Costume
Di libri, di Italia, di mare. Estate 2015
Di libri, di Italia, di estate e di mare.
Un dialogo tra una grecista che fa storyteller e un fisico che crea profili fake.
Un dialogo -vero- tra due lettori, due amici in questa estate 2015.
di Andrea Marcolongo e Davide Astolfi
Davide: Sono un reo confesso. Trascuratore seriale della letteratura italiana contemporanea. Quest’estate però ho cercato di redimermi. Uno dei motivi è questo: un po’ per lavoro un po’ per passione, ho dedicato molto impegno nel capire il nostro tempo e il nostro paese. Comprendere il nostro tempo senza sentire il nostro tempo vuol però dire non maturare il senso delle cose.
Quindi ho deciso di rivolgermi alla letteratura e al mio spirito guida letterario: Andrea, cui ho chiesto di darmi dei compiti contemporanei, possibilmente italiani, per le vacanze. La prima cosa, Andrea, che vorrei scoprire (anche perché non la so) è come hai scelto i libri che mi hai fatto leggere. Esistono dei criteri? Se sì, quali?
Andrea: Sono una rea confessa. Divoratrice seriale di letteratura italiana contemporanea -estate o inverno non importa. Il principale motivo è banale: amo leggere.
Per lavoro, inoltre, svolgo due attività: la prima è quella di viaggiare in treno per l’Italia e, come ogni marinaio ha un amante in ogni porto, io ho una libreria in ogni stazione. La seconda è quella di raccontare i tempi che corrono, in Italia: da sempre, da quando svolgo il lavoro di storyteller, so che i libri hanno lo straordinario potere di rendere contemporaneo qualunque tempo, passato presente e futuro, perché sanno legare il tempo della scrittura al tempo della vita, la nostra vita. Infine, c’è un’altra ragione per cui leggo la narrativa italiana contemporanea: in sintesi, è il modo di farsi raccontare dell’Italia intera. Adesso. Quest’estate. Leggete la classifica dei libri più venduti in Italia e capirete al volo l’Italia. Certo, adoro anche i libri stranieri -da latinista che ha sempre tradotto tutto di suo, soffro un po’ il velo di Maia delle traduzioni. Come un sommelier saprebbe distinguere un Merlot da un Sirah ad occhi bendati, anch’io saprei riconoscere alla cieca un libro italiano da un libro anglosassone -ad un certo modo di scrivere, corrisponde sempre un modo di pensare. E un tempo e un luogo.
Se ho scelto un criterio particolare nel suggerirti dei libri? No, solo la curiosità intellettuale -reciproca! E poi posso dire, con affetto e orgoglio, di avere un ottimo amico, Tito Faraci, che ha pubblicato un romanzo proprio quest’estate… Ricordi il suo fantastico tweet di qualche tempo fa?
Davide: Come potrebbe un marxista come Gianni Kuperlo dimenticare quel fantastico tweet? Eccolo qua:
“Leggete libri nuovi e di autori vivi (con il mutuo). Vi racconteranno il vostro tempo.
Parere interessato, lo so. Ma onesto.”
Tito ha scritto soprattutto fumetti, e dopo questo tweet (e dopo averlo visto e sentito parlare di persona al Cortona Mix Festival) me lo raffiguro mentalmente come un incrocio tra Bertolt Brecht e Topolino.
Sono lieto di aver dato un piccolo contributo al suo mutuo, per il motivo più banale e bello di tutti: mi sono proprio divertito a leggere il suo primo romanzo “La vita in generale”. Sono stato un avido lettore di fumetti: ancora mi ricordo che da bambino il babbo mi portava per il corso di Perugia ogni sabato pomeriggio a comprare vecchi numeri di Dylan Dog, che consumavo avidamente la sera stessa, e mi ritrovavo ad aspettare il sabato seguente per tutta la settimana. E il bello de “La vita in generale” è che ti tiene agilmente incollato alla lettura proprio come fosse un fumetto, ma ti parla del nostro tempo e di temi immortali. C’è l’amore, c’è l’amicizia tradita e quella ritrovata, c’è la sfida dell’uomo con se stesso, c’è un colpo di scena di quelli che ti lasciano a bocca aperta e ti fanno sentire stupido perché non l’avevi capito prima. Le alterne sorti del Generale, capitano d’industria precipitato nel mondo dei barboni a causa di un tradimento che gli fa perdere ogni avere, attraversano cronologicamente l’Italia da Tangentopoli ai giorni nostri, al mondo degli squali, dei consulenti finanziari che si avventano su aziende in crisi, le spolpano, le rivendono e si disfanno del cadavere e del lavoro dei poveri cristi.
