Letteratura

Bruciamo Dostoevskij!

2 Marzo 2022

Quando, diversi anni fa, dipinsi Dostoevskij, lo immaginai che ballava il tip tap sulla meschinità. Lo disegnai leggero, finanche ganzo, come posseduto da uno spiritello allegro.
Voilà, oggi apprendo che si rimanda un corso sul Maestro russo i in quanto “potrebbe ingenerare polemiche in un momento di forte tensione.” E la decisione è stata presa da una delle più prestigiose università italiane, la Bicocca di Milano.
Nella polemica con un autocrate, o, a scelta, plutocrate, che ha invaso uno stato sovrano, si adoperano pertanto delle prassi che oltre a essere meschinamente negligenti non sono neanche democratiche.
Non credo si tratti unicamente di ordinaria cretineria, dove il ridicolo ha fatto la sua comparsa tra il tragico imperante. È l’adeguamento a una linea di egemonia politica che in questo frangente sta diffondendo un sentimento di russofobia, come se Putin riassumesse la storia, l’arte e la letteratura tra le più significative della storia dell’umanità. Un atto, dunque, che ci rende conformi a chi vorremmo osteggiare.
La guerra è una tragedia così maledettamente dolorosa che tingerla di ridicolo appare una mancanza di rispetto per la sofferenza che sparge.

Mi pare oltremodo evidente che dello straordinario autore sia stata ignorata, nella vicenda, oltre che la sua magnifica opera, anche la biografia, che racconta di un’esistenza sofferta e sacrificata a ideali di libertà. Colgo l’occasione per soffermarmi, qui, su un aspetto molto sintomatico della vita di Dostoevskij. Il 22 dicembre del 1849, all’alba, vengono prelevati dalla “Fortezza di San Pietro e Paolo” quindici detenuti. Tutti giovani, tra i venti e i trent’anni. E, tutti amano la letteratura. Già, sono l’amore per questa disciplina e una mentalità progressista, otto mesi prima, ad averli messi nei guai.
Ogni venerdì, questi si riunivano segretamente nell’appartamento di Michail Petraševskij, per discutere di tutto. In Russia c’era ancora la servitù della gleba, e si avvertiva il bisogno di una maggiore giustizia sociale: per prevenire ogni possibile focolaio di rivolta lo Zar aveva irrigidito ancora di più la sua autorità e allertato la sua intelligence.

Quei giovani arrestati dalla polizia zarista, intanto, sono condotti in piazza Semenovskij, a Pietroburgo. Qui, di mattina presto, viene letta loro la sentenza. A ognuno si porge la croce da baciare. Poi, si spezzano gli spadini sopra le loro teste, secondo il rigido cerimoniale previsto. Vestiti della tunica bianca dei condannati a morte, sono legati per tre al palo dell’esecuzione.
Il sesto della fila, nel secondo terzetto, è Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Arrestato il 23 aprile del 1849, è stato condannato a morte per fucilazione dalla giustizia imperiale.
Quale stato di tensione e paura lo scrittore avrà vissuto in quegli attimi che precedono la morte, negli ultimi istanti di un’esistenza che sta per finire anzitempo, dove la mente dovrà liberare il pensiero conclusivo nel poco tempo rimasto?
Ma, ecco, qualche secondo prima del buio assoluto, quando già i tamburi hanno rullato, viene letto il proclama che annuncia la grazia, della quale i condannati sono stati crudelmente tenuti all’oscuro. La pena capitale viene commutata in deportazione in Siberia. Vite giovani erano in salvo, e, con esse capolavori della letteratura che avrebbero stupito il mondo!

N.B. Si apprende in questo momento che la Bicocca ha fatto dietro front. Il corso su Dostoevskij, a quanto pare, si terrà regolarmente.

Come si è reso possibile sospendere lo studio e la riflessione su un genio della letteratura mondiale perché il momento attuale è stato assurdamente ritenuto poco congeniale e opportuno a quanto già messo in programma? Il dietro front dell’università milanese non rende meno ridicola la logica che l’ha “illuminata” nella decisione, poi rinnegata. Resta il fatto che una prestigiosa università italiana ha eretto, per circostanza, una barriera alla cultura dando un chiaro segnale di ottusità e dimostrando di non essere degna di insegnare ciò che non è in grado di capire: l’universalità che l’espressione artistica e letteraria merita di diritto, sempre e ovunque.

 

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