Letteratura
Arriva in Italia per 21Lettere Raoul Taburin di Sempé
A volte un fumetto racconta molto più di uno scritto. Altre volte fumetto e scritto vanno di pari passo, si accompagnano a vicenda, lievitano. È ciò che accade in ‘Raoul Taburin’ di Jean-Jaques Sempé, edito da 21Lettere. L’autore del fumetto, meglio noto semplicemente come Sempé, è nato a Bordeaux nel 1932 ed è considerato – insieme a Ben Shahn, Saul Steinberg, Saul Bass, Maurice Sendak e Tomi Ungerer – uno dei più grandi illustratori del Novecento. Inizia la sua carriera durante il servizio militare, collaborando con alcuni giornali francesi, ma raggiunge la celebrità alla fine degli anni Cinquanta, quando suoi disegni iniziano ad apparire su «Paris- Match» e «New York Times», ma soprattutto sulle copertine del «New Yorker». Insieme allo scrittore René Goscinny (autore anche di Asterix), inventa il personaggio del piccolo Nicolas, che conosce uno strepitoso successo in tutto il mondo, Italia compresa.
Racconta una storia semplice Sempé nel suo fumetto, quella di Raoul Taburin, un biciclettaio che non sapeva andare in bicicletta. A San Cerano, il paese in cui viveva, non c’era nessuno che ne sapesse più di lui di cambi di marcia, fermapiedi, cuscinetti a sfera, pignoni, camere d’aria, pneumatici morbidi, semi-morbidi o tubeless. E la sua reputazione nella regione era tale che per nominare una bicicletta si usava proprio il suo cognome: Taburin. Di tutto questo il biciclettaio andava fiero, anche perché in paese della sua stessa nobiltà popolare potevano beneficiare solo due altri uomini: Auguste Frognard, il prosciuttaio e Frédéric Bifailee, l’ottico. E nasce proprio qui il dramma, mentre Frognard andando a casa avrebbe potuto assaporare dell’ottimo prosciutto e Bifailee poteva pavoneggiarsi per le strade con dei bellissimi occhiali sul naso, Taburin non si sarebbe mai visto in giro se non sul suo triciclo, perché lui non aveva mai imparato ad andare in bicicletta.
Tutta la storia è giocata sul filo del fraintendimento, fino al folle tentativo del ciclista pazzo, quello che farà apparire Taburin per ciò non è, un fenomeno da baraccone. Perché il biciclettaio di San Cerano si porterà dietro sempre l’ansia, l’angoscia, la malinconia per non avere mai raccontato la verità, a nessuno, forse nemmeno a se stesso. Quel suo non saper andare in bicicletta è un paradosso. Nessuno che vive di qualcosa può essere o sentirsi alieno da quel qualcosa, è come se un comico non sapesse ridire, oppure un pilota non sapesse volare. Sempé vuole andare al fondo delle cose, guardando la realtà in faccia. Allora anche le parole assumono un valore e il biciclettaio che non sa pedalare diventa un caso esistenziale, un impostore di successo, aprendo la riflessione a un esito pirandelliano.
Alla fine del fumetto resta la poesia, quella che ha consentito a Sempé, morto all’età di ottantanove anni, di rimanere sempre spensierato, senza mai mancare un colpo, come ha detto il Presidente francese Emmanuel Macron. Alla fine del fumetto resta la poesia e una domanda, quella che ha accompagnato Sempé nel realizzare i magnifici disegni di questo libro, illuminando con il suo tratto la vita di un piccolo biciclettaio di paese che non sapeva nemmeno andare in bicicletta. Alla fine del fumetto resta una certezza, quella che solo un editore attento come 21Lettere potesse portare in Italia questo fumetto, omaggiando doverosamente Jean-Jacques Sempé, un uomo che di vite sembra averne vissute molte, e che dopo aver fatto i lavori più diversi – dal rappresentante di dentifrici all’istruttore nei campi estivi per ragazzi –, si è dedicato interamente, e con grande successo, al mestiere di disegnatore.
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