Letteratura
Casa Manzoni
Oggi si celebra l’anniversario della morte di Alessandro Manzoni, avvenuta a Milano esattamente 150 anni fa.
Per ricordare l’autore de “I promessi sposi” e di innumerevoli altre importanti opere letterarie vi ripropongo quanto pubblicai nel 2020. Non si tratta quindi di un inedito ma ritengo che le mie righe possano, ancora oggi, risultare di un qualche interesse. In particolare modo per la caratura di coloro che furono i miei anfitrioni durante la visita e la scoperta della casa di Alessandro Manzoni.
Alessandro Manzoni è considerato uno dei più grandi letterati italiani di sempre. Credo che non esista una sola donna ed un solo uomo che nel nostro Paese non abbia letto almeno una riga del suo lavoro, visto un suo ritratto, sentito nominare il suo nome.
Molti meno sono invece coloro che hanno visitato la sua casa, la dimora dove il Maestro visse praticamente quasi tutta la vita e dove, al tavolino del suo studio, scrisse le pagine più belle della sua produzione letteraria.
La sua casa, la residenza nella quale visse per circa sessant’anni, è incastonata nel centro della città di Milano. La facciata del palazzo si apre su piazza Belgioioso mentre il portone d’ingresso è posto al civico 1 di via Morone.
Questa pubblicazione parla proprio di Casa Manzoni e dei suoi proprietari (Don Lisander, la sua famiglia, gli amici più cari). Nessuna velleità di insegnare niente più di quanto già non si sappia. Si tratta solo del tentativo di mettere curiosità, di suscitare interesse, di far scattare quella scintilla che possa portare almeno uno dei nostri lettori a dire: “ho proprio voglia di visitare questa casa”.
Entro nella casa di Don Lisander con un pizzico di curiosità, molto rispetto e tanta emozione. Sulla soglia mi accolgono la dott.ssa Jone Riva ed il prof. Mauro Novelli; saranno loro i miei anfitrioni, coloro che mi condurranno alla scoperta di questo meraviglioso monumento nazionale.
La dottoressa Jone Riva, che dal 1985 collabora con il Centro Nazionale Studi Manzoniani, è la responsabile della conservazione scientifica del Museo Manzoniano. Curatrice di una lunghissima serie di pubblicazioni è anche la responsabile dell’Almanacco di Casa Manzoni.
Il professore Mauro Novelli insegna Letteratura e Cultura nell’Italia contemporanea presso l’Università Statale di Milano, dove coordina il Master in Editoria promosso insieme all’AIE e alla Fondazione Mondadori. Componente del Direttivo del Centro Nazionale Studi Manzoniani, è autore di volumi e studi di ambito otto-novecentesco.
Partiamo insieme alla scoperta di Casa Manzoni. Per prima cosa vorrei sapere se è stato lo scrittore a farla costruire oppure se l’ha comprata già edificata.
Novelli: il palazzo non lo fece costruire lui ma lo acquistò già edificato nel 1813 per 107.000 lire. Si trattava di una somma considerevole che per Manzoni rappresentò un impegno finanziario decisamente importante.
Riva: questa di via Morone è l’unica casa che il Manzoni abbia mai acquistato, le sue altre proprietà gli giunsero in eredità. Come detto dal prof. Novelli la acquistò nel 1813, vi entrò con la famiglia nel 1814 e la abitò sino al 1873, l’anno della sua morte. Era già costruita e Manzoni la conobbe esattamente come la vediamo noi oggi.
Ci sono testimonianze di Giulia Beccaria, la madre dello scrittore, riguardo i lavori che vennero eseguiti subito dopo l’acquisto. Si trattò solo di opere di manutenzione ordinaria e non abbiamo alcun cenno riguardo lavori alla struttura portante del palazzo.
Vennero tinteggiate le pareti e poste delle barriere di sicurezza alle finestre per evitare che i bambini, affacciandosi, potessero mettersi in situazioni di pericolo. Quando Manzoni arrivò qui erano già nati Giulietta e Pietro; sarebbero poi arrivati negli anni a seguire tanti altri bambini, dieci in tutto.
La casa giusta nel posto giusto.
Novelli: si, decisamente. In questa casa trovò la pace, la serenità ed il raccoglimento adatti per lavorare e sviluppare la sua carriera di scrittore; inoltre beneficiava della presenza di amici e parenti che risiedevano nelle vicinanze, palazzo Beccaria è ad esempio lontano solo poche centinaia di metri.
Vicinissimi abitavano Federico Confalonieri e Silvio Pellico in via Monte di Pietà, il Porta e i Verri in via Monte Napoleone, Vincenzo Monti in via Brera. A pochi passi sorgevano la Biblioteca Ambrosiana, la Braidense, il Gabinetto Numismatico diretto dall’amico Gaetano Cattaneo, le librerie di Santa Margherita e della Contrada dei Servi. Una centralità topografica che permetteva di unire le esigenze dello studioso alle istanze affettive.
Manzoni desiderava fortemente trovare una sistemazione in quello che ai tempi era un vero e proprio “cerchio magico”, la zona centrale di una Milano che non era certamente quella di oggi, bensì una città allora abitata da poche centinaia di migliaia di persone.
Riva: tornando al palazzo posso dirle che è molto antico. Probabilmente vennero costruiti inizialmente due corpi di fabbrica contrapposti e successivamente vennero elevate ulteriori costruzioni laterali che diedero vita all’attuale forma a quadrilatero della proprietà. Nel corso dei lavori di restauro degli anni cinquanta del novecento venne rinvenuta la struttura di una finestra esterna quattrocentesca, che Manzoni non vide mai in quando era occultata all’interno di una parete.
Dopo la morte di Manzoni la casa venne venduta all’asta e fu acquistata dal conte Bernardo Arnaboldi Cazzaniga, che la possedette per circa diciotto anni. A lui dobbiamo molto perché fu lui a conservare la camera da letto e di morte e lo studio di Manzoni senza consentirne alcuna modifica. Ci sono giunti intonsi come erano il giorno della scomparsa dello scrittore.
