Letteratura
“Dio, che libro irrimediabilmente brutto sto scrivendo!”
A volte, quando proviamo a creare qualcosa per esercitare le nostre attitudini, ci soffermiamo a pensare con un certo sgomento a coloro che hanno un talento incommensurabile, anni luce distante dalle nostre piccole abilità.
Avendo i piedi saldamente per terra, ci riprendiamo abbastanza in fretta da questo senso di vertigine e cerchiamo di non farcene schiacciare.
Ma ad alcuni grandi artisti è accaduto di restare annichiliti e quasi paralizzati di fronte alla grandezza di un collega…
Virginia Woolf amava talmente Proust da non osare affrontarne la lettura per lunghissimi periodi della sua vita.
Scrive di lui ad un amico:
“Proust stuzzica talmente il mio desiderio di espressione che non riesco quasi a comporre la frase.
Oh se potessi scrivere così!
Com’è riuscito finalmente qualcuno a cristallizzare ciò che è sempre sfuggito e persino a trasformarlo in questa sostanza stupenda e perfettamente duratura?
Si deve posare il libro e restare a bocca aperta.”
Per parecchi anni abbandona la lettura della Recherche per evitare di essere schiacciata e scoraggiata dalla grandezza dello scrittore che ammira più di ogni altro.
Ma nel 1934, pochi anni prima di morire, scrive:
“Da anni avevo rinunciato a leggere la Recherche, ma l’ho ripresa, al pensiero che potrei morire prima o poi, e …tanto peggio per i miei poveri scarabocchi!
Dio, che libro irrimediabilmente brutto sarà quello che sto scrivendo!”
Ben diverso il rapporto tra Virginia e un altro grandissimo scrittore del Novecento:James Joyce.
Le prime duecento pagine dell’Ulisse la stimolano e l’affascinano, ne è addirittura divertita. Poi subentrano perplessità, irritazione e noia:
“È come se mi trovassi davanti a uno studentino stomachevole che si schiaccia i brufoli… Un libro incolto, maleducato: il libro di un operaio autodidatta”.
Finito il libro, sentenzia:
“Penso faccia cilecca. È geniale, mi sembra; ma di un’acqua inferiore. Un libro prolisso, torbido, pretenzioso. È volgare, non solo nel senso ovvio della parola, ma anche letterariamente”.
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