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“aprimi cielo”: viaggio nell’empireo di Alessandro Bergonzoni

12 Dicembre 2023

Oggi, del tutto inaspettatamente anche per me, riesco a scrivere di un artista che seguo da diversi anni e di cui cado in emulazione in-volontaria. Ho visto molte volte i limiti della parola ripiegare sui versi, ma per parlare di questo artista mi rivolgo ai pluriversi ai quali la sua opera attinge.

Succede questo, che riflettendo sul suo lavoro e scrivendone ora nel ricordo di recenti interventi in pubblico, si possano presentare effetti desiderati quali l’influenza linguistica, la mimesi surrealista e – più raramente – episodi di elucubrazione precoce. Queste le premesse prima di entrare nel vivo di uno scritto che si prospetta come un elogio dichiarato di Alessandro Bergonzoni, partendo dal suo ultimo libro pubblicato nel 2020 da Garzanti editore, Aprimi cielo. E’ un libro che contiene e dischiude dieci anni di raccoglimenti articolati, senza una trama, senza inizio e senza fine annunciati; quasi ogni pagina è un capitolo: si può aprire il libro ogni volta su un inizio che termina con un nuovo inizio fino all’ultimo capitolo Pre-visioni per la prossima estasi che a sua volta promette una continuazione. Oltre duecento i capitoli, ognuno con un titolo all’apparenza sibillino o interrogativo, per mettere subito il lettore sull’attendi, sull’arrivo cioè di una possibile connessione. Più che scrittore Bergonzoni si rivela tra-scrittore (anche scritturato come spesso lui si è definito), preso cioè tra le parole e i pensieri che lo muovono al fare e all’andare oltre la cognizione letterale, lui raccoglitore-radar di storie circolanti nello spazio aereo degli ultimi dieci anni.

 

Il libro esige molto dal lettore che leggendo deve necessariamente pensare ad altro dalla “prima lettura” di ciò che legge, e depensare a vari livelli confondendosi le idee e le ideologie; lettore che si trova di fronte a una lingua aumentata di senso e di senno, che sconnette e che lo induce a uno sforzo di vastità e superamento di convinzioni e convenzioni sedimentate; allo stesso tempo, l’autore lo ripaga addensando nelle pagine una materia fluida (non solo grigia ma variopinta), un condensato da metabolizzare a freddo, da riconsiderare e anche molto da ridere, quando il riso può essere cesura tra il reale e la realtà, o momento di verità, ricordando le parole di Luigi Malerba. Siamo in una scrittura che si stratifica in profondità e allo stesso tempo sa librarsi leggera oltre i margini della pagina, come scritta non solo linearmente da sinistra a destra ma anche trasversalmente, verso l’alto e poi verso il basso.

Nel libro si avverte un’amplificazione rispetto alla già imponente oralità di Bergonzoni, si riscontrano velocità riflessiva, snellezza del periodo, alta frequenza di sensi doppi o tripli da cui un maggior impulso alla circolazione delle idee, dei sensi civici e privati; c’è apertura all’infinito cielo empireo, così come c’è radicamento alla terra; c’è l’infinitesimale pulsante e l’enorme invisibile, il sommergibile riemerso alle cronache e un dirigibile lasciato spaziare fuori orbita; in sintesi c’è un vasto firmamento d’autore, un oltre il primo cielo, e c’è – estrapolando da un epigramma dello stesso Bergonzoni – un tentativo di scrivere “del tutto” in questa intensa raccolta che ruota attorno alle colonne portanti della questione-vita. I capitoli sono composti da diversi dialoghi (memorabile quello dell’ombelicale, dove un medico-ostetrico parla con una partoriente incerta sulla partenza), molti monologhi e una serie di confidenze fatte all’amore (che non troppo corrisponde); sono questi i capitoli Amor1-2-3-4[…]18, ognuno con le proprie frecce assortite lanciate contro Cupido. E c’è qualcosa che va oltre il facile equivoco del gioco di parole, quindi l’equivocabolo, per farsi plurivocabolo pluriversale. Parafrasando una definizione di poeta che troviamo nell’opera, l’autore appare lui stesso un adatto al pluriverso, alla molteplicità poetica che gli è connaturata.

Aprimi cielo è anche un viaggio sull’orizzonte di temi sociali e antropologici che nonostante i tempi bui Bergonzoni riesce a illuminare, a mettere in discussione, dando alla luce intuizioni e suggestioni che disinnescano i torpori dei più comuni campi semantici. Siamo dentro una scrittura che definire comica è riduttivo se non la si legge con le tante categorie del comico di Malerba o di Arbasino; una scrittura cosmica più che comica, ampia, talvolta empia ma in ultimo lenitiva, capace di aumentare le possibilità del reale e la quotidianità dell’irreale. Aprimi cielo è un libro-tutto, forse un estratto del Granché spesso citato dall’autore e dibattuto tra gli scettici e gli asceti, ma anche tra i neurolinguisti e gli accademici della comicità. Io dal canto mio, credo che sia nel libro che nei suoi interventi in pubblico questo artista sia andato già oltre il comico, oltre il cosmico, oltre la parola, per cercare attraverso l’iperbole e il paradosso le parabole più trasmittenti; oltre anche i sé e i se, i dubbi e le tante voci interiori che sentiamo dal momento che è abitato da un universo di presenze e di suoni di cui non ha mai nascosto la promiscuità. Un tempo avrei scritto anche che “è un uomo oltre la barriera del sono” ma questa volta eviterò di farlo. La sensazione è che Alessandro Bergonzoni non solamente scriva o parli, ma accada, succeda in una sorta di idillio inatteso e continuo, come capita anche nel libro in oggetto, dove un improvviso guizzo poetico esorbita dal dettato di un capitolo e ci spiazza, ci commuove.