Quindi la proprietà passò ai fratelli Villa (che vendettero il giardino alla Banca Commerciale) e da ultimo passò ai fratelli Dubini.
Nel 1937 venne istituito il Centro Nazionale Studi Manzoniani con il R.D. Legge 8 luglio 1937, n. 1679 da Giovanni Gentile, allora ministro dell’Istruzione.
Nel 1938 la Casa divenne proprietà della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde che la assegnava al Centro Nazionale Studi Manzoniani, per la esclusiva e perpetua destinazione.
In data 20 marzo 1941 Casa Manzoni venne donata dalla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde al Comune di Milano purché fosse destinata “in uso perpetuo ed esclusivo” al Centro Nazionale Studi Manzoniani.
I bombardamenti che subì Milano durante la seconda guerra mondiale danneggiarono il palazzo?
Riva: no, i danni per fortuna furono davvero minimi. I lavori di restauro proseguirono dopo il conflitto ed il 15 dicembre 1965, venne inaugurato il Museo Manzoniano.
Cinquant’anni dopo, in concomitanza di Expo 2015, una nuova opera di ristrutturazione è stata completata grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo, con l’intenzione non solo di offrire ai visitatori un percorso espositivo più ampio, ma anche di rendere Casa Manzoni un ancor più vivace polo culturale aperto agli studiosi e all’intera cittadinanza.
Al piano terreno viveva la servitù, al secondo piano gli ospiti, al piano nobile, il primo, la famiglia Manzoni. Saliamo a visitarlo?
I miei ospiti mi precedono sui gradini del bellissimo scalone che ci porta nel cuore della dimora di uno dei più grandi letterati italiani di sempre; l’emozione cresce
Riva: seguiamo il percorso museale di Casa Manzoni, che è stato allestito nelle sale di rappresentanza dell’appartamento padronale. Il percorso è tematico, questa prima stanza raccoglie i cimeli che riguardano la famiglia di Alessandro Manzoni. Quando Don Lisander vi abitava questo ambiente era un’anticamera.
Vedo sulla parete alla mia destra un piccolo ricamo, so che si tratta di un oggetto molto prezioso.
Novelli: è l’ultimo ricamo realizzato da Maria Antonietta, regina di Francia, durante la sua reclusione in prigione prima di essere condotta al patibolo a causa della Rivoluzione francese. Raffigura un putto; la regina lo regalò in segno di riconoscenza alla sua maestra di ricamo. Questa a sua volta a Sophie, vedova del filosofo Condorcet che lo fece avere in eredità alla sua cara amica Giulia Beccaria, madre di Manzoni.
Un oggetto per certi versi iconico e carico di significato per la nobiltà degli inizi dell’Ottocento. Cosa significava per Manzoni appartenere alla nobiltà?
Novelli: Per parte di padre Alessandro Manzoni apparteneva ad una nobiltà che potremmo definire “minore”, una nobiltà di campagna. Il ramo Manzoni del padre Pietro è originario della Valsassina, una terra sopra Lecco.
Per parte di madre faceva invece parte di una nobiltà milanese illustre ed antica che aveva un ruolo di primo piano nella società del suo tempo. Era figlio di Giulia Beccaria e nipote del marchese Cesare Beccaria, l’autore del celebre trattato “Dei delitti e delle pene” che ebbe enorme fortuna in tutta Europa, uno dei massimi esponenti dell’Illuminismo italiano.
Ne “I Promessi Sposi” i nobili sono spesso posti sotto una luce che ne evidenzia più i difetti che i tratti positivi.
Novelli: si è proprio cosi’. I Promessi Sposi sono ambientati nel XVII° secolo, “un secolo sudicio e sfarzoso”, ed ai tempi di Manzoni, nell’ottocento inoltrato, si intravedevano ancora i cascami di questo tipo di nobiltà.
Manzoni sfiora la Rivoluzione francese che indubbiamente lascia in lui delle tracce, nonostante il suo riavvicinamento successivo alla religione. Non dimentichiamo che da giovane fu un fiero giacobino.
Da adulto la sua idea della nobiltà di sangue lo porta ad una sostanziale indifferenza; non nascondeva ovviamente il suo status nobiliare che era di pubblico dominio e non poteva essere ignorato.
Non viveva sulla luna ma personalmente lo status di nobile non lo interessava più di tanto. E’ un uomo che attraversa i secoli.
Riva: entrando in questa stanza si vede subito una delle ultimissime acquisizioni del museo; il bozzetto della statua del nonno materno di Manzoni, Cesare Beccaria. A sua memoria, Manzoni lo incontrò una sola volta, quando aveva sei anni. La madre Giulia, prima di mandarlo in collegio a Merate dai padri somaschi, lo condusse in visita dal celebre nonno.
“Mi ricordo ancora la figura del nonno e l’armadio dal quale prese dei cioccolatini da farmi assaggiare”. Non si videro più, ma la figura del marchese Beccaria si rivelò comunque molto importante per il giovane Alessandro. Quando, dopo numerosi anni di solitudine in collegio, raggiunse la madre a Parigi, venne accolto dal mondo intellettuale della capitale parigina con grande simpatia. Non solo perché figlio di Giulia, ma soprattutto perché nipote del grande Cesare; tanto fu l’orgoglio di quel giovane di appartenere ad una famiglia importante che in quel periodo prese l’abitudine di firmarsi con il doppio cognome. Alessandro Manzoni Beccaria.
Sulla parete alla nostra sinistra è appeso un bellissimo ritratto della famiglia Manzoni eseguito da Ernesta Bisi. Alessandro è ritratto in mezzo alle due donne più importanti della sua vita, la madre Giulia e la prima moglie Enrichetta Blondel, sotto di di loro ecco sette dei dieci figli della coppia. Possiamo datare questo disegno come realizzato nel 1825-1827; da una serie di ritratti singoli Ernesta Bisi ricavò questa composizione.
