Letteratura

Concita De Gregorio, un ballo scritto per Dacia Maraini

29 Novembre 2016

Non esiste biografia se non narrata, la percezione stessa di una vita si compie prima ancora che nel suo farsi nel suo racconto, e quanto possa essere complesso e ricco di possibilità raccontare la biografia di una delle più importanti intellettuali italiani lo mostra il libro di Concita De Gregorio, Non chiedermi quando (Rizzoli) dedicato a Dacia Maraini. Non un libro sulla vita di Dacia Maraini, ma un romanzo che esplode ed espone quello che avrebbe dovuto o potuto essere una biografia, un libro intervista come anche un libro di memorie.

Concita De Gregorio smonta la struttura romanzesca non soltanto per mettere in evidenza il laboratorio, l’impalcatura di una costruzione possibile, ma per dare forma ad una personalissima lingua capace di tenere testa ai ricordi. Già perché la memoria non è tutto e la scrittura nemmeno quando una protagonista come Dacia Maraini è in grado di generare quella memoria viva che ha il corpo seducente di un contemporaneo assoluto che rifiuta l’immaginario di un passato come di un futuro icastici e sempre inutilizzabili, se non per fini idealistici o per lo più ideologici.

Concita De Gregorio compie così un doppio movimento, un’acrobazia gentile che da un lato prende corpo dalla lezione dell’ormai storico new journalism (decisamente più alla Joan Didion che alla Tom Wolfe) e dall’altro rimane sedotta dal linguaggio esatto quanto felpato, essenziale come affilato di una certa letteratura contemporanea che va in maniera molto ampia da Javier Marías a Jean Echenoz. Ossia l’uso della memoria, della biografia come costruzione non di una storia che è già data, ma di un senso e spesso di un senso libero e quindi ancor più utile per i lettori che si trovano di fronte un testo solo apparentemente ridotto all’osso, ma in realtà figlio di un’abbondanza evidente di racconti, intrecci e passioni.

Concita De Gregorio riesce così in un’impresa non banale di raccontare una donna fuori dal comune partendo dai dati minimi che sono certamente quelli più gestibili, ma che sono anche i sensori attivi di una vitalità e di una irrequietezza capaci di condurre il lettore tra storie vivide e appassionanti, tra differenze e dialoghi mai definite e mai interrotti con un mondo che solo la banalità del nostro tempo può pensare chiuso in un tempo finito, chiuso e blindato.

L’amore per Moravia, la passione per il padre e poi gli amici, la Callas, Pasolini, il femminismo e via ancora per nomi che potrebbero riempire centinaia di pagine, centinaia di storie tutte facilmente etichettabili, ma che l’abilità di Concita De Gregorio riduce a brevi lampi luminosi. Non conta più lo spazio delle pagine come del tempo passato, ma che tempo fa oggi e questo filtra nel libro tra i ricordi come luce sulle pagine rigenerando e ridefinendo spesso donne e uomini catalogati e quindi dimenticati ormai troppo in fretta.

Attraversa stanze, Dacia Maraini, scansa libri, quadri, fotografie, li guarda di sfuggita e lascia che tutto appaia o scompaia a seconda dei giorni, delle occasioni come degli incontri. Concita De Gregorio guarda e trascrive il movimento, i gesti del ricordo ossia le parole rarefatte, buttate lì tra un prima e un dopo. E soprattuto non fa ordine, ma lascia che tutto fluisca.

Non un libro su una vita speciale, ma l’insieme intricato di legami e passioni, abbandoni e idiosincrasie tradotti in un piccolo libro capace di restituire il senso mai banale e quasi sempre laterale di una foto sgualcita, di un libro dimenticato, di un amico che chissà che fa o dove sta. Uno sguardo sui giorni che sono e non sui giorni che non esistono più. Un libro che non finge la narrazione, il racconto, ma che azzarda con sapienza la carta vincente della condivisione dei gesti. La vita di chiunque quindi, ma in particolare.

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