Il libro di Tito mi ha tanto divertito e incollato alla pagina che l’ho letto in due pomeriggi al lago, parallelamente alle due parti (più o meno, ma molto più o meno, caduta e risalita del Generale) di cui è composto. Durante uno di questi pomeriggi ho incontrato in spiaggia un amico, con cui di solito mi fermo a scherzare, che si è accorto che in quel momento m’interessava più leggere che conversare con lui. E mi ha apostrofato così: “La devi smettere di leggere, perché più leggi, più diventi intelligente. Più sei intelligente, più soffri. Fai come me!”. E a te invece, Andrea, la vita in generale come va?
Andrea: Era febbraio, nevicava su Milano -la neve milanese che si sporca ancora prima di toccare terra-, quando Tito mi fece questa domanda. Tito Faraci, che con il suo romanzo si è giocato tutto -questo libro è stata una sua scommessa con se stesso e le scommesse non si fanno per finta. Il mio parere è che “La vita in generale” questa scommessa l’abbia vinta.
Tito, amico e maestro di scrittura e di tanta vita -di vita in particolare, non in generale. Per questo so bene che i suoi pareri sono sempre onesti, anche se fanno delle volte fanno un po’ male. Come il mutuo. Come la vita. Come il suo romanzo, bellissimo, con quella struttura che ti inchioda alla pagine e alle vite dei personaggi che, una volta giunti alla fine, non se ne vanno più via.
A proposito, mi daresti il numero del tuo amico? Credo che un po’ abbia ragione, sulla felicità. Ci vogliono impegno e fatica per scivolare sotto la superficie delle cose. Fa un po’ male, a volte, guardare la polvere sotto il tappeto del nostro tempo. Ci vuole coraggio. Rischi di trovarti a fare i conti con gli emarginati, con gli ultimi. Con quelli che non hanno nulla, né mutuo né conto in banca, e per questo sono liberi di scegliere ogni giorno di essere quello che sono, non quello che capitano. Quelli che in tasca hanno sì e no tre euro e per questo, ai nostri occhi, sono morti. Invece sono più vivi di tutti.
I barboni milanesi di cui racconta “La vita in generale”, uomini e donne che potrebbero essere i nostri padri, oggi, i nostri padri che sono stati figli del boom economico italiano: uomini e donne che hanno fatto grande l’Italia, la sua economia e la sua cultura insieme, e poi sono stati traditi -sfregiati- dal tempo. Un tempo che non sanno più leggere, decifrare. Perché il tempo presente è cambiato, perché negli anni Ottanta c’era un futuro che non finiva mai, come scrive Edoardo Nesi, nel suo nuovo romanzo. Invece siamo nel 2015 e il presente finisce ancora prima di diventare futuro, come la neve di Milano che cade già grigia. E di estati infinite non ne fanno più.
Davide: L’estate infinita è ciò che manca al nostro tempo: quel senso di essere provvisori, ma non precari. Il romanzo di Edoardo Nesi è la storia di un sogno: il figlio di un piccolo imprenditore vuole espandersi. Costruire la fabbrica più bella di sempre con la piscina a cielo aperto sul tetto, darsi all’export, vendere il lusso. Attorno a questo sogno si muove un tourbillion di personaggi: il muratore di provincia, tennista niente tecnica ma tutta potenza e vittorie, sciupafemmine che finisce sciupato dalla “ganza”. L’imbianchino Pasquale emigrato dal Sud, una vita di lavoro tutti i santi giorni, una moglie adorata a casa e i figli che faranno l’università. Il racconto è elegiaco, quasi naif: non c’è lotta di classe, non ci sono interessi che confliggono. Tutto si risolve: d’altronde i personaggi “sapevano benissimo di vivere in un mondo in costruzione, nuovo e giovanissimo, obbligato e votato al cambiamento, provvisorio ma non precario – mai precario, perché di tutto si poteva dubitare ma non del fatto che si sarebbe di certo andati a star meglio, tutti e sempre.”
Il romanzo si chiude con questa scena: concerto di Gloria Gaynor, a cui l’impresario ha invitato tutti i partecipanti al suo sogno. Un simbolico incontro-scontro tra quelli come Pasquale, che si stanno regalando la prima notte di riposo e sogno della propria vita, e la generazione successiva, che avrebbe preteso che ogni notte fosse spensierata e infinita proprio come quella notte.
