Letteratura

Cento anni fa Zamjatin scriveva il romanzo “Noi”, non solo contro il comunismo

27 Gennaio 2019

Si ripete spesso stancamente che Zamjatin abbia scritto il suo potente romanzo distopico Noi contro il regime sovietico, contro il comunismo. In verità c’è qualcosa di più (e di meno schematico) nel suo romanzo.

Un breve riassunto
Il romanzo che abbiamo tra le mani, Noi, scritto da Evgenij Ivanovič  Zamjatin (1884-1837) tra il 1919 e il 1921,  fu bandito dalla Russia fino al 1989 perché sospettato di alludere criticamente alle realizzazioni del socialismo di stato  instaurato in  seguito alla Rivoluzione di Ottobre del 1917. Esso apparve per la prima volta in lingua inglese nel 1924  quindi in ceco nel 1927, francese (1929) e in russo a New York nel 1952 in piena guerra fredda.
Siamo di fronte a un tipico romanzo distopico  (utopia negativa)  ma anche ucronico, perché la vicenda narrata è proiettata in un avvenire senza data certa. Fra qualche millennio la terra sarà in potere dello Stato Unico (Единого Государства), gli uomini saranno ridotti a numeri e governati dentro  una società matematicamente perfetta, dove tuttavia qualche cosa o qualcuno fallisce nonostante l’accuratezza dei calcoli. Tutto il mondo di Noi è una macchina sincronicamente perfetta, scandita dalla Tavola delle Ore e da tutta una serie di prescrizioni stringenti per i suoi abitanti che vanno dalla masticazione dei cibi, prodotti con proteine estratte dal petrolio, all’attività sessuale.
Il mondo  ipercivilizzato in cui vivono le Unità (non si chiamano persone) è  separato dal regno delle fiere e delle piante selvagge da un gigantesco Muro Verde, ed è posto sotto una volta di cristallo, mentre tutte le abitazioni sono anch’esse trasparenti rendendo visibili  tutti  a tutti tranne durante gli atti intimi che vengono espletati al riparo di tendine. Sembra questa una condizione paradisiaca, ossia una sorta di Paradiso in terra di cui discuterò le implicazioni  nel capitolo finale.  Qui basta dire che questo mondo perfetto, sotto stretta sorveglianza di Custodi,  governato dalla benevolenza tirannica di un Benefattore  (Благодетель ) rieletto all’unanimità per 48 volte di seguito  a cui nulla sfugge,   è minacciato da una organizzazione segreta chiamata Mefi. Il protagonista del romanzo, un ingegnere dello Stato Unico, incaricato di costruire una sorta di astronave a  forma di dirigibile in vetro acciaio – 7 – progettato per  diffondere il verbo dello Stato Unico  e del Benefattore nell’Universo,  entra, a seguito di un amore incontrollato che gli mette a soqquadro il suo perfetto universo  matematico, a contatto con questa organizzazione, fino a quando…

