Letteratura
Cosa pensa dello schwa uno scrittore di poesie
In quest’ultimo mese la petizione contro lo schwa ha infiammato il dibattito sulla “e” rovesciata. Si sono espressi sul tema linguisti, attori, romanzieri, giornalisti, professori, filosofi. Gli unici che nessuno ha avuto interesse a interpellare sono i poeti. Ecco dunque l’opinione di una persona che scrive poesie.
CARE RIME
Il primo problema da considerare è quello delle rime. È vero che i poeti di oggi, per incapacità, pigrizia o scelta stilistica non utilizzano più le rime, ma nel caso volessero farne uso, con lo schwa si porrebbero alcune difficoltà. Consideriamo ad esempio la parola «tutti» e aggiungiamo lo schwa, facendola così diventare «tuttə». A questo punto, come faccio a fare rimare questa parola con le altre parole che terminano in “-utti” come, ad esempio «frutti»? È evidente che non posso.
È vero che questo sarebbe un problema limitato solo ad alcuni casi, ma non sarebbe per questo meno grave. In questo modo, infatti, diminuirebbe il novero di possibilità espressive del poeta, e con esse la sua libertà. Certo, si potrebbero allora far rimare tutte le parole con lo schwa, ma sarebbe una rima posticcia, possibile solo perché abbiamo appiccicato un suono uguale al finale della parola. E comunque, non potrei tornare indietro, la rima pre-schwa sarebbe persa per sempre.
Ogni parola ha una sua unicità semantica e fonetica che si è sedimentata a strati in secoli e secoli di elaborazione linguistica. La rima è un mezzo per riunire tra loro le caratteristiche intrinseche delle parole, il punto in comune per concatenarle le une alle altre in nuove combinazioni dialogiche. Ma se metto in finale di parola un suono vocalico neutro e di pronuncia evanescente la catena si spezza e il ritmo interno del componimento, che è ciò che sorregge una poesia, il suo nocciolo, ne esce sfasciato. Alla lettura, anche il paesaggio sonoro del testo ne risulterebbe compromesso. Come ben dice il poeta Luca Alvino, «il problema è che si fa fatica a leggere il testo, si smarrisce l’incanto delle rime, si perde la fluidità della versificazione»
POESIA PER TUTTI
Un altro fattore che mi sembra occorra considerare è che una poesia con lo schwa non sarebbe per tutti. Non voglio dire che la poesia debba essere sempre per tutti, perché alcuni poeti scelgono apposta di essere ermetici e perché, più in generale, il messaggio del poeta esclude quella parte di pubblico che non è coerente con esso. Se io scrivo in una poesia «boia chi molla», è ovvio che un comunista non la leggerà.
Però, a prescindere dai gusti, una poesia dovrebbe essere foneticamente intelleggibile. Il significante, cioè, la parte sonora della parola, dovrebbe essere leggibile e avere una chiara pronuncia condivisa che tutti possono capire. Con lo schwa, ciò non sarebbe possibile. Taglieremmo fuori chi non sa come leggere la ə e chi, legittimamente, non vuole farlo, senza considerare i dislessici egli anziani. Sarebbe una poesia per un ristretto gruppo di attivisti pro-schwa.
LA LINGUA NON È CHE UN’ILLUSIONE
Chi scrive (buona) poesia lo sa, o almeno lo ha intuito: la lingua non è che un’illusione. Attraverso il solo strumento della lingua, io non posso conoscere nulla, perché essa è codificata e ogni codice ha un limite. Una descrizione di un piatto di tagliatelle rimane una descrizione, finché non lo mangio. Per esperire la realtà, abbiamo bisogno del corpo. Le profondità del sentimento non sono esprimibili dalla parola. Essa è un inutile orpello e può parlare davvero dell’interiorità e della verità solo negandosi, lasciando fare agli occhi, alle mani, alle labbra e al silenzio. La lingua serve per comunicare, ma ciò attiene agli insetti, nostro compito è esprimerci, e in ciò la parola difetta.
Per questo, pensare che la lingua, specialmente quella della poesia, debba combaciare con la realtà per rappresentarla efficacemente e che ogni cosa e ogni identità debba avere un equivalente linguistico è un pensiero ridicolo. La lingua non può essere ridotta a listino di pezzi di ricambio. “Montagna” è femminile, ma una montagna non ha la vagina. In italiano, non esiste il neutro per parlare degli oggetti, che pure sono inanimati. Non vi è quindi mai corrispondenza fattuale tra le parole e il reale. La lingua non può avere pretese di oggettività, perché è inadatta a descrivere il mondo. È troppo goffa. Esso si ricombina di continuo in maniera troppo varia, dobbiamo accontentarci di percepirlo parzialmente con le nostre soggettività. I cambiamenti sociali sono troppo rapidi, se le parole dovessero obbligatoriamente aderire a essi ogni qual volta si manifestano, si sclerotizzerebbero.
NESSUNO TI OBBLIGA
In effetti, nessuno (per ora) obbliga i poeti o nessun’altro a usare la schwa, tuttavia stanno emergendo alcune fastidiose dinamiche: da molti promotori dello schwa chi non la usa tende ad essere percepito come un retrogrado bigotto reazionario. Si giudicano le persone moralmente in virtù della loro adesione o no al simbolo inclusivo, basti pensare che i linguisti che hanno sollevato dubbi vengono generalmente definiti come «boomer» destrorsi. Non c’è un obbligo dettato dalla prassi linguistica, e probabilmente non ci sarà mai, sta però cominciando a delinearsi un obbligo di stampo morale, almeno in certi ambienti.
Tutto ciò è inquietante, perché va verso la creazione di una lingua etica, in cui non c’è spazio per le espressioni che offendono gli altri. Rispettare il prossimo è sacrosanto, il problema è che la lingua non può essere considerata solo sulla base della correttezza morale, men che meno quella della poesia. Essendo la poesia la più intensa forma espressiva a disposizione di una lingua, essa deve manifestarne tutte le sfaccettature, quindi anche gli insulti razzisti e sessisti, le bestemmie, le espressioni discriminanti. Bandirle significherebbe impoverire la lingua.
Inoltre, posto che si trovi prima o poi una lingua perfetta, giusta, equa e inclusiva, questa diventerebbe spietatamente conservatrice, perché la perfezione, una volta raggiunta, non è aggiornabile né modificabile. Sarebbe una lingua morta, corretta sì, ma imbalsamata e cristallizzata.
In sintesi, applicare lo schwa alla poesia sarebbe dannoso, perché essa è anti-estetica, fastidiosa e soprattutto faticosa, contravvenendo al principio base della lingua, la cui economia tende sempre alla semplicità e alla scorrevolezza. Nessuno pensa realmente che un giorno una “polizia della lingua” obbligherà i poeti a farne uso, ma se l’introduzione di un simbolo nella poesia crea tanti problemi, forse è legittimo avere dei dubbi anche sua applicazione definitiva nella lingua comune. Per concludere, la usi chi vuole, senza pregiudizi e, tantomeno, giudizi.
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