Ecco poi altri quadri raffiguranti Manzoni, un presunto ritratto di Alessandrina (la figlia di Giulietta Manzoni e Massimo d’Azeglio) ed i ritratti degli amici più cari dello scrittore, tanto importanti da essere considerati quasi come dei componenti della famiglia. Tommaso Grossi (che ha abitato in Casa Manzoni per quindici anni), Luigi Rossari e Giovanni Torti.
Giovanni Torti, l’amico che Manzoni nomina anche ne “I Promessi sposi”, quando parlando dei bravi al servizio dell’Innominato, definisce i soldati che rimasero al servizio del potente castellano dopo la sua conversione come “pochi e valenti come i versi del Torti”.
Giovanni Torti tra gli amici era famoso per essere molto pigro ed a poco valsero le loro sollecitazioni a scrivere di più!
Ecco un ritratto del figlio Pietro, forse il più amato dei figli.
Riva: su Pietro abbiamo delle belle testimonianze di Giulietta, la sorella. In qualche modo i figli di Manzoni erano particolarmente legati tra di loro “a due a due”. C’era un feeling particolare ad esempio tra Giulietta e Pietro, tra Vittoria e Pietro, tra le due sorelle Cristina e Sofia, tra Enrico e Sofia. Giulietta scrive a Fauriel** e fa del fratello un bellissimo ritratto. “E’ un bel giovane, brillante, sta bene con gli amici, cavalca…”.
**Charles-Claude Fauriel (Saint-Étienne, 21 ottobre 1772 – Parigi, 15 luglio 1844) è stato uno storico, linguista e critico letterario francese.
A vedere il suo ritratto in età adulta non si direbbe; ha un’aria un po’ da pacioccone…
Riva: invece da ragazzo era uno sportivo; lo stesso papà Alessandro scrive a Tommaso Grossi da Genova (nel corso del loro viaggio verso la Toscana) e dice “Pietro è fantastico, sta imparando a nuotare… si butta dalla barca, si butta da una parte e risale dall’altro lato…”. Si sente proprio l’orgoglio del padre che racconta le prodezze del figlio. Pietro è stato in assoluto il figlio che gli è stato più vicino. Mentre Filippo ed ed Enrico gli hanno creato dei bei problemi.
Novelli: A Pietro Alessandro Manzoni era legatissimo. Pietro gli diede il dispiacere di sposare una ballerina, ma rispetto a quanto gli combinarono gli altri figli fu un dispiacere lieve. Alcuni dei figli gliene fecero di tutti i colori, si indebitarono, spesero la sua parola.
Invece Pietro gli fu vicino sino all’ultimo con affetto e rispetto. Morì qualche mese prima del padre ed a Manzoni venne a mancare l’appoggio del figlio prediletto. Lo scrittore, quando scomparve il figlio maggiore, era già gravemente malato; gli amici più stretti cercano di alternarsi al suo capezzale, anche perché senza un vero capofamiglia presente si temevano ladrocini e ruberie in casa, e forse qualcosa è davvero stato fatto sparire dalla dimora in quei mesi tribolatissimi.
Riva: Filippo ed Enrico diedero grandi pensieri al padre, non solo indebitandosi fortemente ma anche non adattandosi minimamente ai consigli che ricevevano dal genitore per rientrare , in qualche modo, su binari più corretti e consoni ad uno stile di vita più ordinato.
Passiamo direttamente alla stanza successiva, che non è separata da alcun corridoio dall’anticamera nella quale ci trovavamo prima; ai tempi del Manzoni l’uso dei corridoi nelle dimore milanesi non era di uso comune
A quale scopo era destinata questa grande stanza?
Riva: Questa era la sala da pranzo di Casa Manzoni. Noi sappiamo che al centro di questa stanza c’era un grande tavolo ovale e sulla parete opposta a quella del camino erano posizionate due consolle che contenevano i servizi da tavola; sono ancora esistenti e sono conservate da eredi del Manzoni.
Il camino che vediamo fu sicuramente rimaneggiato dopo la vendita della casa da parte della famiglia del letterato. Sappiamo che era il camino del salone di conversazione e che venne spostato qui, posizionato proprio dove probabilmente prima esisteva un montacarichi.
Proprio sotto questa ampia stanza era posizionata la cucina del palazzo: in una casa come questa era impensabile che i camerieri portassero le vivande su e giù per lo scalone padronale o attraverso anguste scale di servizio.
Se guardiamo bene questo camino possiamo notare che i fregi sono stati aggiunti e non fanno parte dell’allestimento originale. Provi ad immaginarlo senza i fregi, aggiunti per farlo apparire più importante; noterà come è pressoché identico al camino di marmo grigio della camera da letto ed al camino di marmo rosso dello studio. Provi a passare la mano sul marmo della struttura e sui fregi e mi dica cosa percepisce?
Si sente al tatto una differenza nella morbidezza della pietra. Non è facile descrivere la sensazione che si prova al tatto, ma di sicuro si tratta di due marmi differenti.
Riva: nel nostro nuovo allestimento abbiamo raccolto i diversi ritratti di Manzoni in ordine cronologico.
Manzoni amava posare per la realizzazione dei suoi ritratti?
Novelli: molti dei dipinti che vediamo qui sono ritratti “indiretti”, ovvero quadri realizzati prendendo spunto da altri ritratti già esistenti; alcuni non li trovo nemmeno particolarmente somiglianti. Una delle cose che Manzoni non amava particolarmente era proprio posare, ma allora esistevano delle regole sociali che andavano rispettate e rifiutarsi di farsi ritrarre poteva risultare sconveniente.
Il famoso ritratto di Francesco Hayez, un olio su tela che è probabilmente il ritratto più famoso e che è conservato a Brera, venne commissionato e fatto realizzare dalla seconda moglie di Manzoni, la contessa Teresa Borri Stampa e dal figliastro Stefano.
