Letteratura
Blob, non rappresentabilità del mondo e letteratura
Cos’è Blob? È un programma televisivo sui generis. Lo conosciamo tutti. Riprendendo la definizione di Wikipedia è un “montaggio di spezzoni” televisivi. È un caleidoscopio che restituisce il caos e la complessità del mondo. È insieme antica mimesi e contemporaneo straniamento. È il non plus ultra dell’imperfezione. È l’antitesi della purezza. È l’elogio del “neutro” di cui scriveva Blanchot. Non c’è quindi negativo, né positivo; non c’è oggetto, né soggetto. Tutto è indefinito e indefinibile. Tutto cade nell’indistinto. Dopo il “neutro” linguistico in letteratura di cui parlava Blanchot, con Blob abbiamo il “neutro” dei fatti, dei personaggi, del mondo. Ci sono personaggi televisivi che le studiano tutte per essere su Blob, ma non capiscono che Blob dopo una puntata di visibilità li fagocita: non sono i vip a servirsi di Blob ma il contrario. Blob non è cronaca, né letteratura, né cinema. Blob è una raccolta audiovisiva che ha una prorompente furia iconoclasta. Blob ci dà la conferma che questo mondo non va; ci dà la certezza che non siamo noi i pazzi, che il nostro disagio è ben motivato ed è fondato su cause oggettive. Blob è tutto e niente. È un unicum. L’io è minimo. L’io è regia, che cerca l’impersonalità. Anzi ci sono più io, perché gli autori sono diversi. Non c’è un giudizio in Blob, non c’è imposizione nemmeno di una chiave di lettura del mondo. Blob trascende anche l’orientamento politico dei suoi autori. C’è solo il flusso di spezzoni. È il superamento della polifonia di voci e di punti di vista che Bachtin vedeva nei romanzi di Dostoevskij. Non ci sono più punti di vista. E poi se oggi uno vuole un’incredibile polifonia di voci e di punti di vista può stare tre ore sui social! Blob è non fiction totale e totalizzante. Blob è quel romanzo senza trama che auspicano alcuni critici letterari. Blob ci descrive nel miglior modo possibile questo pazzo mondo. Blob è genialità allo stato puro. Ma è molto difficile scrivere un Blob in letteratura, forse è impossibile. L’impresa sarebbe titanica. Sorgerebbero mille problemi o difficoltà insormontabili. Inoltre Blob è un programma satirico e la satira, persino l’ironia sono qualità rare nella letteratura contemporanea. Blob è un montaggio delle cose televisive più disparate. In poesia da Nanni Balestrini ai poeti di ricerca di oggi si è diffusa la tecnica del montaggio, soprattutto usando il metodo del cut up. Ma non è la stessa cosa, perché la tecnica del montaggio è nata con il cinema. Ecco perché chiediamo al montaggio un’icasticità, un’iconicità, una rapidità che forse la letteratura non saprà mai dare, oltre al fatto che per la tradizione millenaria alle spalle non è quello che le chiediamo. E allora la letteratura potrebbe darci delle ecfrasi, sapendo che questa è la civiltà dell’immagine. Ma forse per avere l’inenarrabile e l’irrappresentabile in un’opera letteraria dovremmo pretendere delle sovrimpressioni asemiche: il caos sopra il caos, il caos nel caos e ognuno interpreti come può! Ma non sarebbe sufficiente. L’unico grande capolavoro in poesia che è un montaggio di immagini e citazioni è “La terra desolata” di Eliot, ma è un montaggio soprattutto del passato e non del presente. Eliot costruisce il poema su antichi miti ad esempio, come quello di Tiresia e del Re pescatore. Negli ultimi decenni si è parlato di poesia espansa, seguendo le orme del cinema espanso, ovvero una poesia ricca di ibridazioni e contaminazioni di generi. Ma noi forse oggi siamo sempre ancorati a una vecchia idea di letteratura: pretendiamo e vogliamo in genere dalla letteratura storie, simboli, miti, archetipi, che ci emozionino. Siamo però anche certi che quella vecchia concezione di letteratura è stantia, paludata, non attuale. Probabilmente siamo in una fase di transizione. Forse per fare un “opificio di letteratura potenziale” oggi bisognerebbe avvalersi dell’intelligenza artificiale, non