Esistono artisti definiti e artisti infiniti, credo che Alessandro Bergonzoni sia un infinito, sia in senso etimologico che figurato, ma potrei dire anche in senso etimofonico, squisitamente poetico. Una poetica nutrita da un’etica che scorre carsica sotto le parole, da uno stile non sempre lontano dai riferimenti classici della metrica. E’ stato definito un autore di alta risonanza, vibratile e ricettivo, un attore, un comico, anche sceneggiatore, poeta, profeta (dico io), promotore e catalizzatore, pittore, performer e la lista potrebbe procedere verso l’in(de)finito, perché indefinita e indefinibile è la materia poetica (come sosteneva anche Giuseppe Ungaretti). Bergonzoni è un artista mosso come dichiara lui stesso “da un’energia imperscrutabile, a me sconosciuta” che ha finito per mettere spesso al fianco di associazioni di volontariato o umanitarie; penso alla collaborazione con la Casa dei Risvegli di cui è testimonial ma non solo; Bergonzoni ha parlato spesso di fine-vita, di diritti violati, di carceri e di barriere, e recentemente anche del disagio psichico diffuso a vari livelli, questioni complesse, dolorose, trattate con uno stile che non si può definire se non bergonzoniano, incisivo, efficace, a volte giustamente feroce ma alleviato da quella comicità indispensante e luminosa di cui è nutrito ogni suo discorso. Di questo stile, scuola poetica e sociale, io mi auguro propaggini future, seguaci non solo follower digitali: persone, pubblico, popolo che trovino in questo artista gli stimoli a cambiare un’idea temporanea, una postura mentale o comportamentale; una vecchia credenza, una sicurezza non garantita, una rinuncia di vita. Mi aspetto – anche come aspettatore affezionato dei suoi lavori – un seguito oltre al successo già successo a partire dai primi anni ’90, specie da parte delle giovani menti che stando alle statistiche sono – anche in Italia e nonostante gli influencer – tra le più colpite da disagi psichici ed esistenziali, smarrite in un pulviscolo di pixel e droghe sintetiche.

C’è un durante in questo elogio, una durata idealmente continua, che per me comincia nel 1994 con lo spettacolo La cucina del frattempo di cui ricordo anche la registrazione da Radio3 su una musicassetta che ancora conservo. Dopo quello spettacolo che si muoveva tra tinelli e taglieri da cucina in un mondo animalesco e canguresco, la mia idea di linguaggio ha preso a interrogarmi, ha cercato di indagare luoghi o anche vuoti apparentemente inaccessi, a farmi leggere oltre le parole e le cose, stimolata dal maestro di questa arte che oggi chiamo polisemica-generativa; un’arte che si declina in comicità poetica, scrittura scenica, in musicalità, in episodi di slam poetry e bungie jumping linguistico (da cui l’espressione corrente attribuitagli di funambolo della parola).

Esorbitando dalle traiettorie classiche del senso comune verso un oltretutto che sentiamo esistere e che desideriamo qualcuno provi a rivelarci, Aprimi cielo mi ha dato l’occasione per parlare di un artista che svolge oggi anche una funzione pubblica in quanto artista di non-trattenimento delle idee, a volte scomodo coacervo di energie correnti – raro animale in estinzione – come si definisce lui stesso, chiamato di recente a Bruxelles assieme all’associazione Gli amici di Luca e Riccardo Rodolfi (suo collaboratore storico e regista) per la “Giornata europea dei risvegli” con l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo.

Ho voluto scrivere questo elogio (consapevolmente entusiasta) di Alessandro Bergonzoni, nella convinzione che sia una delle poche voci del teatro e della contemporaneità capaci di fare e dire cose in coscienza e per la coscienza attraverso un’arte difficile e labile come la comicità. Far ridere e pensare allo stesso tempo, smarrire la e ricondurre alla ragione attraverso la po-etica del fare e dell’immaginare, del faceto e dell’immaginifico; riuscire a stare sul filo sottile che lega denuncia delle distorsioni del tempo e ricerca di verità (vita) artistica e da lì procedere nelle stagioni e negli anni, senza cedimenti.

In tanti stiamo aspettando un suo nuovo lavoro teatrale dopo le ultime repliche di Trascendi e Sali del 2021. Nel frattempo lo incontriamo in vari festival, in rassegne e anche in interviste e video, sempre in dialogo tra il micidiale che ci sta piegando e un possibile risveglio dal “come?” che ci trova spesso assopiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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