E allora penso che l’estate infinita, un’enorme voglia di futuro, è sparita perché è annegata in un mare di eterno presente. Ho ricollegato questa scena del libro a un breve saggio che ho letto sempre quest’estate: “I destini generali” di Mazzoni. Parla della “mutazione antropologica”, quella che Pasolini aveva preconizzato avrebbe trasformato il proletariato in borghesia. La western way of life che ha vinto, tanto da trasformarci da cittadini in consumatori e tanto da modificare (proprio con quest’argomento si apre il saggio) persino il nostro Super-Io: non ci sentiamo più colpevoli se trasgrediamo una morale collettiva (cristiana, comunista e così via), ma se non ottemperiamo a un imperativo molto privato. Godere qui, ora, subito. Tornando all’estate infinita, come ci si può sentire non precari se l’unico tempo che conosciamo è il presente? Come si può essere felici? Penso questa sia una delle ragioni per cui i nostri sono tempi collettivamente molto nichilisti e molto poco felici. Ricostruire il futuro, o perlomeno una trama che tenga insieme il flusso del presente e gli dia senso. Questo, penso, sia il compito della nostra generazione: restituire un po’ di respiro a quest’estate! Scusa, mi sono dilungato.Andrea, ti avevo mai detto che sei bella come la regina di Saba?
Andrea: No, Davide, che sono bella come la regina di Saba non me l’hai detto mai. Nessuno me l’ha mai detto, contando i primi milioni (di lire) della sua vita, come fa il Citarella nel libro di Edoardo Nesi -una scena che mi ha fatta piangere dall’emozione, e questo tu lo sai.
Ciò che non sai è che, leggendo “L’Estate infinita”, ho fatto una cosa che non avevo mai fatto: ho telefonato al mio babbo e gli ho detto, per la prima volta in vita mia, quanto sono fiera di lui. Anzi, nemmeno al mio babbo ho telefonato, ma al negozio: sì, da trent’anni so che, se devo parlare con mio padre, l’unico posto in cui lo troverò è il negozio di vestiti che ha aperto negli anni Ottanta -jeans Levi’s, pelle di Santa Croce, tessuti di Montecatini e di Prato.
La moda, Davide, e il mio babbo veneto che ci crede subito, che apre negozi di lusso a Milano, che le vacanze le passa ogni anno, da sempre -anche adesso mentre scrivo!-, sulla costa protetta dalla catena montuosa più piccola del mondo e che, a quel concerto di Gloria Gaynor nel famoso locale da ballo che sembra una casa, quell’estate c’era. Preferiva Gino Paoli, però, da bambina me lo cantava sempre. Non avevo mai realizzato prima che mio padre, per me e per il mio cellulare, è negozio, ossia lavoro, sempre, ad ogni ora, dopo essere cresciuto negli anni e nella fame del Dopoguerra. Negozio, cioè fatica, la storia del mio babbo e di tanti babbi che hanno avviato da fruttivendoli e sono diventati quello che sono, senza leggere libri o ascoltare Beethoven, come scrive Edoardo Nesi. Il tuo amico del lago gli darebbe ragione. Io invece -noi, che non abbiamo avuto la fortuna di avere vent’anni nel 1982, nell’Italia migliore di sempre- mi sono sempre un po’ vergognata di mio padre che, senza laurea, è diventato milionario con i tessuti, le pezze. Ora però lo chiamo eroe quando lo vedo concedere le ferie a tutti i dipendenti e lui stare a fare telefonate e conti in ufficio a ferragosto, quando lo vedo toccare una giacca prima di comprarla –e la tocca come fosse una donna-, quando so che non potrei deluderlo in modo peggiore che comprare da Zara. In generale, lo deludo ogni volta in cui non scelgo la bellezza, la grandezza.
Ma le misure del 2015 si sono fatte più piccole: lui è stato giovane in un’estate infinita in cui bastava avere tenacia e talento per avere successo, noi siamo giovani in un’estate che sta finendo sempre e della nostra tenacia e del nostro talento facciamo provviste per l’inverno, perché i nostri granai di opportunità si svuotano subito. Di certo, ringrazio il mio babbo e Edoardo Nesi perché conosco il color pervinca e il bianco ottico e anche il bianco burro.
