Letteratura
Critica biografica, personalità, morale
Difficile dire quanto le opere di un autore esprimano la sua personalità e quanto questa derivi dalla biografia. Da che cosa trae veramente origine un libro? Quanto gli episodi della vita formano il carattere e quanto da questo dipende lo stile di un autore? Dove nasce la scrittura? Da cosa scaturiscono i pensieri? Questi sono interrogativi e obiezioni legittime alla critica biografica iniziata con Freud. Il grande poeta Franco Buffoni ha sostenuto in un suo saggio che Leopardi fosse gay. Ma non c’è il rischio di perdersi in dettagli non importanti o nello psicologismo? È davvero importante sapere l’orientamento sessuale di un poeta ad esempio? È davvero doveroso studiare la vita dei poeti fin nei minimi dettagli per capire la loro poetica? Oppure c’è il rischio, come scriveva Montale, di dare più importanza alle emorroidi che agli epistemi? Le ultime parole di Pavese furono: “Non fate troppi pettegolezzi”. Forse bisognerebbe lasciare che parli il vento, ricordandoci l’ultimo verso emblematico ed enigmatico dei Cantos di Pound. Anche negli autori il cui io è residuale nelle loro opere però una parte della loro personalità viene sempre fuori, si manifesta. Anzi potremmo dire che ogni libro è una manifestazione di una parte dello scrittore. Da Saffo a Leopardi i lirici hanno trattato di loro stessi! Il Novecento ci ha consegnato delle opere che sono situate lungo un continuum che va dall’intimismo al vitalismo disperato di Bukowski, dei poeti della Beat Generation. Sosteneva Nietzsche che l’io è una convenzione grammaticale. Ogni opera è comunque sempre un’affermazione di sé. A ogni modo analizziamo la questione nello specifico. Prima di tutto iniziamo da una poesia di Montale molto significativa a riguardo:
I NUOVI ICONOGRAFI:
“Si sta allestendo l’iconografia
di massimi scrittori e presto anche
dei minimi. Vedremo dove hanno abitato,
se in regge o in bidonvilles, le loro scuole
e latrine se interne o appiccicate
all’esterno con tubi penzolanti
su stabbi di maiali, studieremo gli oroscopi
di ascendenti, propaggini e discendenti,
le strade frequentate, i lupanari se mai
ne sopravviva alcuno all’onorata Merlin,
toccheremo i loro abiti, gli accappatoi, i clisteri
se usati e quando e quanti, i menù degli alberghi,
i pagherò firmati, le lozioni
o pozioni o decotti, la durata
dei loro amori, eterei o carnivori
o solo epistolari, leggeremo
cartelle cliniche, analisi e se cercassero il sonno
nel Baffo o nella Bibbia.
Così la storia
trascura gli epistemi per le emorroidi
mentre vessilli olimpici sventolano sui pennoni
e sventole di mitraglia forniscono i contorni.”
(Eugenio Montale, da “Diario del ’71 e del ’72”)
Per quanto riguarda la critica biografica -nata con “Psicoanalisi e arte” di Freud- Eliot nel saggio “Le frontiere della critica” fa delle considerazioni interessanti a proposito. Eliot riporta questo brano di Jung: “è generalmente ammesso che gli eventi fisici possono essere considerati da due punti di vista, quello della meccanica e quello dell’energia. La veduta meccanicistica è puramente casuale: l’evento è concepito come risultato di una causa….”. Eliot ritiene per analogia che si possa spiegare un’opera poetica esaminando la qualità, nonché le cause che l’hanno ispirata. La critica biografica incorre nel rischio di basarsi eccessivamente sull’analisi degli eventi vissuti dal poeta. Inoltre rischia di rivelare una curiosità morbosa su aspetti probabilmente irrilevanti, come ad esempio la vita sessuale dei letterati. Ad esempio William Bartley III ha recentemente pubblicato una serie di testimonianze sui presunti incontri omosessuali di Wittgenstein. Sembra che il filosofo viennese in gioventù abbia prezzolato dei prostituti del Prater di Vienna. Anche se non conosciamo ancora la veridicità dei fatti o meno viene comunque da chiederci: per comprendere la personalità ieratica e schiva dell’autore del Tractatus Logico-Philosophicus sono più importanti questi presunti incontri da un quarto d’ora oppure i dibattiti certamente avvenuti con Russell o le