Letteratura

Chiamami ancora amore

27 Ottobre 2019

La notte deve pur finire: non può sempre esserci la cupezza, la sconfinata ed inconsolabile tristezza. Deve pur giungere l’alba radiosa.

“Chiamami ancora amore: per il poeta che non può cantare”.

È la poesia che dovrebbe governare la nostra vita: affina l’anima, rende ragionevoli, pone il cuore al centro delle nostre azioni. I poeti rubano i segreti all’universo, sanno dove si cela l’infinito, dove sono le stelle e cercano la bellezza come la luce viva che rischiara il cammino impervio della vita. Coltivano la letizia come un fiore sempre profumato. Sono “mercanti di luce”: non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro.
I poeti vedono e sentono  il cielo!

“Chiamami ancora amore per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così  belli a gridare nelle piazze perché’ stanno uccidendo il pensiero”
“Le idee sono come le farfalle cui non puoi spezzare le ali, come le stelle che non sono spente dai temporali”.

Sono loro che fanno la rivoluzione: nei loro occhi bellissimi c’è la voglia di cambiare radicalmente il mondo, l’anarchia ed il desiderio di scompaginare il potere asettico, freddo e sordo pervicacemente alle novità, precostituito a mantenere gelosamente anchilosati privilegi, acquisiti illegittimamente. Il pensiero è come il mare non lo puoi recintare, non lo puoi bloccare, sguscia via come un cerbiatto irraggiungibile. E fa le rivolte contro le eterne ingiustizie, perché permeato dall’inebriante eresia che muove gli spiriti eletti, fuori e scevri dalla belante moltitudine, informe ed ululante idiozie.

“Chiamami ancora amore:per la nostra memoria gettata al vento da questi signori del dolore”.

La storia si nutre di memoria e di ricordi incancellabili che ci guidano ancora e vivificano la nostalgia ed i brucianti rimpianti che declinano in rimorsi per non aver fatto di più. Non può essere, tuttavia, la nostra storia rimossa con tutte le sue storture, nefandezze ed ingiustizie, perché siamo cresciuti, abbiamo voglia di gridare al vento la nostra libertà dalla tetra ignoranza e dalla raggiunta consapevolezza, in forza della quale non possono più ordire imbrogli, farci subire supinamente sconcezze. Siamo in grado di spezzare quelle catene che avevano avvinghiato, mortificato, vilipeso, distrutto il pensiero, ora capace di conquistare tutti i diritti e rivendicare la giustizia al cospetto di forze illegittime.
I signori del dolore sono  ipocriti e farisei; ma li abbiamo scovati ed individuati, li possiamo stanare e severamente colpire: la demagogia non sarà più la coltre dell’ignoranza.

“Chiamami ancora amore, per il bastardo che sta sempre al sole, per il vigliacco che nasconde il cuore”.

Saranno spazzati via, travolti dall’impetuosa corrente di acqua fresca, nitida del fiume e di quella del mare adamantino: non possono sempre vincere gli imbroglioni, i lestofanti che beffardamente cambiano le regole in corso d’opera, truccano i concorsi e le gare, appartengono a baronie attaccate ostinatamente al potere, irremovibili, perché capaci di alimentare ed ordire alleanze neglette alla lucentezza della legalità, alla sacralità di procedure di garanzia. Verrà la notte, la dura notte che non passerà mai più per costoro, sepolcri imbiancati.
Anche per i vigliacchi che baciano la pantofola del potere, il cordone dei potenti, che si genuflettono a foggia di paggetti di corti barocche, chiudono gli occhi servili e non sono capaci mai di dire no, mandando alle ortiche un potere logoro e putrefatto: maggiordomi con livree consunte.

“Chiamami ancora amore, in questo disperato sogno riempi la notte tra  il silenzio ed il tuono di musica e parole”.

Perché non siamo morti e trafitti dalle vicissitudini, ma capaci di  riscrivere il destino della vita, ribaltarla, ricominciare con il sogno e la libertà, inventando un nuovo alfabeto con parole che non sono più lacrime di dolore, ma speranza e musica viva: ci riconciliamo con l’Universo e forse facciamo sorridere Dio.
La parola è un faro senza isole che spande luce in giro.
( a margine di “Chiamami ancora amore” di Roberto Vecchioni).

Biagio Riccio

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