Taylor tra tempi moderni e Stato Unico

Vi sono nel romanzo continui riferimenti (ben nove citazioni dirette) a Taylor e al taylorismo, il celebre metodo scientifico di razionalizzazione dei processi produttivi che sfocerà nella “catena di montaggio” fordista , ossia nei movimenti parcellizzati e cronometrati delle macchine cui si deve accordare necessariamente il movimento dell’operaio, che porteranno alla macchinizzazione sia del  lavoro che dell’uomo.  Il metodo Taylor e Ford congiunti costituiranno la base dell’industrializzazione moderna che dagli USA si diffonderà in tutto il mondo.
I riferimenti a Frederick W. Taylor  (1856- 1915) sono spesso ironici in Noi. Vedi quello dell’Appunto 7 che reca il titolo: Конспект: Ресничный волосок. Тэйлор. Белена и ландыш, che Alessandro Nievo traduce: Un peluzzo di ciglia. Taylor. Il giusquiamo e il mughetto. Il brano recita: «Come hanno potuto scrivere intere biblioteche su Kant  e notare di sfuggita Taylor, questo profeta capace di guardare avanti di dieci secoli », dice  il personaggio narrante. Vedi inoltre questo passo più avanti nella narrazione, nell’appunto 15: « Vedevo persone laggiù che, tayloristicamente, si curvavano, raddrizzavano, voltavano, ritmiche  e veloci, a tempo, come le leve di un’unica enorme  macchina ».
Ciò fa supporre che l’anti-utopia di Zamjatin non sia tanto o non solo l’apertura di un fronte polemico contro l’utopia realizzata del  comunismo, ma contro qualsiasi processo di standardizzazione, di meccanizzazione e di automazione della vita privata e collettiva. E tutto ciò, a ben vedere, c’è sia nel comunismo come nel capitalismo, ovviamente. L’”one best way”, l’organizzazione perfetta è il vero incubo. L’incubo è l’automatismo portato a perfezione, forse è la perfezione stessa: l’idea di perfezione.
Ancor prima della frase citata, Zamjatin infatti  scrive:  « Sì, questo Taylor era, indubbiamente, il più geniale degli antichi. È pur vero che non ha intuito di estendere l’applicazione del suo metodo a tutta  [corsivo dell’autore] la vita, a ogni passo, all’intera giornata: non ha saputo integrare tutte le ore, dalla 1ª alla 24ª…»  Siamo insomma davanti alla fordistica e tayloristica “razionalizzazione coercitiva dell’esistenza” di cui scriveva Gramsci, unicamente alludendo  pour cause, all’americanismo capitalista  (Q, XIX, 13, 2133).

Ma, sembra suggerire Zamjatin: il comunismo non è che  l’estensione del taylorismo a tutta la vita, e non solo ai processi di fabbrica.  Scrive a tal proposito Heller*: «In Noi è dipinto un quadro del mondo ammalato di ipertrofia dello Stato e della tecnologia; ma nello stesso tempo è la società sovietica che vi è analizzata, a cominciare dagli slogan di Lenin sulla taylorizzazione dell’economia».

È l’automazione di ogni gesto a essere messo sotto la lente della critica artistica di Zamjatin: il processo di razionalizzazione della vita quotidiana e collettiva sorretto dall’idea di  un’integrazione sempre più pressante della vita, perfetta, matematica sotto la spinta della meccanizzazione, della scienza e della rincorsa della perfezione, del best way di fare le cose, tutte le cose della vita. Dice il protagonista:  «La bellezza di un meccanismo sta nel suo ritmo incessante ed esatto, simile a quello di un pendolo. Ma voi, allevati fin dall’infanzia al sistema di Taylor, non siete forse diventati esatti come un pendolo? Il fatto è che: un meccanismo è privo di fantasia! ».
Da qui sorge la necessità di portare a termine la taylorizzazione completa delle Unità, la riduzione allo stato di  macchine di quelli che un tempo erano uomini, che adesso si chiamano Unità, che portano nomi alfanumerici. Ma non basta, occorre il passo successivo. Quale? Un espediente terrificante: l’asportazione della fantasia attraverso un’operazione  in una specifica regione cerebrale. Ecco il passo in cui si annuncia la mirabile scoperta : «L’ultima scoperta della Scienza di Stato è la sede della fantasia: un misero plesso cerebrale nella regione del ponte di Varolio. Una volta che il plesso suddetto venga bombardato a tre riprese con i raggi ics, la fantasia non vi affliggerà più.  Per sempre!  Sarete perfetti, equivarrete a delle macchine, la via che conduce al 100% della felicità è sgombra. Affrettatevi, – grandi e piccini – affrettatevi a sottoporvi alla Grande Operazione. Affrettatevi agli auditorium, dove si esegue la Grande Operazione. Evviva la Grande Operazione! Evviva lo Stato Unico, evviva il Benefattore!  »

L’idea che siamo davanti a un mondo perfettamente meccanizzato, standardizzato e taylorizzato si conferma allorché si scopre che questo mondo necessita ancor più  dell’asportazione… della fantasia. Si ha questa prima notizia  allorché D-503, Primo Costruttore,  fa visita ai cantieri dell’Integrale e il Secondo Costruttore gli esterna i suoi timori circa il piano di sabotaggio di misteriosi nemici. D-503 che già si sente “malato”, ossia non perfettamente allineato al sistema, deride il suo interlocutore con queste espressioni: « Poverino gli era parso offensivo che si alludesse anche lontanamente alla possibilità che potesse avere della fantasia. ».