«Ieri il ritratto è andato sulla cornice ed è un portento di somiglianza. Tutti, donne e servitori, Pietro, Enrico, Sogni dicono che l’Hayez ha stampato la faccia di Alessandro sul quadro! L’è, dicono tutti, un portento dell’arte». — Teresa Borri Stampa –
Riva: abbiamo comunque una serie di dipinti per i quali sicuramente Manzoni posò personalmente; almeno uno ogni dieci anni della sua vita. Si parte dal dipinto che ritrae lo scrittore diciassettenne che esce dal collegio, una sorta di ritratto pre fotografico, realizzato a matita. Sul retro vi sono due annotazioni: una dice “ritratto del mio amato figlio Alessandro, di anni diciassette, dis(egnato) da Gaudenzio Bordiga” e l’altra una nota della moglie Teresa (grande collezionista dei cimeli del marito) “avuto da Alessandro”.
E’ importante questo ritratto perché traspare in qualche modo la contrizione che afflisse l’adolescenza del Manzoni, passata in collegio.
Abbiamo poi una fotografia d’epoca scattata ad una miniatura, fatta in occasione del matrimonio con Enrichetta Blondel. Alessandro aveva ventidue anni. Una mano nei capelli scarmigliati, una mano su un libro, il colletto della camicia aperto con una foggia un po’ foscoliana; ecco cosa avrebbe voluto diventare Alessandro, abbiamo un Manzoni “aspirante poeta”.
E poi Manzoni con la madre a Parigi, con la mano sul cuore. Il ritratto venne commissionato proprio dalla madre, si tratta di un dipinto con una posa alla Byron, alla Foscolo, alla Alfieri. Questo quadro Manzoni lo teneva appeso nel salone di conversazione e quando, in età ormai avanzata, qualcuno guardandolo commentava “don Lisander, come eravate giovane…” lo scrittore amava rispondere con autoironia: “ ero nell’età in cui quando ci si fa fare un ritratto si assume un’aria ispirata”.
Questo era il Manzoni di Enrichetta; il Manzoni ritratto da Hayez è l’Alessandro di Teresa Stampa.
Brera ha il ritratto di Hayez ma voi avete qualcosa di altrettanto eccezionale; sto parlando della fotografia ritratto di Manzoni anziano. Impattante, travolgente.
Riva: Che sguardo! Vivace, vivo, forte, coinvolgente. Lui ti guarda; in qualsiasi angolo della stanza lei si sposti, lui la segue con gli occhi. Qui è già molto anziano, ma è ancora un uomo bellissimo.
Fisicamente come era?
Novelli: era un bell’uomo, dal portamento elegante. Magro, molto curato, lo possiamo notare anche dai cimeli che abbiamo qui, la sua tuba, il suo ombrello il suo soprabito. Non appariscente ma decisamente elegante.
Riva: era alto tra i 168 ed i 170 cm, che per l’epoca era una buona statura. Abbiamo qui un ritratto che venne fatto post mortem utilizzando le misure che furono rilevate al momento del decesso.
Vedo qui un piccolo gruppo statuario in bronzo che riproduce l’incontro di Manzoni con Garibaldi. Manzoni uomo misurato e cattolico, Garibaldi uomo d’azione, mangiapreti e guida massima del Rito Scozzese Antico e Accettato, un rito massonico. Mi verrebbe da dire “il diavolo e l’acqua santa”.
Novelli: il 25 marzo del 1862 il generale Garibaldi si reca in visita a Casa Manzoni per conoscere “un uomo che onora tanto l’Italia”. E’ vero, ha ragione, erano uomini molto diversi tra di loro.
Garibaldi porta a Manzoni in dono, non senza una certa emozione, un mazzolino di violette. Manzoni era cattolico ma più di una volta mise in difficoltà ed imbarazzo i cattolici.
Era un fermo oppositore del potere temporale della Chiesa, tanto che nel 1872 accettò la cittadinanza capitolina, suscitando grande scandalo tra i cattolici più conservatori. Era la cittadinanza di una Roma che, dopo i fatti di Porta Pia, aveva confinato il Papa in Vaticano.
Manzoni era convinto che il regno terreno della chiesa, espresso con il potere temporale, fosse una vergogna per la religione cattolica.
Quello che di forte univa due uomini così diversi era la visione comune di un’Italia unita.
Entriamo adesso nella “sala rossa”, il Salone di conversazione.
Novelli: oggi questa sala è allestita secondo i canoni del percorso museale, ma lei deve immaginarla come era ai tempi di Alessandro Manzoni; con un pianoforte a muro, un tavolino pieno di libri e libretti…
Riceveva di continuo omaggi e pubblicazioni; prima gli dava un’occhiata per verificare che non contenessero nulla di disdicevole ed inadatto da un punto di vista etico-morale, poi li depositava sul tavolino a disposizione degli ospiti che li leggevano durante le serate.
Una figlia magari suonava il pianoforte, il camino acceso, l’illuminazione a candele che creava una atmosfera molto particolare. Era una zona nevralgica del vivere familiare.
Riva: la famiglia quando si riuniva, si ritrovava qui. Anche gli ospiti venivano ricevuti in questa sala.
Il camino che abbiamo visto nella sala precedente era posizionato in questa stanza, lungo una parete. C’era anche un ampio tavolo rotondo, lo desumiamo da alcuni appunti di Teresa che annota “abbiamo comprato una tovaglia per il tavolo del salone”.In un angolo era posizionato un tavolino rotondo; nei primi anni accanto a quel tavolino si sedeva Giulia Beccaria, sempre presente ed attenta ad ascoltare le conversazioni serali che si tenevano in questa sala.
Spesso non interveniva, semplicemente ascoltava o leggeva. Giuseppe Borri, il fratello di Teresa Stampa, diceva che < quando ti trovi di fronte alla madre di Manzoni ti viene voglia di chiamarla “Monna Aristocrazia” >, tanto era altero il di lei atteggiamento in pubblico.
Il pavimento di questo salone è differente da quello in cotto lombardo che vediamo ad esempio nella camera da letto nella quale Manzoni si spense.
