Letteratura
Dimenticare Venezia
Lo incontro in calle.
Non appena mi vede, mi dice subito:
“Lo sai che andiamo via?”
“Come: andate via?” rispondo.
“Non ce la facciamo più a vivere qui. Troppe scale in casa, e ripide per di più. Troppi ponti in città. Siamo troppo vecchi per restare a Venezia”.
Rimango interdetto.
L’uomo che mi parla ha superato da poco la settantina, ma ha un fisico ancora asciutto e scattante.
Capisco che è la moglie quella più in difficoltà e che, se fosse per lui, non lascerebbe mai questa città e la deliziosa piccola corte sulla quale si affaccia la sua casa.
“Avete venduto?” chiedo.
“Si, e anche ad un buon prezzo. ”
“E dove andrete a stare?”
“Alla Cipressina”– mi risponde lui, animandosi – “Non hai idea di quante belle case si trovano per pochi soldi alla Cipressina!”
Non commento.
Già il nome –Cipressina-mi sembra poco invitante.
Il vicino non desiste e comincia a vantarmi i pregi del nuovo quartiere in cui andrà ad abitare: potrà tenere la macchina sotto casa, coltivare un orticello di una decina di metri quadri, risparmiare su qualsiasi tipo di spesa, frequentando gli ipermercati periferici.
Tutte considerazioni che capisco bene.
Ma non posso fare a meno di pensare che molti veneziani che sono costretti per un motivo o per l’altro a lasciare Venezia per andare in terraferma hanno un tratto in comune.
Mi ricordano la barzelletta di quel tizio di colore che, incontrando il genio della lampada, gli chiede di farlo diventare bianco.
Il genio lo accontenta. Il tizio torna a casa e comincia a litigare prima con il fratello, poi con la sorella, poi con la madre e infine con il padre. Dopo di che dice: “E’ mezz’ora che sono bianco e già tutta questa gente di colore mi sta sulle scatole!”
Ecco in cosa quelli che vanno a vivere in terraferma ricordano questo personaggio: subito dopo aver lasciato Venezia, si uniformano velocemente e con entusiasmo al nuovo stile di vita, pronti a sottolineare gli svantaggi e i sacrifici imposti da quello precedente.
Devi fare login per commentare
Accedi