lasciandosi sopraffare da essa. Ma la maggioranza di noi rimane indietro, ancorata alla tradizione. Ecco perché il montaggio cinematografico o quello televisivo di Blob ci emozionano, ci colpiscono di più di quello poetico ad esempio. Forse il montaggio poetico lo riteniamo più artefatto e intellettuale. Forse non lo accettiamo, non lo condividiamo ancora a livello mentale. La nostra è una resistenza psicologica e culturale. Inoltre un programma come Blob polverizza qualsiasi romanzo. Perché scrivere un romanzo ad esempio se esiste già Blob? Blob sancisce il fallimento di ogni scrittore o poeta, che voglia dire qualcosa di nuovo e di più sul mondo, che voglia rappresentare il mondo. Blob rappresenta con miglior efficacia di qualsiasi scritto questo mondo eracliteo, assurdo e ingiusto. Non a caso questo programma è stato realizzato da lucidissimi intellettuali come Angelo Guglielmi ed Enrico Ghezzi. E in questa loro ideazione c’è la rassegnazione, la consapevolezza della sconfitta che questo mondo non si può più rappresentare, che è diventato irrappresentabile. Guglielmi, Ghezzi e i loro collaboratori ci fanno capire che la sfida dell’irrapresentabile è stata persa. Se ai primi del Novecento Rebora poteva rappresentare in poesia l’industrializzazione milanese e i futuristi potevano descrivere la velocità, la dinamicità della civiltà, oggi chi potrebbe rappresentare fedelmente Internet, i mass media, l’overdose di notizie, i viaggi aerei, i bambini che muoiono di fame, la crisi economica, il predominio della finanza sull’economia produttiva, il capitalismo di sorveglianza, il turbo capitalismo, lo sfruttamento del lavoro minorile, il turismo sessuale, il dark web, i morti sul lavoro, il porno di massa, il dominio delle multinazionali, la società multietnica, la comunità Lgbt, il disastro ambientale, i cambiamenti climatici, la corruzione dilagante, la criminalità organizzata, il progresso scientifico, gli algoritmi, la malattia, l’orrore delle guerre nel mondo ad esempio? Quale artista riuscirebbe a rappresentare dignitosamente un mondo fatto di tantissimi frammenti così eterogenei? E allo stesso modo come farebbe un artista a rappresentare tutti i rami dello scibile umano? Omero, Virgilio, Dante, i più grandi romanzieri dell’Ottocento avevano certezza della struttura del mondo e delle sovrastrutture culturali. Oggi questa sicurezza non c’è. Si è sfaldato il terreno per gli artisti contemporanei. Non solo ma per quanto riguarda il mondo interiore Jung ci insegna che il Sé è sfuggente e in parte inconoscibile, la psicologia contemporanea ci insegna che il cogito ergo sum è una falsa certezza. Poi se in prossimità dell’anno mille i nostri avi avevano paura della fine del mondo a causa delle profezie, oggi è la scienza ad avvertirci che la fine potrebbe essere vicina, e allora perché concentrarsi e impegnarsi per anni a scrivere un grande capolavoro, come fece Proust? Se un tempo gli scrittori cercavano di scrivere il Libro Totale, oggi sanno che l’impresa è vana: il reale è diventato troppo complesso! Nel Novecento inoltre, come scrive Romano Luperini, siamo passati dalla “letteratura della crisi alla crisi della letteratura”. Oggi i migliori poeti e scrittori scelgono un filone di cose nuove oppure studiano le cose di sempre da una prospettiva nuova; non cercano invano di esprimere il Tutto. Oggi ci sono troppi stimoli esterni per un artista. Rappresentarli tutti è impossibile. Bisogna fare una selezione. Ma quale selezione attendibile e universale fare se oggi esiste il relativismo delle interpretazioni? Oggi esistono troppi fatti e troppe chiavi di lettura. Come decifrare i geroglifici del mondo sensibile e di quello delle idee? In psicologia si chiama information overload il sovraccarico di informazioni, a cui noi siamo sottoposti quotidianamente. L’inadeguatezza riguarda quindi i nostri limiti cognitivi (non riusciamo a metabolizzare tutti gli stimoli) e culturale (non ci sono più ismi, ideologie, visioni