Riva: questo pavimento in legno potrebbe risalire non ai primi anni di soggiorno della famiglia Manzoni in questo palazzo, ma potrebbe essere stato posato in occasione della ristrutturazione della facciata che da su piazza Belgioioso. Quando Manzoni acquistò questa casa la facciata era molto, molto, molto misera. Nel 1862 il Comune chiese a don Lisander il permesso di creare un marciapiede, togliendo alcuni corpi di fabbricato di pertinenza della sua proprietà. Furono fatti una serie di lavori per riallineare la facciata e per adornarla. La casa era diventata meta di tutte le persone importanti che, passando per Milano, volevano conoscere Manzoni. Quindi il figlio Pietro si incaricò della ristrutturazione, che probabilmente toccò anche gli interni. Pietro seguì i lavori, ma il contratto lo firmò Alessandro.
Il progetto era dell’architetto Andrea Boni, uno degli architetti che ai tempi andava per la maggiore, un professionista con tanto di esposizione in Galleria.
Anche allora esistevano gli show room.
Riva: le chiamavano “esposizioni” ed i progetti venivano riprodotti spesso su tavolette. Il Boni espose persino a New York, progetti e decori architettonici di sua creazione.
Se guarda la facciata può vedere come Manzoni abbia “contrattato” con lui sul prezzo; le finestre del piano terreno e del secondo piano sono molto lineari, quelle invece del primo piano (piano nobile) sono molto più rifinite e decorate.
Austero o “braccino corto”.
Riva: direi austero. Manzoni amava moltissimo l’agio, la comodità ma per lui l’agio non significava avere più decori sulla facciata di casa a Milano, ma magari avere due copie dei suoi preziosi libri, una da mettere in biblioteca in via Morone ed una nella sua villa di Brusuglio. Nonostante avesse numerose proprietà non era comunque un uomo dalle smisurate disponibilità economiche. Come spesso accadeva tra le famiglie nobili, anche i Manzoni avevano diversi possedimenti immobiliari ma scarsa liquidità finanziaria.
Il costo di acquisto della casa, la sua manutenzione, le spese vive relative alla sua gestione ordinaria e straordinaria richiesero negli anni un esborso significativo. Come abbiamo detto in precedenza i cespiti immobiliari erano adeguati al blasone della famiglia, ma la liquidità era tutt’altro che illimitata. L’attività letteraria del Manzoni garantiva entrate adeguate?
Novelli: No, decisamente no. Dalla pubblicazione dei suoi testi, compreso il romanzo più famoso, guadagnò poco o niente. Ai suoi tempi non esisteva quello che oggi chiamiamo “il diritto d’autore”.
Esistevano delle convenzioni che cercavano di limitare la pirateria editoriale, ma non erano siglate da tutti gli Stati. A titolo di puro esempio, il regno di Napoli non aderiva ad alcuna forma di tutela delle opere di ingegno. Era semplicissimo riprodurre i libri di successo oltre i confini del Lombardo-Veneto, ricordiamoci quanto fosse frastagliata la geografia politica della penisola nel 1840.
Durante i primi anni Manzoni non diede particolare peso al ritorno economico che poteva derivare dall’enorme successo del suo romanzo, in fondo ciò che lo interessava era la stima che raccoglieva in modo pressoché unanime nel mondo della cultura. Nella mentalità di un nobile nato alla fine del settecento l’idea di lucrare proprio non esisteva, anche se un giusto guadagno non era cosa da disprezzare.
Quando pubblico’ la cosiddetta “quarantana” pensò che non ci sarebbe stato nulla di male se anche lui avesse raccolto qualche beneficio economico dalla diffusione sua opera. L’edizione precedente, la “ventisettana”*** , era stata piratata senza riguardo; si stima in oltre sessantamila copie il monte delle pubblicazioni non autorizzate, tirate da un’infinità di editori.
Ritenne opportuno rendere riconoscibile l’originalità della pubblicazione proponendo “i promessi sposi” non con il classico volume unico; il testo uscì a dispense arricchito da un serie di illustrazioni pregevolissime, opera di illustratori di grande fama provenienti anche dall’estero.
Se un testo è facilmente copiabile, immagini tanto preziose sarebbero state (pensava il Manzoni) irriproducibili in edizioni pirata di basso valore artistico. Ed invece il suo romanzo continuò ad essere letto anche al di fuori dei canoni della legalità. La gente continuò a leggere le copie della “ventisettana” quasi sino a fine ottocento. Manzoni provò ad indossare anche i panni dell’editore.
Fece stampare qualcosa come diecimila copie della quarantana, che rappresentavano un investimento significativo, e riesci a piazzarne circa la metà. L’altra metà dovette tenerla a suo carico stipandola qui in casa, lasciando che la pila dei volumi si esaurisse piano piano nel tempo.
La sua esperienza come editore andò malissimo!
Riva: ci furono momenti nei quali fu necessario fare scelte economiche radicali. Per pagare il proprio soggiorno a Parigi Enrichetta dovette vendere una parte dei suoi gioielli, per comprare il palazzo di via Morone Manzoni dovette vendere la casa di famiglia di Lecco e successivamente furono alienati anche terreni e cascine in Lombardia. Come ha spiegato il prof. Novelli, in mancanza di una tutela del diritto d’autore, vivere con gli introiti delle pubblicazioni era poco più che un sogno ad occhi aperti.
NdR.
La ventisettana*** Differente per struttura narrativa, cornice, presentazione dei personaggi e uso della lingua è la prima edizione de “I promessi sposi”, rivisitata dal Manzoni grazie all’aiuto degli amici Ermes Visconti e Claude Fauriel. Questa stesura dell’opera (la cosiddetta ventisettana, che è la prima edizione a stampa) fu pubblicata da Manzoni nel 1827 (in tre tomi distinti tra il 1825 e 1826) con il titolo “I promessi sposi”, con l’aggiunta del sottotitolo “storia milanese del sec. XVII, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni”.
