo umano.” Di più un libraio non dice. Non ha la supponenza di sostituirsi allo specialista della critica, pur avendo, spesso, il sentore appropriato per ogni opera che vende.

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Oggi, si entra in una libreria, ma il libraio non c’è più. Al suo posto, commessi insofferenti e svogliati a cui chiedere qualche informazione per prendere visione dell’eventuale acquisto. Tante librerie sono megastore ed è anche normale che abbiano un  personale adeguato alla struttura. Ma, una siffatta evenienza rende del tutto inutile il ruolo del libraio. D’impatto, mi chiedo se a cambiare sia stato solo il meccanismo con cui si vendono i libri, o anche la maniera di scriverli. Non mi sorprenderei se alla scomparsa, o alla diminuzione massiccia dei librai corrispondesse, linearmente, la dissoluzione, o il ridimensionamento della letteratura. Fortunatamente, sia in provincia che nelle grandi città, esistono ancora aggraziati sapienti dietro a un bancone che ci vendono un libro omaggiandoci della loro erudita cordialità. Per buon sortilegio, resistono ancora librerie storiche e ostinatamente reattive che si rifiutano di cedere il passo alla modernizzazione spicciola della lettura e del sapere. E, si definiscono, orgogliosamente, “librerie indipendenti”. Al loro interno non vedrete montagne di prodotti confezionati da best-seller e schiaffati in bella mostra in vetrina e negli scaffali prenotati a buon prezzo. Vi si trovano, però, molto probabilmente, le fatiche letterarie che un’editoria, anch’essa indipendente, seleziona con molta cura, scrupolosa ricerca e abnegazione al lavoro, scommettendo sulla qualità, la sperimentazione, le novità, senza aver paura dell’incerto commerciale. E, a quanto pare, oltre alle soddisfazioni, anche i risultati economici cominciano a essere tangibili, non arricchendo, ma assicurando la sopravvivenza di editori coraggiosi e tenaci. Vuoi vedere che l’indipendenza, nel sistema di produzione editoriale, recupererà non solo la genuinità dei librai, ma anche l’autenticità degli autori e, quindi, dei libri? Così, per dire.

 

 

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