Letteratura

Cent’anni fa Pier Paolo Pasolini: la chiarezza del cuore è degna di ogni scherno

5 Marzo 2022

Se c’è un poeta che ha condizionato il valore dell’esistenza, facendone capire il significato rispetto alla morte, questi è stato Pier Paolo Pasolini. Ha avuto una relazione tragica e conflittuale con la vita, non essendo capace di viverla con ironia, perché ha sempre introiettato e compreso la sofferenza degli altri, il loro anelito ad un necessario riscatto sociale. Gli “Scritti corsari” depongono in tal senso.

La felicità, per quello che banalmente può significare, è di tutti e tutti la devono conseguire. Questo è stato il testamento di Pier Paolo.

Aveva addosso la malinconia come un profumo della sua pelle, disse di lui Oriana Fallaci.

E Franco Fortini, quando all’Idroscalo di Ostia ‪il 2 novembre del 1975 Pier Paolo fu atrocemente ammazzato, esclamò desolato: “Ora hanno ucciso la poesia”.

Pier Paolo era il compagno che tutti desideravano avere; nei salotti degli intellettuali romani e delle belle signore della Capitale, sin dalla fine degli anni ‘50, la sua presenza era richiesta per necessità, altrimenti la serata poteva anche non cominciare. Pier Paolo, infatti, parlava da finissimo pensatore di poesia, prosa, giornalismo, cinema, teatro, pittura, arte ed è stato forse l’ultimo intellettuale organico, nel senso gramsciano, che questo Paese ha visto sulle sue scene, completo in tutte le sue declinazioni. Non gli interessava il consenso, anzi si esaltava nel dissentire e pensava sempre contro, arrivando a provocazioni inusitate, originali, uniche.

È stato capace di avere un rapporto profondo con la massa, con il popolo e sbeffeggiava il palazzo del Potere: solo lui si poteva permettere di dire: “io so, ma non ho le prove e neppure indizi”.

Da qui, come dice un altro suo allievo Vincenzo Cerami, la lotta contro l’omologazione del potere, di qualunque colore fosse e secondo anche la sottesa gestione, fascista, democristiana, comunista. Infatti, Pier Paolo non ha digerito il conformismo di una cultura che ha ucciso ogni anelito di quella contadina, quasi ad apparire, impropriamente, reazionario o fuori da ogni ambito progressista ed anacronistico: “Darei una lucciola per l’intera Montedison”. Qui si vede la sua dissacrante provocazione, che sconvolge ogni relazione sociale; la paura che il progresso possa distruggere le radici del mito: “Io sono una forza del passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi”.

Era autentico, verace, vivido, adamantino. Solo lui poteva raccontare la verità. «La qualità che Pasolini possedeva in rara misura» scrive Contini «era dunque non l’umiltà ma qualcosa di molto più difficile da ritrovarsi: l’amore dell’umile e vorrei dire la competenza in umiltà».

Come è stato detto Pier Paolo combatteva l’incubo dell’uniformità, nel quale c’era posto solo per il perbenismo consumistico e l’idolatria delle merci. Il progresso è omologazione, dittatura dei consumi, del consenso, pubblicità. Parlerà di “genocidio” per descrivere questa mutazione genetica.

Enzo Siciliano, che ha scritto un libro bellissimo, “Vita di Pier Paolo Pasolini”, ritiene che Egli non possa essere imitato o contraffatto, né sarà mai possibile inventare le sue provocazioni: era sempre fuori dal coro, dalla parte di chi aveva torto, perché voleva comprendere la profondità del dissenso per farlo rientrare o per capirne le radici.

Moravia adorava Pier Paolo e forse è stato quello tra i suoi amici che lo ha aiutato a mantenere viva la sua relazione con Elsa Morante: attraverso Pier Paolo, Elsa amava ancora Moravia.

Pasolini per Moravia era un poeta totalizzante, il migliore della seconda metà del ‘900, capace in modo assoluto di raccontare la letteratura e farne una ragione di vita. Il bisogno di poesia per Pier Paolo era vitale, per respirare, vivere. Il giorno era pieno dei suoi versi.

Se c’è un mandante che ha ucciso Pier Paolo Pasolini, ha scritto Emanuele Trevi, è stata la mediocrità e l’ipocrisia di questo paese.

Ed è la verità ultima: Pier Paolo Pasolini è nel mito della letteratura, unico nelle sue acutissime intuizioni, brillanti e profetiche per una società che ha perduto l’ossatura della coesione ed è slabbrata nei suoi cardini.

Ma la notte era sua nemica: ogni notte non sapeva se avesse incontrato il giorno.

“E poi c’era la notte, il momento di voltare le spalle a tutti, a tutta la città, per incamminarsi da solo, vecchio cacciatore incallito, alla ricerca del piacere. C’era uno sprone che lo pungolava, gli tormentava la carne e lo spirito, alla stessa maniera lo consumava”. Tornava a casa tardissimo, quando davvero in giro, non c’era più un’anima, i passi risuonano sul selciato, i semafori lampeggiano”.

Emanuele Trevi – Qualcosa di scritto

Ha scritto in “Atti impuri”: “Il mio peccato era in me prima che io nascessi ed era inumano che io dovessi trascorrere la vita solo”.

Così lo ricorda la Fallaci: “Non è vero che detestavi la violenza. Con il cervello la condannavi, ma con l’anima la invocavi: quale unico mezzo per compiacere e castigare il demonio che bruciava in te. Non è vero che maledicevi il dolore… E mangiare con te era sempre una festa, perché a mangiare con te non ci si annoiava mai. Lasciarti dopocena, invece, era uno strazio. Perché sapevamo dove andavi, ogni volta. E, ogni volta, era come vederti correre a un appuntamento con la morte”.

“Tu eri consapevole che esistevano due tipi di frecce pericolose, ma per quanto tu contassi su una testa raziocinante e su un cuore responsabile, il tuo corpo ti trascinava sempre verso la freccia avvelenata dell’amore sacro e folle, rapido e solitario nei riguardi di corpi di giovinetti appena sbocciati al piacere. Un amore senza amore…e ti rimproveravi di quei piccoli furti erotici e ti inchiodavi mani e piedi alla croce per far tacere il tuo senso di colpa”.

Dacia Maraini – Caro Pier Paolo

Anche questo era Pier Paolo, ma solo lui poteva scrivere che “la chiarezza del cuore è degna di ogni scherno”.

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