comuni attuali): si rimane così interdetti tra stimoli e interpretazioni possibili, finendo per fare intellettualmente la fine dell’asino di Buridano. È vero che ogni istante teoricamente è un ventaglio inesauribile di possibilità, che comprende tra l’altro anche il non essere più. Però se l’angoscia della scelta degli esistenzialisti un tempo era esistenziale, dovuta alle tante opportunità del fare, oggi l’angoscia della scelta è mentale, riguarda il percepire e il pensare. Di solito finiamo per non scegliere, dominati come siamo dagli automatismi percettivi e cognitivi. Nei decenni e nei secoli addietro era più facile rappresentare il mondo, perché del loro mondo gli scrittori ne sapevano molto di meno di quello che ne sappiamo noi cittadini comuni oggi. Era più facile darsi un’idea del mondo, farsi una visione del mondo. C’erano dei modelli, delle ideologie, dei valori condivisi. Il mondo aveva ancora delle interpretazioni ed era ritenuto leggibile, comprensibile. Un tempo erano considerati non rappresentabili l’invisibile, l’inudibile, l’intangibile, Dio, l’aldilà, il Nulla, l’infinito per i nostri limiti empirici. Oggi bisogna arrenderci tutti al gran caos della semplice immanenza, sempre per i nostri limiti intrinseci. Se un tempo gli artisti dovevano scegliere tra mettere ordine nel mondo, aggiungere disordine nel mondo e/o rappresentare il mondo, oggi scrittori e poeti rimangono paralizzati, sterili, inariditi. La realtà è troppo entropica ed esprimerla in un’opera d’arte è difficilissimo, forse impossibile; raggiungere la sintropia in letteratura è ancora più impossibile: sono due obiettivi irraggiungibili sia l’espressione della disarmonia del mondo che la ricerca di un’armonia, che se viene raggiunta è solo interiore. Adorno ci aveva già avvertito sull’insensatezza di scrivere poesia dopo l’Olocausto. Cosa può dire un poeta dopo Celan? Il Novecento ci ha lasciato in eredità orrori incredibili. È anche per questo che oggi non esistono più i grandi capolavori di un tempo in letteratura: l’orrore ha ammutolito gli artisti. Certo esistono ottimi poeti, ottimi scrittori e opere anche oggi memorabili, ma non esistono più le opere che aprono mondi, come le definiva Heidegger. Non solo ma gli artisti rifiutano il mondo, vengono rifiutati dal mondo, non sono più in grado di fare una sintesi del mondo e le narrazioni del mondo dei mass media li sovrastano. Umberto Eco aveva teorizzato l’opera aperta. Calvino in “Lezioni americane” aveva dedicato una lezione alla molteplicità. Però Perec ha già scritto “La vita, istruzioni per l’uso” e oggi lo gnommero gaddiano è una matassa che non si sbroglia. Ho la vaga sensazione che oggi si scriva più per sé stessi che per gli altri, perché poco o nulla c’è da scrivere su questi giorni sciagurati: ognuno dà dell’egoriferito all’altro, ma la realtà è che ognuno se le canta e se le dice da solo. Ho la vaga sensazione che alcuni artisti non abbiano ancora capito l’incomprensibilità e quindi l’indicibilità del mondo. Oggi siamo tutti ingolfati. Ci sono a mio avviso due modi fondamentalmente per reagire a questa confusione mentale, se si vuole continuare a far parte della società e non ritirarsi come gli eremiti, sottraendosi quindi a gran parte degli stimoli esterni. Oggi si finisce nella stragrande maggioranza dei casi per essere “blobbati” o “lobotomizzati”: i primi vogliono comprendere il tutto, i secondi aspirano al Nulla. Insomma fondamentalmente ci sono due categorie: i “blobbati” confusi, smarriti, disorientati, che cercano di opporre una certa resistenza al mondo, che cercano comunque invano un minimo di intelligibilità, e i lobotomizzati, che non si pongono più alcun problema, cercano di non pensare più, cercano di fare tabula rasa nella mente, cercano di coltivare il proprio orticello, che forse è il miglior modo di pacificarsi, di conciliarsi con questo mondo caotico, assurdo, ingiusto.
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