Letteratura

Balena: il romanzo d’esordio di Giulia Muscatelli

15 Dicembre 2022

Un romanzo scritto col corpo. Così si potrebbe riassumere, in modo essenziale, l’esordio letterario di Giulia Muscatelli che con “Balena”, edito Nottetempo, si mette a nudo e mette a nudo il difficile rapporto fra identità individuale e società. In questo memoir influenzato dal romanzo di formazione, così come dalla fiction autobiografica e dalla serialità – per la sua capacità di ricostruire, per semplici fotogrammi, il clima di un determinato contesto storico sociale appartenente al nostro passato prossimo – Muscatelli racconta i suoi “anni difficili”, quelli dell’adolescenza, di per sé incerti, ibridi e indefiniti, segnati da un lutto profondo e improvviso, quello della morte del padre e dall’elaborazione familiare della perdita. Le difficoltà economiche, il venir meno di sicuri punti di riferimento, di abitudini consolidate, il passaggio alle scuole superiori: tutto è una sfida per la protagonista, in un crescendo di pressioni e di vuoti lasciati da domande inevase che, in modo repentino, quasi travolgente, vengono colmati da un corpo in espansione, alimentato da una fame insaziabile e incontrollata. Balena nasce fra i banchi di scuola, soprannome crudele, corazza contro un mondo in cui è difficile trovare il proprio spazio, potersi esprimere ed essere accolti per quello che si è. Il corpo si fa zavorra e rifugio, oggetto di scherno, campo di battaglia per la ricerca di un’identità autentica, in un costante scontro con il dolore. Balena è diversa, ma uguale a tutti i suoi coetanei: le stesse aspirazioni, lo stesso bisogno di essere riconosciuti. Balena non vuole trasformarsi in farfalla, come – in modo consolatorio – qualcuno le augura: vuole diventare un bruco con le ali, volare verso la sua meta, ma senza rinnegare la sua storia, il suo vissuto.

Nel raccontare questa storia l’autrice, con uno stile diretto, privo di giri di parole e di autocompiaciute commiserazioni – piuttosto frequentate da certa letteratura generazionale – porta avanti anche una precisa riflessione di carattere sociale. Femminista, inclusiva, problematizzante: Muscatelli non sposa un ruolo, non aderisce a un movimento, non si schiera a favore di una categoria. Al centro del suo interesse sono le persone, le loro reazioni di fronte alle difficoltà imposte dal vivere quotidiano, dal dolore, dalla fatica. Così Balena non afferma la sua unicità eroica di fronte ai soprusi subiti dai corpi “perfetti” delle compagne “magre da star male”, ma esprime una difficile sorellanza, quella che si basa sull’incomunicabilità fra due mondi – i ragazzi che si possono permettere d’indossare abiti alla moda e chi resta nascosto sotto strati di vestiti in cui non si riconosce – in costante, storico conflitto, ma entrambi oggetto di una guerra fra poveri. Balena derisa dalla compagna che sviene in corridoio per la fame. Sullo sfondo una società che solo apparentemente non capisce il problema, ma che in realtà sul dominio del corpo, sulla negazione dei problemi, del dolore, del brutto che la vita riserva costruisce la sua retorica della performance.

La potenza del racconto di Muscatelli risiede nella completa onestà nei confronti del lettore, nello spogliarsi, riga dopo riga, di quella corazza protettiva così lungamente costruita, nell’esposizione dell’osceno – ovvero quel che il mondo vuole nascondere “fuori dalla scena” – e nell’estrema libertà rispetto alle correnti di pensiero contemporanee. Ci vuole coraggio per parlare di corpi grassi senza eroicizzarli, ci vuole coraggio nel rivendicare la necessaria normalizzazione della differenza, cosa ben diversa dalla sua esaltazione.

“Se i corpi non vengono rappresentati nella loro pluralità” scrive “ i corpi lasciati indietro non possono far altro che scomparire. Certo, oggi, esattamente come nel caso dei post di Instagram della body positivity, la situazione è in parte mutata, oggi vediamo corpi di ogni tipo. Ma non è sufficiente rappresentarli attraverso vicende che li problematizzano; sarebbe necessario invece raccontare qualunque storia – commedie, drammi, horror, fantascienza o qualsiasi altro genere – con personaggi che semplicemente abitano corpi diversi”.

Balena dunque non è meno protagonista del corpo “normale” della protagonista adulta – un corpo che attrae lo sguardo maschile, che piace, che viene invidiato, desiderato – di quanto non lo sia stata del corpo adolescente sovrappeso. Balena è l’esperienza del lutto, della frammentazione di una famiglia in cui il fratello “part time” scompare, delle difficoltà nel fare amicizia, nel trovare una strada. Balena è anche nella testa delle compagne magre, magrissime, nella pelle segnata dall’acne adolescenziale dell’amica “ordinaria”, nello sguardo di superiorità di giovani adolescenti maschi ineducati ad andare al di là dello stereotipo.

