Letteratura

“Cose”, da “Elegie del risveglio”

14 Settembre 2021

 

Non sanno come rifiutare, gli oggetti; dire di no

alle pretese indelicate di noi che li afferriamo, li consumiamo

senza ringraziare, senza scusarci, abusandoli.

La sedia (ad esempio) ci sopporta, materna accoglie

la nostra stanchezza, non si lamenta del peso

impassibile sorretto. Coi piedi strusciamo

i suoi piedi, dondolandoci, e lei rimane solida

paziente, fedele al posto in cui viene abbandonata

quando – stanchi di fissità – decidiamo di alzarci, andiamo via,

ingrati. Ci seguirà con il suo sguardo cieco,

col suo pensiero immobile, sottomessa

al destino che le spetta: per cui è stata

costruita. Prona alla nostra padronanza

presuntuosa e indifferente.

**

In cucina sta il tavolo, sgombro o apparecchiato,

agghindato per le feste in famiglia, lercio

di briciole macchie di vino avanzi di cibo

dopo notturne bravate di commensali

allegri: ma stabile tollerante ospitale,

disposto a fare da paciere nei litigi,

a glissare su bugie, su tradimenti. Ci si sono

appoggiati gomiti di uomini piangenti,

di spose che aspettavano trepide un ritorno

pentito; mani unte di operai, volumi spalancati

su lezioni da imparare, ricevute cambiali telegrammi

biglietti d’addio… Più antico degli avi di casa,

encomiabile modello di dedizione e ascolto.

**

Sul tavolo le chiavi, che ci portiamo dietro

nelle borse, o in tasca, tutto il giorno:

garanzia di ritorno e accoglienza,

nostro apriti sesamo scongiuro, ancora di salvezza,

certezza della porta che ci aspetta e si aprirà,

docile balia, approdo, mettendoci al sicuro

dal fuori tenebroso. Chiavi di serrature

blindate perché non ci fidiamo, temiamo

sfondamenti violenze ruberie: vorremmo catenacci,

fili spinati, allarmi, ronde notturne,

e brandiamo le chiavi come armi, freddo metallo

dentato, in difesa di noi e del possesso.

**

I libri amici aspettano di essere riaperti, sorpresi

con tremore da chi riconoscente li ha imparati, sfruttandone

le righe, gli affettuosi tormentanti insegnamenti. Stretti vicini,

si sostengono sugli scaffali, offrono titoli incisi sul dorso

allo sguardo curioso che li interroga, e cataloga ordinato

nel pensiero, ritrovando entusiasmi di memoria. Uno a caso

è sottratto all’esercito uniforme, indagato nei segni a matita,

nelle pagine sgualcite, a spiare una traccia intuita e poi

persa, stupidamente dimenticata. Ecco la frase, il verso,

la parola: punge il mattino, consola la notte irriducibile

al sonno, fa compagnia al silenzio. Non sa tradire, un libro;

rimane – identico a se stesso, disponibile, discreto.

**

Il fuori che ci è dentro alimenta pensieri e nostalgie,

la voglia di tornare a quello che non siamo: attraverso

i vetri trasparenti invadono la stanza i colori del giardino,

le luci dei fari, visi lontani dei lontani vicini. Li guardiamo

stupiti, spettatori a cui è permesso di osservare

senza eccessivi coinvolgimenti. Ci difende, la finestra,

ci ripara dal troppo dell’esterno, dalle incaute sofferenze

di chi senza volerlo è testimone; eppure, con cautela,

possiamo dichiararci partecipi, affacciati in fratellanza

all’accadere altrui, al quotidiano esserci del mondo.

Restiamo nelle nostre cucine, nelle camere da letto, al riparo

da moleste invasioni, e scrutiamo con attento riserbo

dolori e gioie che non ci appartengono.

 

Da Elegie del risveglio, Sigismundus Editrice, Ascoli Piceno 2016

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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