Letteratura
Come animali…
Un celebre e celebrato libriccino di Juan José Arreola edito in spagnolo nel 1963, è stato tradotto dalle edizioni SUR nel 2015, con la postfazione di José Emilio Pacheco, che da ragazzo si era incaricato della sua trascrizione sotto l’estemporanea dettatura dell’autore. Per una settimana, il giovane si era dedicato a registrare l’inarrestabile flusso di parole e immagini scaturito dalle labbra di uno degli scrittori messicani più influenti del ’900, “come se stesse leggendo un testo invisibile”. Con umiltà, Pacheco ha sempre affermato che l’essere ricordato negli annali letterari del suo paese come “l’amanuense di Arreola”, era stato per lui fonte di sincero e legittimo orgoglio. Da quegli incontri vivacemente improvvisati, era nato il testo di Bestiario, raccolta di microracconti, di bozzetti fulminanti, sarcastici, surreali, dedicati al mondo animale nelle sue analogie con i caratteri umani.
Juan José Arreola (1918-2001) oltre che poeta e romanziere era stato giornalista, editore, e aveva praticato numerosi e umili lavori: facchino e venditore ambulante, tipografo e panettiere, contabile e teatrante, arricchendo di molteplici e mai banali esperienze la sua visione consapevolmente amara dell’esistenza. Di tale caustica e consapevole disillusione riguardo alla natura di uomini e bestie sono intrisi tutti i brevi ritratti raccolti nel libro, e già se ne avverte una traccia nel Prologo, ferocemente caustico: “Ama il prossimo tuo malandato e spregevole. Ama il prossimo maleodorante, coperto di miseria e venato di luridume… Ama il prossimo suino e gallinaceo, che trotta festoso verso i crassi paradisi del possesso animale… E ama la prossima che… con un pigiama da vacca comincia a ruminare senza fine il pastoso bolo alimentare del tran tran domestico”.
Gli animali rappresentati non hanno mai niente di mansueto e domestico: con una prevalenza di presenze selvatiche, rapaci, infide, sono descritti sia come esemplari nella loro unicità, sia nella classe di appartenenza: felini, insettiadi, camelidi, cervidi, acquatici…
Di tutti loro viene sottolineata l’origine ancestrale, di gran lunga precedente all’apparizione dei primi ominidi. “Già molti millenni prima (quanti?), le scimmie decisero il loro destino opponendosi alla tentazione di essere uomini. Non caddero nel progetto della ragione e pertanto sono ancora in paradiso: caricaturali, oscene e libere a modo loro”, “L’elefante arriva dal fondo delle ere ed è l’ultimo modello terrestre di macchina pesante”.
Le similitudini con gli esseri umani sono inusuali e divertenti: “Tutti, falconi, aquile o avvoltoi, ripassano come frati silenziosi il loro noioso libro d’ore”, “Il gran rinoceronte si blocca… investe come un ariete… accecato e inferocito, con l’impeto irremovibile di un filosofo positivista”, “Apparteniamo a una triste specie di insetti, dominata dall’impero delle femmine, vigorose, sanguinarie e tragicamente rare. Per ognuna di queste ci sono venti maschi deboli e sofferenti. Viviamo in fuga costante”, “Il latrato spasmodico della iena è un modello esemplare della risata notturna che sconvolge il manicomio”, “L’ippopotamo si annoia enormemente e si addormenta sulla riva della sua pozzanghera, come un ubriaco accanto al bicchiere vuoto, avvolto nel suo mantello colossale”, “Ho ascoltato le grida di giubilo delle foche, le loro risate procaci, le loso false invocazioni da naufraghi”.
Forse un po’ di affettuosa simpatia è riservata da Arreola solamente “alla cordiale misura dell’orso che balla e monta in bicicletta, e che a volte può esagerare e triturarci con un abbraccio. Con lui è sempre possibile intavolare un’amicizia, mantenendo le distanze, e sempre se non abbiamo un’arnia in mano… Per quanto siano adulti e atletici, conservano qualcosa del bambino…”.
In questo zoo letterario, ritroviamo quotidianità ed estraneità del nostro vivere di donne e uomini, erotismo e crudeltà, tradimenti e avidità, “come in uno specchio depressivo” ci riconosciamo anche noi della stessa razza animale.
JUAN JOSÉ ARREOLA, BESTIARIO – SUR, ROMA 2015, p. 60
Traduzione di Stefano Tedeschi. Postfazione di José Emilio Pacheco.
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