Le balene parlano fra loro con un canto, nella profondità degli oceani, e con questo memoir Muscatelli tesse la trama di un potenziale canto corale con tutte le balene che ogni giorno cercano un equilibrio fra sé e il mondo. Distante tanto dalla reificazione dei corpi, quanto dalla loro mortificazione in nome di un disinteresse ostentato figlio della teoria secondo la quale non bisogna essere schiave dell’esteriorità. Balena acquista peso, perde peso, si depila, desidera dei bei vestiti, li acquista, non sa cosa farsene pur potendoli finalmente indossare. Si prende molte rivincite, pensa che forse non valeva la pena di intestarsi la battaglia, la combatte con ancor maggior potenza grazie all’onestà di parole che non dettano la linea, ma raccontano un vissuto. Muscatelli ci restituisce finalmente la complessità della libertà, che richiede uno sforzo di comprensione e di apertura nei confronti dell’altro. L’accettazione, in fondo, del diverso da noi che può ferire e far male, ma che è generativo, proprio come una famiglia nella quale ci si riconosce e dalla quale ci si allontana crescendo, mantenendo un legame di carne, pensiero e sentimento, che nel corpo trova la sua casa.

Abbiamo scambiato qualche battuta con l’autrice per esplorare più a fondo il mare di Balena.

Cosa ti ha portato a raccontare Balena e quali sono state le difficoltà nella stesura di questo memoir che contiene tante complessità di vissuto?

È difficile individuare la motivazione primaria e assoluta per la quale ho deciso di raccontare questa storia; fin da quando ho iniziato a scrivere, io raccontavo di Balena. Anche se non era il libro che esiste oggi, anche se la protagonista aveva un altro nome e abitava altrove, io raccontavo sempre di lei. Ho deciso di prendere coraggio e dichiarare in maniera netta questa storia quando ho capito che non apparteneva soltanto a me, che poteva essere la storia di tante e tanti. Le difficoltà sono state tante ma non per il carico emotivo, come si potrebbe pensare, ma perché – paradossalmente – per scrivere di Balena ho dovuto ignorare la Balena che abita dentro di me e che non faceva altro che ripetermi “Tu non vali abbastanza, a chi vuoi che importi della nostra storia?”.

In Balena non abbracci una “filosofia”, ma da outsider difendi il diritto di essere sè stessi in qualsiasi corpo senza per forza praticare la body positivity o negare certi elementi della cura di sè visti come frivoli e “schiavizzanti” da un certo femminismo. Una posizione difficile da tenere nel dibattito attuale?

Sì, certamente non è facile. So bene che certi pensieri espressi nel mio libro potrebbero risultare contrastanti con le odierne posizioni sul femminismo, soprattutto su un certo tipo di femminismo presente sui social. Ma penso anche che stiamo combattendo tutte e tutti per la stessa causa, per la stessa libertà di espressione. Se mettiamo delle regole a un movimento che si batte per la libertà, allora non facciamo altro che ripetere il meccanismo dal quale cerchiamo di emanciparci. Lo scrivo anche nella primissima pagina del libro: in Balena troverete la mia visione che deriva dalla mia storia, nessuna intenzione di fare da questa visione e da questa storia un manifesto, ma un’intenzione ferma e chiara di dire come la penso, questo sì.

Immagino che il percorso di “emersione” letteraria di Balena sia stato uno sforzo e un sacrificio importante in termini personali, d’introspezione ed elaborazione. L’autenticità arriva in modo diretto al lettore e, in questo senso, ha un impatto maggiore rispetto a tante posizioni teoriche per tesi. Può fare molto, insomma, per il percorso di affermazione di tutti i corpi, questa messa a nudo personale. Qualcuno direbbe “il personale è politico”…
La domanda però è: ne valeva la pena?

Per me il personale è sempre politico. Vivo la mia vita così. Io penso che qualsiasi cosa che facciamo, da raccogliere una carta da terra senza calpestarla, ad aiutare una persona in difficoltà per strada invece di ignorararla, sia un comportamento doveroso nei confronti del mondo che abitiamo.
Sento fortissima su di me la responsabilità di essere una donna, una donna piena zeppa di privilegi per i quali sono grata, in virtù di questa gratitudine io scelgo di restituire al mondo qualcosa. Il mio “qualcosa” sono le storie, in questo momento è Balena, domani chissà.
Ne vale la pena, oh sì. Questo viaggio nelle mie viscere esposte è complicato, ma è anche meraviglioso; vorrei non finisse mai.

G. Muscatelli, Balena, Nottetempo, pp. 161

Ph. Federico Botta

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