La quarantana **. L’edizione definitiva de “I promessi sposi”, realizzata tra l’ottobre del 1840 e il novembre del 1842 con l’aggiunta in appendice de “la Storia della colonna infame”, fu decisa per la volontà da parte dell’autore di rinnovare l’impianto stilistico e linguistico della ventisettana dopo l’esperienza fiorentina.
Ci spostiamo nella stanza che un tempo veniva utilizzata come camera da letto matrimoniale.
Riva: Questa era la camera matrimoniale che il Manzoni condivise prima con Enrichetta e successivamente con Teresa Stampa. Dopo la morte di Teresa (avvenuta nell’agosto del 1861) Manzoni riprese in casa con se il figlio Pietro, la moglie Giovannina ed i loro quattro figli. E’ molto probabile che in quell’occasione egli abbia ceduto questa camera matrimoniale al figlio, ritirandosi definitivamente in una piccola camera adiacente, dove dimorò sino alla morte.
Nessuno di questi ambienti era dotato di servizi igienici e di altre comodità che oggi sono scontate.
Riva: avevano tanti camerieri, tanta servitù che si occupava delle necessità della famiglia. Mi diceva il prof. Giorgio Mauri che Casa Manzoni è stata una delle primissime case milanesi a godere dei “servizi all’inglese” ovvero quelli con l’acqua corrente. Servizi all’inglese che all’inizio erano semplicemente rappresentati da un cameriere che faceva cadere l’acqua nelle tubature dall’alto…
Se dovessi ricostruire l’arredamento di questo ambiente lo immaginerei con un letto matrimoniale, o con due letti separati, una coppia di comodini gemelli, un tavolino per scrivere, una chaise longue per il riposo di Enrichetta. E di sicuro ci sarà stata sempre una culla per l’ultimo nato ed un lettino per i bimbi che, a rotazione, si ammalavano di pertosse piuttosto che di morbillo e che dovevano essere separati dagli altri fratelli.
Novelli: quante stagioni ha visto questa stanza, questa casa. Manzoni entro’ in questa casa con i francesi per le strade, ascoltò l’eco della via durante l’omicidio del Prina (*) da dietro le imposte, vide realizzarsi l’unità d’Italia da queste finestre. Una vita intera passata in queste stanze.
(*) NdR
Il conte Giuseppe Prina in epoca napoleonica ricoprì in particolare l’incarico di Ministro delle finanze del Regno d’Italia. Detestato per tale ruolo, alla caduta del Regno e del periodo napoleonico, finì tragicamente linciato a Milano dalla folla inferocita il 20 aprile 1814.
Accanto alla grande camera da letto matrimoniale si affaccia un locale più piccolo. In questa stanza Manzoni, ormai anziano, organizzò la propria camera da letto e qui morì.
Riva: è molto probabile che Manzoni utilizzasse questo ambiente anche in età adulta e non solo da anziano. Dobbiamo immaginare che nella sua camera da letto non vi fossero sempre la pace e la tranquillità giusti per consumare magari un riposino pomeridiano oppure un sonno ristoratore notturno; tanti figli in giro, Enrichetta che magari allattava l’ultimo nato, qualche figlio malato…
Manzoni, un po’ per non disturbare ed un po’ per non essere disturbato, molto probabilmente si ritirava in questo piccolo locale, dotato di un divano, un letto e di altri componenti di arredamento moto semplici.
Anche nella sua villa di Brusuglio aveva una cameretta con un letto singolo in una nicchia a propria disposizione; evidentemente amava avere a disposizione un luogo tranquillo ove riposare da solo.
Chi si aspetta di vedere un ambiente solenne, riccamente decorato, riflesso di fama e gloria e si affaccia a questa stanzetta rimane quantomeno perplesso. Gli arredi trasudano modestia ed essenzialità.
Il locale non è accessibile al pubblico, l’ambiente si osserva attraverso la porta d’ingresso, ma i miei ospiti mi invitano ad entrare con loro per guardare meglio tutti i particolari della stanza.
Novelli: io dico sempre che questa, più che la stanza di un grande d’Italia, è la cella di un frate trappista. Manzoni era totalmente indifferente alla “fama”, che anzi spesso lo infastidiva, figuriamoci se poteva mai pensare di arredare uno dei suoi spazi più intimi in modo pomposo e solenne.
A parte la tinteggiatura delle pareti tutto è rimasto identico a come era quando Alessandro Manzoni vi morì. I mobili, la toeletta, l’ottomana, il letto, il pavimento in cotto lombardo; tutto è rimasto come era allora.
Riva: questa stanza commuove nella sua semplicità. Non è stato toccato nulla dopo la morte del Manzoni. Guardi (apriamo insieme il comodino posto accanto al letto) questi sono il suo ultimo paio di scarpe e le sue ultime pantofole. Osservi le scarpe, sono modernissime per i tempi. Hanno la punta quadrata ed un elastico posto sul dorso che gli consentiva di calzarle e toglierle senza l’aiuto del cameriere.
Le faceva realizzare da un calzolaio di Belgirate, un artigiano che stimava e che gli aveva preso le impronte dei piedi in modo da poter realizzare sempre calzature perfette, anche ricevendo ordini per corrispondenza. Qui sono conservati gli ultimi oggetti che utilizzò in vita: un campanello per chiamare i domestici, un bicchiere per l’acqua della notte, un piccolo candelabro con quanto rimane di una candela.
Questa camera ha una sua magia. Ho visto tanti ragazzi, trascinati qui in gita scolastica dai propri insegnanti, giungere sulla soglia con la tipica aria adolescenziale di chi vuol fare credere di essere insensibile a tutto. E ne ho visti molti uscire da qui toccati ed affascinati. Vanno certamente “accompagnati” con le dovute spiegazioni, però questa casa ha la capacità di sapere ancora “parlare da sola” e regala grandi emozioni.
Come morì Manzoni?
Novelli: cadde il 6 gennaio del 1873 sui gradini della chiesa di san Fedele che si trova proprio vicinissima a questa casa, battendo la testa in modo violento.