passeggiate realmente avvenute sulle sponde del fiume con il matematico Ramsey? Ci accorgiamo che nella critica biografica il punto di vista della “meccanica” non deve mai prevalere sul punto di vista de “l’energia”. Spesso infatti l’ispirazione artistica scaturisce dal tessuto discontinuo e intermittente di istanti apparentemente insignificanti, che albergano nel subconscio dell’artista nel periodo di incubazione, di cui nessun postero potrà essere al corrente. Quindi affidarsi esclusivamente alla “meccanica del vissuto”, cioè ai fatti nudi e crudi, quando anche a supposti scandali, della vita può essere la causa primaria di inesattezze e distorsioni. Il critico biografico esaminando frequentazioni intellettuali, annotazioni diaristiche, epistole e carteggi, dovrebbe cercare di intuire la personalità dello scrittore o del poeta, cosciente che non potrà mai sapere il momento che lo spinge verso la scrivania. Al di là di questi casi limite infamanti per la memoria del personaggio, motivati soltanto da una squallida logica di mercato editoriale, è indiscusso in certe occasioni l’apporto dato da strumenti analitici nel dominio di questa terra di frontiera tra psicoanalisi e critica letteraria. Infatti la psicoanalisi dà un contributo notevole soprattutto nell’ambito della letteratura del ’900, contrassegnata dal lato edipico. Pascoli ad esempio, dopo la tragica scomparsa del padre, ucciso in una rapina nel 1895, cercò per tutta la vita di ricreare un nuovo nido con le rimanenti sorelle Ida e Maria. Secondo il grande critico letterario Pietro Citati anche Proust sarebbe vissuto all’ombra di un fantasma: quello della madre, che lui stesso riteneva di aver lasciato deperire, trascurandola. Perciò l’immenso edificio sistematico della Recherche riveste lo stesso significato dell’accecamento volontario di Edipo: lo redime parzialmente dal senso di colpa e dal rimorso. Un altro rischio della critica biografica è la ricerca incessante di scandali presunti, su cui esercitare un moralismo da prefiche e beghine. Ma in questo modo non sarebbe più critica biografica, ma pettegolezzo da salotto buono, se non in certi casi diffamazione, che gli eredi dovrebbero perseguire legalmente. Certi biografi scandalistici si dovrebbero ricordare quel che scrisse Lukacs a riguardo, ovvero che l’arte sotto un certo aspetto è antitetica alla realtà. L’arte è mimesi della realtà, da ciò ne consegue che il rapporto tra un uomo e la rappresentazione della realtà è sostanzialmente diverso dal rapporto tra l’uomo e la realtà stessa. Un altro pericolo è poi il fraintendimento tra etica e morale. Croce scrive in “Etica e politica”: “….perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo renderanno improprio in quelle sfere d’attività, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre, e simili; al modo stesso che censuriamo, in poeta giocatore e dissoluto e adultero, il giocatore, il dissoluto e l’adultero, ma non la sua poesia, che è la parte della sua anima, e quella in cui di volta in volta si redime. Si narra del Fox, dedito alla crapula e alle dissolutezze, che, poi che fu venuto in fama e grandezza di oratore parlamentare e di capo partito, tentò di mettere regola nella sua vita privata, di diventar morigerato, di astenersi dal frequentare cattivi luoghi; ed ecco che sentì illanguidirsi la vena, infiacchirsi l’energia lottatrice, e non ritrovò quelle forze se non quando tornò alle sue consuetudini. (…..)Ma con questo non si è detto nulla contro l’opera politica che il Fox compi e, se egli giovò al suo paese, l’Inghilterra ben gli fece largo nella politica, quantunque i padri di famiglia con pari prudenza gli avrebbero dovuto negare le loro figliuole in ispose”. La distinzione che io faccio tra etica e morale è semplice: uno può essere libertino o può autodistruggersi, basta che non faccia del male ad alcuno. Già Montaigne aveva intuito la relatività dei costumi e delle leggi nelle società umane. Lo stesso Pascal scriveva: “non si vede niente di giusto o di ingiusto che non cambi di qualità cambiando il clima, tre gradi di