Letteratura
“Chi se non noi?” È già un’illusione
Forse non è un caso che proprio in quest’ultimo anno più di un autore si sia messo a raccontare la Pianura, il Po, il Delta, lasciandosi sedurre dal pericolo di sparire fra “l’incommensurabile” e il “miraggio”, in un orizzonte che si dissolve attraverso la nebbia “che appare e scompare insieme” come scrive Marco Belpoliti nel suo Pianura (Einaudi, 2021). I contorni della realtà, lì, appaiono visibili solo da dietro l’obiettivo della macchina fotografica di Luigi Ghirri, il cui “fare fotografie” è un “togliere tutta la trasparenza che c’è tra noi e il mondo, e questo per tornare a rivederlo”.
Quest’anno, forse, c’era una predisposizione condivisa alla sospensione di quei luoghi e alle storie che possono ospitare: storie che cambiano a seconda della luce, come un paesaggio e una fotografia.
Chi se non noi? è il romanzo d’esordio di Germana Urbani, pubblicato ad aprile per Nottetempo. Si stende fra i grovigli di Po, nel Polesine sempre intimamente alluvionato dal ’51 e da qui si racconta un amore o un’ossessione.
C’è Maria, l’unica che è riuscita a districarsi da quella terra affascinante e fangosa, ha coronato il sogno di fare bioarchitettura, lavora in un importante studio di Bologna, vive a Ferrara e ogni fine settimana torna a casa perché è rimasta impantanata in un amore che non la lascia andare e non la lascia vedere. Un amore lungo, unico, speciale, troppo grande per lasciarsi, troppo grande per imbrigliarlo in un nome, da troppi anni senza sesso, troppo piccolo per diventare un matrimonio, troppo sospeso per non essere eterno e per non finire malissimo. Lui si chiama Luca e questo è importante non tanto perché molti de nomi del libro afferiscono al Vangelo ma perché come la luce, centrale in questo libro, è terribilmente cangiante. “Un Luca diverso, che io non avevo mai visto” pensa Maria guardando una foto di quando lui era ragazzo, scoprendolo sotto una luce nuova. Luca la lascia per un’altra appena lei ha lasciato tutto per lui, che dal suo Delta non voleva spostarsi mai: per passare con lui la vita, Maria ha lasciato Ferrara, gli ha lasciato il suo lavoro e ora resta svuotata, grigia e senza luce, mentre lui se ne va con candore e leggerezza, dicendo che di quei dodici anni, di loro, a lui non manca “Niente” e d’improvviso imparando a cambiare città, uscire dal Polesine, fare l’amore, essere un altro.
È chiaro che Luca non esiste: è una rappresentazione, un’immagine. Maria lo guarda troppo da vicino per vederlo. Talmente è acciecata dalla luce e dall’illusione che dopo tutto questo dolore sarebbe disposta a riprenderselo come se nulla fosse accaduto.
Durante uno dei loro primi incontri, citando Luigi Ghirri Maria gli dice che “ogni foto è una diversa scrittura di luce”.
La fotografia e il paesaggio, soprattutto quello magico e nebbioso del Delta, sono “scrittura di luce”, nella luce (o attraverso, o fra la luce) c’è la verità. La luce modifica i colori e lo spazio rendendo bellissima o desolata una terra, difficilissima da lasciare se ci si è immersi, da sfuggire se la si guarda con troppa distanza. Lo stesso accade nel rapporto umano. Ha mille angolazioni e sono tutte vere. È vera la profondità delle affinità elettive e della complicità e del coinvolgimento assoluto. È vera la poesia di non voler lasciare una terra ed è vera la distanza crudelissima che se nasce all’improvviso forse era solo poggiata sulla faccia non illuminata della luna. È vero anche che se si è troppo vicini non ci si vede più, che da troppo vicino non si riesce più a conoscere l’Altro né a sapere dove si trovi l’occhio che guarda, dove siamo noi. Così si finisce per raccontarsi storie, per illudersi, ed è un peccato, in questo frangente, che illusione e luce non abbiano una derivazione comune, ma sarebbe bello pensarlo perché si mescolano così bene, e se l’illusione fosse un gioco di luci, sarebbe la luce stessa con cui si guarda la realtà a creare illusioni – quelle che da un momento all’altro, se spezzate, possono diventare malefiche, rompere un’esistenza soltanto perché si è puntato tutto, a partire dal senso della propria vita, su una carta sola e nessuna carta è mai abbastanza solida per sostenere un peso così grande.
“Chi se non noi?” è già la promessa di un’illusione, la luce che brucia una fotografia. Ma Germana Urbani mostra fra le righe che, se presa obliquamente, quella stessa luce può imprimere mille infinite fotografie e realtà diverse.
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