Sopravvisse qualche mese, mesi passati con continui miglioramenti e ricadute, con momenti di lucidità e momenti di perdita di coscienza. Spirò alle sei ed un quarto del pomeriggio del 22 maggio; la causa di morte che venne dichiarata diceva meningite. Non sappiamo se la caduta ed il trauma cranico conseguente scatenarono la meningite oppure se la caduta stessa fu conseguenza di questa patologia che stava avanzando.
Lasciamo le stanze da notte e torniamo sui nostri passi attraversando un lungo corridoio.
Riva: Questo spazio lo abbiamo chiamato “la galleria” perché qui conserviamo numerosi volumi e pubblicazioni d’epoca all’interno di una serie di espositori a vetro.
Ai tempi di don Lisander questo era un passaggio di servizio, ampio e facile da attraversare, che consentiva alla servitù di accedere alle camere da letto, sia quella matrimoniale sia quella più privata dello scrittore.
Qui abbiamo sei bacheche dove, in ordine cronologico, abbiamo esposto l’intera produzione letteraria del Manzoni, dalle opere giovanili siano agli scritti sulla lingua. Abbiamo le prime edizioni e le edizioni più rare, così come scritti molto particolari; ad esempio il manoscritto de “Il Trionfo della Libertà” che egli scrisse in collegio, quindicenne, che compose e mai pubblicò.
E poi, tra gli altri esposti, i tre tomi de “i Promessi Sposi” che portano la data 1825, 1825 e 1826, ma che escono nel 1827: la famosa “ventisettana”. Noi leggiamo attualmente la versione che è stata ricorretta da un punto di vista linguistico, la “quarantana”.
Un’operazione accurata di revisione linguistica, la cosiddetta “risciacquatura dei panni in Arno”.
Novelli: si è trattato di un lavoro certosino che ancor oggi impegna gli specialisti ed i filologi.
Non è solo importante avere il risultato finale di questa revisione, è anche importante capire in quale realtà sociale sia stata fatta questa operazione di risciacquatura.
Nella sua vita quotidiana Manzoni non usava abitualmente il toscano; parlava in dialetto milanese ed in francese, una lingua che padroneggiava perfettamente, forse anche meglio del toscano. L’uomo che ha dato una lingua ed una letteratura al Paese riunificato, nella vita comune il più delle volte non usava quella lingua.
Era molto amico di Carlo Porta(*) ed apprezzava l’uso dialetto; ma Manzoni sapeva perfettamente che non era quella del dialetto la strada da percorrere per dare una lingua al Paese che avrebbe dovuto venire, e che poi è venuto, il Paese che lui aveva già in mente.
La cosiddetta “risciaquatura” è stata anche un’ un’operazione politica, un’azione tendente a rendersi partecipe in modo attivo a quell’ideale di unità nazionale che gli era così caro.
(*) Carlo Porta (Milano, 15 giugno 1775 – Milano, 5 gennaio 1821) è stato un poeta nato a Milano sotto la dominazione austriaca. È considerato il più importante poeta che abbia utilizzato il dialetto milanese nelle composizioni letterarie.
Continuiamo il nostro cammino attraversando alcuni locali di dimensioni più contenute.
Riva: queste erano molto probabilmente le stanze dei figli. Oggi ospitano ricordi, ritratti ed oggetti sempre ordinati secondo un principio tematico.
Nella stanza in cui ci troviamo ora, ad esempio, ci sono i cimeli di Alessandro Manzoni agricoltore. In questo espositore abbiamo la sua paglietta ed il suo bastone da passeggio; il cappello, che gli fu donato dal genero Giorgino, solitamente era appoggiato al secrétaire dello studio e don Lisander lo indossava nelle giornate di sole prima di uscire in giardino.
Novelli: Manzoni era davvero un gentiluomo di campagna, un sincero amante della natura ed un cultore della botanica. Ci sono delle bellissime lettere, che nei prossimi anni vorremmo valorizzare, che riguardano proprio questi temi. Fece, ad esempio, arrivare dei semi dall’estero per provare nuove colture, anche se non sempre fu apprezzato come innovatore agricolo; ci sono delle pagine molto divertenti nelle quali il Manzoni viene ritenuto responsabile di avere importato e piantato la robinia lungo gli argini, una “pianta infestante”.
Lasciamo il primo piano e scendiamo al piano terreno dove era posizionato lo studio privato di Alessandro Manzoni.
Novelli: probabilmente Manzoni scelse questa stanza come studio privato proprio perché era lontana dal primo piano dove viveva la famiglia. Con dieci figli, la moglie, la servitù, lassù era difficile trovare pace e tranquillità. C’è una bella lettera di Mary Elisabeth Clarke che racconta di avere visto Enrichetta giocare a mosca cieca in casa con i bambini mentre Manzoni chiacchierava con gli amici ed osservava contento.
Quindi individuò questa stanza che dava sul giardino e che era prospiciente alla stanza dove a lungo visse il suo carissimo amico Tommaso Grossi come rifugio privato.
Come la camera da letto, anche questo ambiente è rimasto sostanzialmente intatto, con i libri negli scaffali che sono rimasti nell’ordine esatto che era stato loro imposto dal padrone di casa nei suoi ultimi anni di vita.
Riva: anche in questo locale si respira un’aria particolare, magica. Lei mi chiedeva se Manzoni fosse un uomo che dava importanza alla ricchezza; guardi le tre poltrone del suo studio. Sono tutte diverse e non sono proprio ben tenute. Una gli sarà servita per fare un riposino, quest’altra più rigida l’avrà utilizzata quando aveva il mal di schiena, l’ultima per fare sedere le signore in maniera più composta.
E’ questo studio che ribattezzò “l’isola di Giava”?
Riva: No, l’isola di Giava era la stanza di fronte, dove viveva l’amico Tommaso Grossi. Alessandro e Tommaso erano davvero grandi amici e durante tutto il periodo in cui il Grossi visse qui la produzione letteraria di entrambi fu floridissima.