elevazione dal polo capovolgendo tutta la giurisprudenza(…). Ridicola giustizia delimitata da un fiume. Verità al di qua dei Pirenei, errore al di là”. Comunque indipendentemente dalle leggi e dai costumi attualmente ci sono alcuni principi etici, chiamati diritti universali: questi diritti universali devono essere rispettati. Il mancato rispetto da parte di una persona di un diritto universale fa di questa una persona, che si macchia di una grave colpa etica. Al contrario un libertino, che non fa del male a nessuno, può essere considerato immorale o meno a seconda dei costumi del suo paese, ma non commette alcuna colpa etica. Certo ci sono stati grandi autori che hanno commesso gravissimi reati. Villon, Caravaggio, Althusser furono degli assassini. Nonostante questo non si possono certo cancellare dalla storia della cultura! Ritengo che anche nella letteratura moderna ci sia stata confusione tra moralità privata e pubblica. A mio avviso alcuni critici hanno equivocato un passo oscuro del memorabile saggio del grande critico letterario Carlo Bo. In questo passo è scritto: “E si sa che cosa alluda, non a questo mostro che ci soffoca di più giorno per giorno, a questa enorme fiera di vanità in cui per diverso grado cadiamo tutti con le debolezze, le colpe, i peccati e soprattutto con la nostra spaventosa disponibilità alle omissioni, non a questo vano simbolo di vita che ci serve di scusa e di protezione ma quella solenne promessa, al nostro unico segno di salvezza, a quel termine che difendono la via e la verità”. Questo memorabile saggio è stato scritto nel 1938, ovvero ai tempi delle “Stalle di Augia”. Bo per “mostro” e per “fiera delle vanità” intendeva il fascismo a mio avviso, e non il peccato secondo l’ottica cattolica. Alcuni invece avrebbero potuto leggere nell’espressione “spaventosa disponibilità alle omissioni” un richiamo al moralismo più bieco. L’artista come uomo è eticamente irreprensibile, quando non causa danni volontariamente ad alcuno. Un artista è eticamente irreprensibile quando non deforma la realtà, né la mistifica, ma piuttosto quando la mette a fuoco, seppur trasfigurandola. Quindi l’artista eticamente irreprensibile ha un’adeguata onestà intellettuale tale da non oscurare certi elementi della realtà scomodi per le sue certezze ideologiche o di fede. L’artista “onesto” sente gravare su la sua coscienza l’imperativo categorico di ricercare incessantemente la verità umana e di dire al pubblico le verità a cui è giunto provvisoriamente. Come scriveva G. Orwell nel saggio “Il ventre della balena” l’artista deve essere testimone e mai discepolo della realtà. Ma tutto ciò mi spinge ad un’osservazione di più largo raggio, che non riguarda solo il rapporto letteratura e vita, ma si estende fino al rapporto tra individuo e società. Eugenio Scalfari nel suo libro “Razza padrona” fa un’ulteriore distinzione riguardo alla moralità: moralità privata, moralità pubblica, moralità aziendale (pagina 140- edizione Baldini-Castoldi). Secondo Scalfari molti grandi industriali avevano una moralità privata irreprensibile (erano fedeli alla moglie e buoni padri di famiglia), allo stesso tempo però la loro morale pubblica era inesistente (erano totalmente disinteressati ai problemi della collettività) e infine la loro morale aziendale era machiavellica e utilitaristica, intesa solo e soltanto ai loro interessi personali. A mio avviso invece la moralità aziendale fa parte della moralità pubblica, infatti l’articolo 41 della Costituzione recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini pubblici”. A mio avviso invece la moralità pubblica dovrebbe predominare sulla moralità privata. Spesso i politici italiani si sono maggiormente interessati a non destare scandali privati, piuttosto che a migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Comunque, concludendo, sono complessi, articolati, sfaccettati sia il rapporto tra morale, etica e letteratura che quello tra moralità privata e pubblica, e sono dipendenti dalla società e dall’epoca.
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