Letteratura
(Dis)umanità 2?21
Subito dopo l’atterraggio la hostess aveva iniziato a recitare il suo monito con tono sincopato, stanca e provata dal turno di chiusura di una lunga giornata.
“Restate seduti e attendete che l’equipaggio vi impartisca gli ORDINI…per lo sbarco”.
Quella parola lo colpì e si rese conto di non averla mai sentita, eppure volava ogni settimana con quella compagnia, ricordava l’invito ad attendere istruzioni, anche quello a rispettare le indicazioni, ma mai prima di quale giorno aveva sentito quella parola, “ordini”, e tantomeno aveva percepito quel tono.
Che qualcosa stesse succedendo era chiaro ormai da mesi, e adesso se ne leggevano i segnali ovunque, e non si trattava più di segnali. Divisione, durezza e prepotenza erano entrati nella vita delle persone e qualcosa di inutile e privo di valore era diventato un segno di distinzione e aveva diviso gli uomini. Quella frase perentoria lo dimostrava e diceva molto sui tempi che stavano vivendo.
L’effetto non tardò a mostrarsi, la catena dell’insofferenza si muove veloce e il desiderio di prevalere si trasmette istantaneamente e per vie impercettibili.
Dietro alle sue spalle un passeggero aveva iniziato a dare corpo a quella forza invisibile e stava dando dell’incivile al suo vicino di posto; lui non poteva vederli ma li vide lo stesso, qualcosa gli mostrò il volto del professore che digrignava i denti in faccia al suo attonito bersaglio. Era un uomo semplice, come molti che non sono abituati a lasciare casa, famiglia e abitudini, ed era preoccupato di perdere il controllo, sulla situazione, sulla fine di quel viaggio fatto per chissà quale motivo eccezionale e sul suo umile bagaglio. Voleva raggiungerlo, forse aveva paura che sparisse, era solo un uomo smarrito.
Ma non aveva rispettato gli “ordini”. E adesso c’era un gendarme, armato dall’autorità di un’assistente di volo e deciso a fare giustizia, a stabilire le priorità e a garantire che quel beota, rozzo e incivile rispettasse le nuove regole.
Era tutta lì, dietro alle sue spalle, la forma livida della nuova umanità, disumana.
Poteva vederla senza neppure volgersi verso di loro.
Si allontanò da quella scena e guardò davanti a sé, indugiando per verificare l’effetto dei nuovi “ordini” e si disse che funzionava, nessuno si lamentava dietro di lui, sebbene avesse atteso molto più del necessario per riprendere il suo bagaglio e avesse trattenuto sull’aereo almeno cento passeggeri che avevano qualcuno da abbracciare pochi metri più lontano.
Si avviò lungo il corridoio, salutò l’inflessibile assistente che gli parve perfetta nella sua uniforme un po’ triste e lei gli sorrise in modo meccanico. Mentre scendeva si rese conto di essere invisibile, era uno tra tanti, ben vestito, paziente, misurato, regolare.
Quella sensazione lo fece tornare a quando era bambino e si divertiva a fare un gioco che qualcuno giudicava strano e faceva preoccupare i suoi genitori.
Sapeva entrare dentro di sé, in profondità, nascondersi dal mondo esterno e sparire dal suo corpo che rimaneva immobile e non percepiva nulla, neppure il dolore, lo aveva scoperto il giorno in cui la paura di una puntura gli aveva fatto compiere quella strana cosa.
Nessun dolore, nessuna sensazione, niente. Era rimasto lì dentro per un po’ e vedeva tutto come se fosse uno spettatore lontano, era fuori dal suo corpo. In realtà era dentro di sé, in qualche posto di sé lontanissimo dall’involucro esterno, esisteva anche senza braccia e gambe e stava benissimo.
In quel momento stava facendo lo stesso, il suo corpo camminava senza sforzo nel gruppo dei passeggeri verso l’aerostazione, sostenendo senza peso sulle spalle il suo zaino elegante e lui era libero di muoversi altrove, davanti a lui o dietro di lui. Così vide il volto teso e pieno di spigoli del professore che scendeva dalla scala di metallo molti metri più indietro e lo udì raccontare ancora ai suoi vicini di viaggio di quanto fosse insopportabile la presenza di “quelle persone”, ignoranti e inutili. Ancora più indietro apparve l’incivile che aveva suscitato tutta quella rabbia. Stringeva a sé il suo bagaglio che sembrava contenesse la sua intera vita, lo posò a terra solo quando ebbe finito di scendere per la scala e si tenne prudentemente lontano dal suo inflessibile censore.
Quando fù fuori si fermò dove era già fermo il suo corpo e vi rientrò; rimase ad osservare.
Il professore e l’incivile avevano entrambi qualcuno ad attenderli. Una donna stretta in un cappotto austero e troppo pesante per la stagione teneva per mano un ragazzo. Aveva un viso senza età, segnato da una sindrome che rende chi ne soffre immune ai segni del tempo e apparentemente assente.
Il professore gli accarezzò i capelli con un gesto misurato, pareva non volesse mostrare niente di sè in mezzo a tutti quegli sguardi e baciò la donna sulla guancia, senza quasi toccarla.
L’uomo di prima, invece, fu travolto da due bambini festosi e si inginocchiò per abbracciarli, mentre le mani grandi di un altro uomo come lui si erano posate sulle sue spalle. Si sollevò e prese per mano entrambi quei nipoti allegri. Una donna gli sorrise e lo abbracciò forte, suo figlio aveva preso la sua valigia preziosa e lo seguiva.
Adesso era tranquillo, tutto era al suo posto, al sicuro.
Pensò alle parole che aveva letto molto tempo prima: “L’Arte della Pace consiste nel realizzare ciò che manca”.
Morihei Ueshiba era un guerriero straordinario e letale e dopo mille duelli mortali era padrone dell’arte di non combattere più.
Aggiustò il suo zaino sulle spalle si si incamminò verso quel mondo così cambiato, la sfida decisiva attendeva lui e tutto il genere umano, c’era molto da fare e tutto stava accadendo in fretta, un combattimento, o forse molti, lo attendevano prima di realizzare quello che mancava.
Il destino degli uomini doveva essere scritto in quel tempo e pensò che non sapeva neppure che anno fosse davvero.
Allora fece come Aomame e scrisse “2?21” nel suo primo giorno.
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