Insomma, lo svuotamento dei desideri è possibile solo se recidi alla fonte il processo desiderante, il quale a sua volta  può essere alimentato solo dall’immaginazione, dalla fantasia, dalla possibilità che possa esistere un mondo altro o un modo diverso di concepire il mondo. Oggi noi useremmo il termine di “Lobotomizzazione”, ma è evidente che Zamjatin immagina qualcosa di analogo.

***

Questa interpretazione di un  presentimento dei pericoli di una meccanizzazione e taylorizzazione del mondo sovietico,   più importante agli occhi di Zamjatin  rispetto alla denuncia  contro il   comunismo, che pure c’è ed ha anche il pregio di una primizia assoluta,  ha qualche ragione di essere sostenuta. Quando Zamjatin scrive e fa circolare in forma di samizdat Noi (negli anni immediatamente successivi alla redazione del testo che avvenne tra il ’19 e il ’21) Stalin non è andato ancora al potere, l’URSS che data 1922, non è stata ancora fondata, e del fatto che Lenin avesse già varato i gulag (acronimo di campi di concentramento governativi)  nessuno poteva saperlo essendo una acquisizione storica relativamente dei nostri giorni. Inoltre i totalitarismi  sia di Mussolini che di Hitler dovevano ancora verificarsi.
Zamjatin ha invece il modello taylorista davanti agli occhi, ha girato nel continente europeo, è stato in Inghilterra, ha sperimentato da vicino le forme  spinte  della razionalizzazione economica, teme che esse si possano espandere all’intera società. Per quanto visionario il suo romanzo non credo che,  seppur assistito da una rigogliosa  fantasia,  il suo autore potesse immaginare tutte le deviazioni dell’utopia comunista. Certo ci sono situazioni nel romanzo che sorprendentemente alludono alle follie di una Corea del Nord, per esempio,   e del clima cerimonioso e psichiatrizzato attorno al Caro Leader di quella repubblica, quando  per esempio parlando delle Odi quotidiane al  Benefattore scrive : «chi, avendole lette, non si inchinerà piamente al cospetto dell’abnegazione con cui si prodiga questa Unità delle Unità?»

Infine, questa interpretazione di un romanzo che attinge, seppur come metafora totalitaria, a una sfera più ampia di follia umana, e dunque al di là delle stesse degenerazioni del comunismo,  è sostenuta anche dal curatore italiano del romanzo, Alessandro Nievo il quale esplicitamente afferma: « Noi si presta ancora molto bene a una interpretazione più ampia della solita logica di lettura che lo vuole “semplice” anticipatore di un’epoca storica ben definita e anticipatore delle storture del totalitarismo comunista. Non voglio a tutti i costi attualizzare Noi, ma direi che lo si può applicare ai nostri giorni quando a scontrarsi sono concetti molto attuali come ‘omologazione’ e ‘differenziazione’ in chiave di critica verso ogni forma di pensiero dominante (anche in chiave politica, se si vuole). Noi, insomma, può essere una parabola utile a definire ‘noi’, noi di adesso nel nostro vivere quotidiano, un richiamo a non seguire la corrente, a non essere massa, bensì individuo; a identificarsi, quindi, con l’energia di I-330 e non con l’entropia di D-503».
Dello stesso avviso è George Orwell, che come si sa, unitamente a Aldous Huxley, ha preso qualche spunto da  Noi con il suo 1984. In una sua  recensione apparsa nel gennaio del 1946 su una rivista inglese il suo taglio interpretativo è questo: « Zamyatin did not intend the Soviet regime to be the special target of his satire. Writing  about the time of Lenin’s death, he cannot have had the Stalin dictatorship in mind, and conditions in Russia in 1923 were not such that anyone would revolt against them on the ground that life was becoming too safe and comfortable. What Zamyatin seems to be aiming at is not any particular country but the implied aims of industrial civilization  ».

Evgenij Ivanovič  Zamjatin – Noi – a cura di Alessandro Nievo, Voland 2013

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Nota

* LEONID HELLER, Evgenij Zamjatin, (1884- 1937), in Storia della letteratura russa, Torino Einaudi,1990, Vol. II, parte VI, p. 517.

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