Costume
Buon non-compleanno…
Cara FB
scusami se ti ricordo che il 29 luglio di 137 anni fa nasceva Benito Mussolini. Mi pare importante non dimenticarlo. Lui, D’Annunzio e innumerevoli altri della loro risma, non sono incidenti della storia italiana. Non sono disgrazie. Sono prodotti geografici tipici. Spocchia magniloquente, sussiego ampolloso non sono farina del loro sacco. Le ereditano da una tradizione secolare incisa sul certificato di nascita della lingua di questa nazione e le tramandano ai posteri.
Mi scuserai anche, spero, una digressione: il primo documento scritto che testimonia l’uso del volgare italiano è il celebre “Sao Ko Kelle Terre…”. Risale alla metà del X secolo ed è posteriore, di più di cent’anni, al primo documento dal quale si rileva l’uso di una lingua francese e tedesca. Mentre, però, il documento italiano è solo la trascrizione di una insignificante disputa legale di provincia, quello franco-tedesco certifica istituzionalmente un evento di grande portata storica. Mentre, cioè, francese e tedesco già nel IX secolo sono in grado di affermarsi come lingue, l’italiano ancora un secolo dopo è idioma da bottega. Alle soglie del secondo millennio sull’epitaffio di Papa Gregorio V (morto nel 999) si legge: “Usus francisca vulgari et voce latina instituit populos eloquio triplici” ovvero “Indottrinò le genti in tre idiomi usando il francese, il volgare – s’intende l’italiano – e il latino”. Il francese già possedeva, dunque, un nome e un rango di lingua nazionale, laddove l’italiano veniva ancora considerato solo un “volgare” ovvero un semplice espediente per rivolgersi al volgo e farsi comprendere. Considerare la lingua “parlata” il sottoprodotto di una lingua “madre” più nobile e letteraria è rimasto da allora un modus pensandi che ha continuato a circolare sottotraccia nella mentalità nazionale e ne ha segnato l’evoluzione, il destino e la forma.
Il latino dei retori fu il modello che il volgare si sforzò di imitare venendo spesso sottoposto a forzature che ne deformavano la struttura.
E anche quando il latino fu lingua morta il suo cadavere rimase, come quello imbalsamato dei santi, a far si che l’italiano sviluppasse caratteristiche schizoidi.
Ancora adesso c’è la lingua dei “colti” e dei legulei, quella delle arringhe, dei comizianti come Mussolini e dei poeti laureati come D’Annunzio, i cui epigoni pullulano sotto i travestimenti più insospettabili. E c’è quella quotidiana che però, sopraffatta dai dialetti, ha avuto ed ha un’esistenza marginale.
Il “notabile” italico (poeta, politicante, scrittore, filosofo, storico dell’arte…) non fa mai riferimento a quest’ultima che, spesso, non è neppure in grado di usare decentemente. E’ l’altra la sua lingua d’elezione. Perciò quando leggi certi scrittori italiani con le loro fioriture retoriche – magari mascherate da “volgarismi” alla moda – certi giornalisti nazionali che s’incartano nel foglio impettiti come tranci di pesce spada surgelato non meravigliarti.
Pensa al loro pedigree.
Linguisticamente tuo
ur
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