Ma sai, poi, come è andata a finire quella telefonata? Il mio babbo ha borbottato che aveva da fare, come sempre. E io allora gli ho detto: “ho finalmente capito perché mi chiamo Andrea. Il mio nome è stata la tua piscina sul tetto”!. Naturalmente non ha capito nulla, ma ora so che se il mio babbo non fosse stato della pasta del Barrocciai di Edoardo Nesi non avrebbe mai chiamato la sua figlia biondissima con un nome da uomo.
E allora ho riso da sola, ma pure volevo un po’ piangere, come sempre, perché sono del Tirreno, qualcuno mi manda le onde e tutto questo tempo che passa e se ne va, e dove va a finire non lo so.
Davide: Già, sulla costa tirrenica si ride e si piange insieme. Questo ho imparato dall’ultimo libro di compiti delle vacanze dall’Italia del 2015: “Chi manda le onde” di Fabio Genovesi. Si tratta, in fondo, di un romanzo di formazione costruito attorno a una perdita e al mare. Luca, il ragazzo più bello e carismatico della scuola, surfista provetto, in una parola forte, muore in mare. Lascia una cerchia di personaggi deboli e persi: la mamma Serena, bellissima e incasinata, la sorella albina e il suo compagno di classe che viene da Cernobyl, lo sfigato professore supplente (Sandro), innamorato perso di Serena, che si sente in colpa perché era stato lui a consigliare a Luca il viaggio in cui ha perso la vita.
“Chi manda le onde” è un vortice di avventure in cui si ride e si piange molto, ma in cui alla fine, per dirla con le parole di un altro libro che abbiamo letto quest’estate, todo cuadra. Ed è un libro irresistibile, per il ritmo e soprattutto per l’impasto di realismo e magia: leggendolo, ho pensato a una formula che trovo abbastanza azzeccata. Un Murakami Haruki in salsa tirrenica. E con questo chiudo, sia perché il sushi è buono ma una frittura di mare Tirreno è più buona, sia perché abbiamo letto anche l’ultima raccolta di racconti di Murakami Haruki quest’estate. Ma questo forse ci porterebbe lontano, o forse no. Chiudo e passo a te, Andrea, dalla mia estate infinita.
Andea: Se c’è un posto in cui l’estate non finisce mai è proprio il Tirreno, ma quello povero di Livorno e di Pisa (ma io a Pisa ‘un ci vo, dè, sia chiaro). Non finisce perché è un’estate diversa: una stagione in cui non si va a ballare in nessun locale da ballo che sembra una casa, si fa il bagno nello stesso mare del Forte, ma alle spalle ci sono le colonie abbandonate dove spedivano i bimbi magri e bianchi del Nord in vacanza negli anni Settanta, il parcheggio è gratis e il lettino costa 5€. E ti viene da piangere sempre in questo mare poverissimo, dove si pesca ovunque, tra fossi e paludi e scogli, però poi si ride, perché il nodo in gola si scioglie mai, e allora vedi il vicino di casa che parla con i gabbiani e va tutto bene sempre.
E comunque Fabio Genovesi lo sa benissimo “Chi manda le onde” del Tirreno: mi piacerebbe chiedergli se sa anche chi manda le meduse giganti che mi hanno terrorizzata per tutta l’estate, ma non importa.
Un romanzo bello bello, questo di Genovesi, un romanzo che ho comprato per una settimana in cui volevo solo stare a casa a piangere -il perché sono fatti miei- e invece mi è toccato ridere. È il nostro mare, il nostro mare sfigato dove si fa una grande fatica ogni giorno con queste onde, estate e inverno, perché il rischio grosso è quello di sperdersi: non perdersi, con la esse, ma sperdersi, lasciarsi andare, guardare le onde e sprecare il tempo che passa. Che fatica il Tirreno, che fatica, e che risate insieme. Perché, scrive Genovesi, se le persone tristi hanno un’utilità, è quella farci vedere come non dobbiamo essere. E ha proprio ragione, Davide, dillo al tuo amico.
E c’è questo consiglio che non scorderò mai di questo libro bellissimo, un libro di personaggi piccoli per vite piccole come sono le vite vere di tutti: se vuoi rendere la tua vita più bella devi metterci qualcosa di bello, non qualcosa di nuovo.
L’autunno si avvicina, Davide, cerchiamo qualcosa di bello da leggere e da vivere, non di nuovo.
Andrea e Davide ringraziano @CasaLettori per il sostegno, la collaborazione e la passione.
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