Lavoravano ciascuno per conto proprio al mattino e poi, dopo pranzo o dopo la passeggiata del pomeriggio, leggevano l’uno all’altro i passi più recenti del proprio lavoro. Oppure leggevano le gazzette, commentavano i fatti di cronaca, cospiravano idealmente all’italico risorgimento! Anche se non in forma palese, qui per un certo tempo… si cospirò.
Era l’Isola di Giava perché vi si dicevano le “giavanate” che in dialetto milanese sono le stupidaggini, le barzellette, le celie.
Torniamo allo studio di Manzoni. Non mi sembra costruito in stile lombardo.
Novelli: ha ragione, non lo è per niente. Guardiamo ad esempio questo particolarissimo soffitto, straordinariamente valorizzato dal grande restauro patrocinato nel 2015 da Banca Intesa; di soffitti così a Milano non se ne vedono molti.
Questo solaio arriva dalla proprietà che precedette quella di Manzoni . Il palazzo apparteneva ad uno straniero che probabilmente in alcuni elementi costruttivi intendeva richiamare lo stile montanaro delle sue terre; ecco il motivo di un soffitto così colorato ed anche la presenza nella stanza di una stufa da montagna.
Riva: qui sul tavolo da lavoro sono conservati alcuni dei suoi oggetti di uso comune. Ad esempio abbiamo una delle sue inseparabili tabacchiere, di forma rotonda, mentre abitualmente a quel tempo si usavano rettangolari. Il tabacco veniva conservato all’interno di scatole di legno, sbriciolato, e poi passato in piccole dosi nelle tabacchiere. Veniva quindi annusato. Amava aprire la tabacchiera con la stessa mano che la reggeva e spesso gli sfuggiva, cadeva e si rovinava. Ne commissionava allora un’altra identica.
Su questo tavolo furono scritti i Promessi sposi.
Novelli: una parte è stata scritta su questa scrivania, una parte invece su quel tavolino pieghevole che è appoggiato sotto la finestra che da sul giardino e che riceve meglio la luce diretta del giorno.
Vedo una grande libreria ed un numero importante di libri.
Riva: quando Manzoni acquistò la casa chiamò un falegname affinché gli costruisse in questo ambiente una libreria. Il bravo falegname fece una cosa molto semplice e funzionale, con un legno non particolarmente pregiato, senza nemmeno fare il fondo agli scaffali; la libreria poggiava direttamente a muro.
Fu molto bravo a rispettare la simmetria della stanza, creando anche una falsa porta che non portava da nessuna parte se non ad un armadio. Specularmente alle porte vennero ricavati degli elementi architettonici che rendevano l’ambiente equilibrato; in uno fu inserita una stufa tipicamente montanara, che probabilmente era già presente da qualche parte nella casa, nell’altro una porta che consentiva l’accesso alle cucine e ad una scaletta (che non abbiamo più trovato) che portava al primo piano.
Riguardo i libri credo che inizialmente Manzoni li avesse divisi per argomento; laggiù abbiamo i dizionari, qui i libri di storia, qui i tomi sulla rivoluzione francese, i libri teologici e poi i classici latini. Poi a mano a mano che gli acquisti procedevano l’ordine mutò, in base allo spazio disponibile sugli scaffali ed alla praticità di accesso ai testi.
Conosceva perfettamente a memoria la posizione di ogni singolo volume; ci sono alcune lettere che scrisse al figlio Pietro da Lesa nelle quali diceva “ho bisogno di quel tal libro che si trova nella libreria a sinistra del camino, nel terzo scaffale in posizione centrale…”
Vedo spuntare da moltissimi libri dei bigliettini.
Riva: tutti i testi sono stati oggetto di uno studio particolare. Grazie ad un finanziamento del Ministero sono stati sfogliati ad uno ad uno, pagina per pagina, per individuare le tracce di lettura lasciate da Manzoni. Quindi sottolineature, postille a margine, un’orecchia o una pagina piegata; guardando l’enorme quantità dei nostri biglietti si capisce quanto Manzoni abbia lavorato su questi libri.
Erano i suoi strumenti di lavoro, trattati con rispetto ma senza un riguardo esagerato.
I miei ospiti mi accompagnano quindi in alcuni ambienti che non sono raggiungibili al pubblico in quanto attualmente non fanno parte del percorso museale, come le cucine, le cantine, le dispense, i guardaroba, la sala da pranzo della servitù, ed infine le camere da letto della servitù che possiamo classificare “di bassa lega”. La servitù qualificata (precettori etc) dimoravano al secondo piano. Secondo piano che oggi è occupato dagli uffici e dalla biblioteca del Centro Nazionale Studi Manzoniani.
Attualmente le sale situate al piano terreno sono utilizzate per accogliere eventi, presentazioni, conferenze, giornate di studio. Il primo piano è occupato dal percorso museale, al secondo piano trova posto il Centro.
Sempre al piano terreno troviamo un altro vasto ambiente; qui è ospitata la biblioteca di Stefano Stampa. E’ probabile che negli ultimi anni della sua vita Manzoni abbia prestato o ricevuto in prestito alcuni libri da Stefano.
Ed infine ecco il giardino di Casa Manzoni, non accessibile.
Novelli: è un giardino che stava particolarmente a cuore a Manzoni essendo egli un grandissimo appassionato di botanica. Il giardino che vediamo ora non è proprio uguale a quello che aveva voluto Manzoni; oggi questo giardino non è accessibile da Casa Manzoni in quanto da tanto tempo è stato alienato ed oggi fa parte del percorso museale delle Gallerie d’Italia.
Riva: il cancelletto che chiude l’accesso dal giardino alla Casa (e viceversa) è dotato di sole due chiavi: una è nelle mani delle Gallerie d’Italia ed una nelle mani del Centro. Capita che a volte si decida di azionarle congiuntamente.
Colgo l’occasione per ringraziare la dott.ssa Riva ed il prof. Novelli, anfitrioni perfetti.
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